Portrait with scorpion (open eyes) - 2005. Sean Kelly Gallery  MARINA ABRAMOVIC

Testo a cura di Noemi Di Cenzi, Giusi Nazzarro, Angela Manno, Rachele Muzio pubblicato nel 2004 sul sito del Teatro Palladium di Roma



Biografia

Marina Abramovic nasce a Belgrado, repubblica di Jugoslavia, nel 1946. Entrambe i genitori erano leaders dei partigiani durante la seconda guerra mondiale. Studia all'Accademia di Belle Arti di Belgrado dove si laurea nel 1970. Rappresenta attraverso i propri lavori le esperienze significative della sua vita su cui hanno influito in maniera determinante le origini, la provenienza e l'eredità culturale della famiglia montenegrina.
Il corpo è sempre stato lo strumento delle sue performances, l'autocontrollo e i limiti fisici e mentali il suo parametro. Questo l'ha spinta a realizzare azioni incentrate sulla resistenza fisica, psicologica ed emotiva nei confronti del dolore, dello sfinimento e del pericolo sentiti come agenti di una trasformazione personale che permette di attivare canali di comunicazione al di là del razionale. La relazione con il pubblico costituisce, per l’Abramovic, fonte di energia e di riscontro rispetto all'effetto catartico e liberatorio dei suoi interventi.

La sua prima performance è Rhytm 10 del 1973, nello stesso anno con The biography (performance in progress) mostra al pubblico aspetti della propria esistenza. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Novi Sad. Dal 1975 al 1988 vive e collabora con l'artista tedesco Ulay (Uwe F. Laysiepen nato nel 1943) realizzando numerose performances.
Nel 1975 il Museo d’Arte Moderna di Parigi respinge la proposta della performance Warm Cold per la presenza dell’acqua nell’installazione che prevedeva un letto di blocchi di ghiaccio con sospese sopra cinque stufe per scaldare la testa, il petto, lo stomaco, il pube e i piedi dell’artista distesa nuda. Poco tempo prima la Galleria Doma Omladine, in Jugoslavia, aveva sospeso un’esibizione in cui al pubblico, man mano che entrava, veniva chiesto di togliersi gli abiti che venivano lavati, asciugati e stirati per poi essere riconsegnati all’uscita.
Al 1977 risalgono Relation in time, della durata di diciassette ore nello Studio G7 di Bologna, e Imponderalia. Lo stesso anno l’Abramovic introduce l’elemento animale in Three e progetta di mimare un suicidio.

Dal 1980 al 1983 viaggia in Australia e nei deserti di Thar e del Gobi, nel 1988 realizza con Ulay The Great Wall Walk percorrendo i duemila kilometri della Grande Muraglia Cinese.
Dal 1990 è visiting professor all'Accademia di Belle Arti di Parigi, all’università di Arti Applicate di Berlino e Amburgo. Nello stesso anno realizza Dragon Heads in cui è seduta su una sedia circondata da blocchi di ghiaccio ed è minacciata da cinque pitoni affamati.
Dal 1992 tiene workshop, conferenze e mostre personali e collettive in tutto il mondo: gli elementi ricorrenti nelle sue performances sono il corpo nudo, la costruzione paradossale, la percezione e la coscienza telematica.

Dal 1997 insegna presso l’università di Arte Applicata di Braunschweig in Germania dove ha formato un gruppo di giovani artisti (The Class of Marina Abramovic) che si esibiscono in living installations in cui il corpo diventa il mezzo espressivo delle poetiche di ciascuno. Oltre le performances, anche le installazioni e le video installazioni sono parte integrante del Raum Konzept, l’insegnamento relativo al concetto spaziale, che viene impartito ai ragazzi. Tre anni prima aveva scritto, in collaborazione con Charles Atlas, l’autobiografia per le edizioni Cantz di Stoccarda.

Nel 1997 l’Abramovic vince il “Leone d’Oro” alla Biennale di Venezia (che già l’aveva ospitata nel 1976) con la performance Balkan Baroque, in cui lava una montagna di ossa insanguinate come rituale espiatorio delle colpe di cui si era macchiato il suo paese durante i conflitti etnici nei Balcani. Nel 1998 diventa board member del Museo di Arte Contemporanea di Kitakyushu in Giappone.

La sua prima mostra viene allestita nel 2002 a Milano presso la Galleria Lia Rumma: in questa occasione l’artista ha ripercorso, attraverso i filmati caratterizzati da intensi primi piani, la propria vita e la propria carriera artistica.
Sempre nel 2002 The House with the Ocean View alla Sean Kelly Gallery di New York vince il “New York Dance and Performance Award”. Oggi è una delle massime esponenti della Body Art, vive ad Amsterdam, insegna ed espone in tutto il mondo.

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Dice di sé e della performance…

«Mi piace prendere oggetti della vita quotidiana e dar loro un significato diverso, ritualizzare le attività giornaliere. La mattina ti alzi e prima di ogni altra cosa premi il corpo contro i cuscini, aspettando che una certa energia ti venga trasmessa.»

«L'artista non può che trarre dal proprio vissuto l'ispirazione ed il materiale su cui lavorare.»

«La performance per me […] è una sorta di dialogo energetico. Non sono provate. Non sono ripetute ma, in genere, fatte una sola volta. C’è il concetto che è la piattaforma da seguire per il performer ma, nello stesso tempo, egli non conosce l’esito della performance in quel momento. È molto differente dal teatro. C’è un dialogo costante tra il performer e il pubblico. L’aspetto negativo è che dopo le performances molti artisti non possono continuare per l’enorme sforzo. […] La seconda cosa è il mercato. Non ci si lascia niente dietro. Non c’è molto a parte la memoria dell’audience.»

«Quando interpreto devo stare lì al cento per cento, quello che io chiamo il qui ed ora del pezzo.»

«Elementi come sangue, ossa, lame, miele, latte e vino hanno tutti un significato spirituale e non solo nelle performances […].»

«[…] Vedo me stessa come un ponte fra l’est e l’ovest. Penso che la funzione dell’artista sia cambiare il modo di pensare degli esseri umani. […] il modo di pensare della società. La cosa importante è trovare il punto dove la società […] è capace di cambiare»

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Dicono di lei…

«[…] Alla Body Art interessa la verità corporea dell’esistenza, trovando nel corpo la traccia e la sintesi tra arte e vita. Tra i numerosi esempi citabili, ripensiamo alle performances di Marina Abramovic che ha trasformato il corpo nel tema centrale del suo lavoro, ponendo l’attenzione su sensazioni e limiti della fisicità in relazione con la mente e considerandolo come energia pura.». Jacqueline Ceresoli, Stilearte, febbraio 2004

(a proposito della performance Marienbad)
«La performance di Marina Abramovic a Volterra è di quelle che non si dimenticano facilmente. L’artista slava, nota per il suo ruolo di primo piano nelle sperimentazioni della Body Art degli anni ’70, ha realizzato, in occasione della manifestazione Arte all’arte, un’opera affascinante, che riesce a coinvolgere il pubblico in un’esperienza potente e suggestiva. […] La potenza di quest’opera sta tutta nella capacità di trasmettere energia, emotiva ed intellettuale. Come spesso succede nel lavoro dell’Abramovic, assistiamo ad un continuo sfasamento degli elementi in gioco: cambia la nostra identità (simboleggiata dalle scarpe), cambia la forza di gravità (i magneti), cambia la percezione del tempo (il passato della vita nell’ospedale e il presente della performance). E l’intrecciarsi di passato e presente è sottolineato anche dalla presenza nel titolo del riferimento al noto film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais.». Floriano De Santis, www.laba.edu, 2002

«Marina Abramovic è un'artista che ha elevato il suo corpo al rango di opera d'arte. Nelle sue performances esplora il rapporto fra il corpo e l'energia utilizzando anche elementi biografici come metafore sociali del suo lavoro.» Gioia Costa, Romaeuropamese, aprile 2003

«Dopo anni di performance, Marina Abramovic è approdata alla video-installazione. Nelle sue mani, il mezzo elettronico appare intimamente connesso al corpo, all'intelletto, al respiro. Emerge la sua spiritualità, capace di far recuperare le radici, la luminosità degli oggetti e della materia. Con lei, Leone d'oro alla Biennale del ’97, il video è diventato uno degli specchi dell'anima.». www.laba.edu, 2002

«Attraverso il corpo l'artista svela a se stessa le proprie forme di debolezza, e le affronta attraverso prove di sopportazione del dolore fisico. Grazie ad un meccanismo esorcizzante, le performances permettono all’ Abramovic di superare i limiti entro i quali lo spettro della sofferenza e la minaccia della morte trattengono le sue energie vitali, aiutando lo spirito a conoscere le proprie potenzialità, e a ritrovare nuova forza e stabilità.» www.zerynthia.it

«Marina Abramovic è un'artista spesso estrema nelle sue performances che suscitano quasi sempre reazioni forti e stranianti nel pubblico.» Adriana Polveroni, www.repubblica.it, 17 ottobre 2001

«L'obiettivo dell’ Abramovic non è il sensazionale[…]. Le sue prestazioni sono una serie di esperimenti e di definizioni dei limiti: del suo controllo sopra il suo proprio corpo, del rapporto del pubblico con l’esecutore, dell’arte e dei codici che governano la società. Il suo progetto profondo ed ambizioso è di scoprire un metodo, con l'arte, per rendere la gente più libera.» www.eyestorm.com

«La soluzione dell’Abramovic era la creazione di spettacoli piuttosto che di oggetti. L’Abramovic creò un spazio di azione ritualizzato con la sua presenza corporale. Il lavoro dell’Abramovic è caratterizzato dai modi nei quali lei sceglie di confrontare il suo corpo. La condotta fisica, la persistenza e il pericolo sono presenti per fornire energie profonde come fonti di lucidità.» Alexandra Balfour, Pitchaya Sudbanthad, Museo, Estate 1999

«Le azioni di Marina Abramovic e Ulay del 1970, sono state collaborazioni che confondevano e duplicavano la “normale” figura dell’artista come corpo individuale. Questo tipo di collaborazione aveva le proprietà di una terza identità, ma rendeva la nuova identità somigliante a una terza direzione, un doppelganger (un’apparizione associata con la morte, qualche volta esisteva storicamente come un’ombra, o come il doppio di una persona vivente) o una estensione fantomatica della futura unione dei due artisti. La natura di quest’artista modificato è importante, perché rappresenta una strategia per convincere il pubblico di una nuova comprensione dell’identità dell’artista.» Charles Green, Art Journal, 22 giugno 2000

«The House with the Ocean View di Marina Abramovic del 2002, potrebbe essere uno dei più importanti lavori artistici dal vivo del decennio […] non solo perché l’artista produce un elegante lavoro che continua gli stessi motivi di una carriera che dura da trent’anni, che ha incluso esibizioni di estrema resistenza. Neanche perchè essa si congiunge con il suo pubblico quando l’intimità tra l’artista e gli spettatori è rara nelle gallerie immacolate di Chelsea. Ma perchè House è un lavoro di teatro puro. Senza una singola parola, e con un minimo di significato, Abramovic crea un dramma profondamente esistenziale sulla natura del vivere nel “qui ed ora”, come lei si riferisce al presente.» Roselee Goldberg, Artforum International, 1 febbraio 2003

«Lei ha una bella testa con voluminosi capelli scuri, e - con una spazzola in una mano e un pettine nell’altra - si pone in un crescente stato selvaggio, spazzolando e pettinando i suoi capelli, tirandoli fuori, così, colà, avanti, indietro, tirandoli, sempre di più; scatenandoli come in un rito maniacale di auto-lesionismo. Per giorni e giorni, per mezzo di sussulti, mormora in accento inglese: “l’arte deve essere bella…l’artista deve essere bello…”. Il fatto che questa artista sia piuttosto bella, sembra portare più pathos alla sua tormentata performance.» Tom Lubbock, The Indipendent, 2 settembre 2003

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Alcuni suoi lavori

1973 Rhythm 10. Richard Demarco Gallery, Edimburgo.
Prendendo ispirazione da un gioco russo colpisce velocemente con un coltello lo spazio tra le dita allargate della sua mano poggiata su un tavolo. Avendo registrato l’azione, riavvolge il nastro e ripete il gioco tagliandosi venti volte esattamente negli stessi punti. Cerca così di fondere passato e presente.

1993 The Biography.
È una performance in progress, aperta alla scoperta delle origini e del futuro dove l'identificazione col corpo dell'artista è molto forte. È la prima opera in cui l’Abramovic sente la necessità di raccontare la sua vita.

1974 Rhytm 0. Galleria Studio Mora, Napoli.
L’Abramovic mette il suo corpo a disposizione del pubblico che può usare su di lei due tipi di strumenti, di piacere o di dolore. Fra gli strumenti c’è anche una pistola con un proiettile vero nel caricatore.

1977 Imponderalia. Galleria Comunale di Arte Moderna, Bologna.
L’Abramovic e Ulay si fronteggiano nudi sul ciglio di una porta. Il pubblico, invitato a passare proprio attraverso quella porta, si trova a decidere quale dei due nudi sfiorare.

1977 Three.
Introduce l’elemento animale nella performance con Ulay. L’unione dei due avviene attraverso la presentazione simbolica di un serpente. Entrambi soffiano contemporaneamente in una bottiglia per un tempo indeterminato e producono dei suoni costanti che giungono al rettile tramite un circuito d’acciaio. L’animale alla fine sceglie quale sorgente di suono seguire.

1978 AAA-AAA. RTB television studio, Liegi.
Per ben quindici minuti l’Abramovic ed Ulay emettono dei suoni davanti ad un monitor finendo per compenetrarsi in un'unica emissione vocale.

1986 Nightsea Crossing. New Museum of Contemporary Art, New York.
Intorno ad un tavolo si siedono una di fronte all’altra delle persone. Tutti seguono l’attenta e precisa gradazione dei colori negli abiti.

1988 The Great Wall Walk. Cina.
Questa è l’ultima performance in coppia con Ulay. Esplora poeticamente il tema dell’unione nella relazione uomo-donna ed è un modo per ritualizzare la loro rottura artistica e sentimentale. I due partono dalle estremità opposte della Muraglia Cinese, monumento orientale che segue le linee energetiche della terra, il 30 aprile per incontrarsi il 27 giugno. Ciascuno ha percorso mille chilometri a piedi in totale solitudine.

1990 Dragon Heads. The Church, New Castle.
L’Abramovic è seduta sopra una sedia circondata da blocchi di ghiaccio. Attorno a lei cinque pitoni affamati, tenuti a digiuno per due settimane, la avvicinano al confine con la morte.

1992 Il quadro vivente
L’Abramovic è sospesa su ossa di animali che sono divorate da cani collegati a microfoni.

1995 The Onion. Video performance. UTA, Dallas.
L’Abramovic mangia la cipolla più grande che ha trovato nell'orto e si lamenta della sua esistenza. Il video dura otto minuti, tempo necessario all'artista per mangiare tutta la cipolla che è simbolo della vita poichè come questa è strutturata a strati.

1995 Cleaning the Mirror II. Oxford University, Oxford.
Questa performance appartiene al ciclo delle video installazioni. L’Abramovic giace nuda sopra un lenzuolo bianco con uno scheletro riverso faccia a faccia sopra di lei. Lo scheletro si solleva e si ripiega a seconda dei respiri dell’artista.

1997 Balkan Baroque. Biennale di Venezia. Leone d’Oro.
Seduta a terra, vestita con un abito candido, lava la montagna di ossa insanguinate che la circondano. Intende compiere un rituale espiatorio delle colpe di cui si è macchiato il suo Paese durante i conflitti etnici nei Balcani.

2001 Marienbad. Padiglione Charcot dell’ex ospedale neuropsichiatrico di Volterra.
«L’installazione-performance è stata progettata dall’Abramovic appositamente per il luogo.[…] Il pubblico deve […] togliersi le proprie scarpe, mettere le «scarpe da mambo», fornite all’entrata, ed incamminarsi lungo il corridoio. In fondo al corridoio, in una stanza dalle finestre socchiuse, c’è lei: Marina Abramovic. Fasciata in un abbagliante abito rosso fuoco, Marina balla sulle note di «Mambo Italiano», offrendosi al pubblico come un’icona senza tempo, «diva e clown» (il riferimento alla Mangano è evidente) come viene definita nella presentazione del progetto.» Floriano De Santis, www.laba.edu, 2002

2002 The House with the Ocean View. Sean Kelly Gallery, New York. New York Dance and Performance Award.
Lo spazio è composto da tre piattaforme con cinque scalini ciascuna dal pavimento. Su una c’è un letto di legno, acqua fresca e un metronomo, su una il bagno e una doccia usata tre volte al giorno come rituale di purificazione e di esposizione di se stessa. Tra le due piattaforme un tavolo e una sedia. Il cuscino è una pietra bianca. Per dodici giorni, in silenzio perfetto, non ha mangiato nulla e ha bevuto solo acqua. Non ha avuto niente da leggere o per scrivere. Un telescopio potente puntato direttamente su di lei permetteva al pubblico di vedere addirittura ogni pelo delle sue sopracciglia.

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Rassegna stampa

1977
George F. Schwarzbauer, Kunstforum, Giugno 1977 (deut)

1990
J. Pijnappel, Art & Design Profile, n. 21, 1990 (eng)

1993
Hannoversche Allgemeine Zeitung, 10 Feb 1993 (deut)
Michael Grus, Frankfurter Rundschau, 20 Mar 1993 (deut)
Suddeutsche Zeitung, 27 Mar 1993 (deut)
Katrin Bettina, Der Zitty-Magazine, Marzo 1993 (deut)
Karin Mecklenburg, Architektur & Women, Apr-Mag 1993 (deut)

1994
Dean Balsamo, The Santa Fe New Mexican, 17 Giu 1994 (eng)

1995
Aline Brandauer, Art in America, Gennaio 1995 (eng)
Roberta Smith, The New York Times, 2 Apr 1995 (eng)
Geraldine Norman, The Independent, 24 Apr 1995 (eng)
Robin Baillie, Art Preview, 26 Lug 1995 (eng)
Aline Brandauer, Sculpture, Lug-Ago 1995 (eng)
Gillian Harris, The Scotsman, 1 Ago 1995 (eng)
Edinburgh Evening News, 2 Ago 1995 (eng)
Clare Henery, The Herald, 2 Ago 1995 (eng)
Paul Harris, Spectrum, 27 Ago 1995 (eng)
Sally Kerr, The Scotsman, 30 Ago 1995 (eng)
Marina Abramovic, Galeries Magazine, Estate 1995 (eng)
Richard Carr, ArtWork, Ago-Set 1995 (eng)
Martin Gayford, The Spectator, 2 Set 1995 (eng)
Sarah Milroy, The Globe and Mail, 4 Ott 1995 (eng)
Charles Dee Mitchell, Art in America, Ottobre1995 (eng)
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Jonathan Napack, The New York Observer, 25 Dic 1995 (eng)
Alan Riding, The New York Times, 26 Dic 1995 (eng)
Tim Martin, Third Text, Inverno 1995 (eng)

1996
Yvonne Volkart, Flash Art, Gen-Feb 1996 (eng)
Janet Kutner, Dallas Morning News, 11 Mar 1996 (eng)
Eleanor Heartney, Art in America, Marzo 1996 (eng)
Gregory Volk, Art in America, Maggio 1996 (eng)
Linda Yablonsky, Time Out, 26 Giu 1996 (eng)
Valerie Reardon, Art Monthly, Giugno 1996 (eng)
Linda Yablonsky, Time Out, 18 Set 1996 (eng)
Richard Vine, Art in America, Ottobre 1996 (eng)

1997
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Linda De Santis, La Repubblica, 21 Mag 1997 (ita)
Adrianna Di Genova, Il Manifesto, 21 Mag 1997 (ita)
Alessandra Mammi, L'Espresso, 22 Mag 1997 (ita)
Enrico Gallian, L'Unità, 23 Mag 1997 (ita)
Rosella Caruso, Artel, 1 Giu 1997 (ita)
Francesca Romana Morelli, Il Giornale Dell'Arte, Giugno 1997 (ita)
Adrian Searle, The Guardian, 17 Giu 1997 (eng)
Susanna Legrenzi, Io Donna, 28 Giu 1997 (ita)
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Satoru Nagoya, Flash Art, Estate 1997 (eng)
Michael Archer, Art Monthly, Settembre 1997 (eng)
Dan Cameron, Artforum, Settembre 1997 (eng)
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Nicolaus Von Frank, Art, Settembre 1997 (deut)
Christian Haye, Freize, Set-Ott 1997 (eng)
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Roberta Smith, The New York Times, 31 Ott 1997 (eng)
C. Carr, The Village Voice, 25 Nov 1997 (eng)
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The Art Magazine, Inverno 1997 (eng)
Jenifer Fisher, Art Journal, Inverno 1997 (eng)
Amelia Jones, Art Journal, Inverno 1997 (eng)
Norman Bryson, Gilbert Jermy, Art Text, Nov 1997-Gen 1998 (eng)

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Blair Brennan, International Contemporary Art, Feb-Apr 1998 (eng)
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Eileen Daspin, The Wall Street Journal, 29 Mag 1998 (eng)
David Joselit, Art in America, Novembre 1998 (eng)
Daniel Pinchbeck, The Art Newspaper, Novembre 1998 (eng)

1999
Robert Ayers, Art Monthly, Febbraio 1999 (eng)
Robert Atkins, Art in America, Marzo 1999 (eng)
The New York Art World, Marzo 1999 (eng)
Franklin Sirmans, Flash Art, Mar-Apr 1999 (eng)
Nina Zivancevic, New York Arts, Aprile 1999 (eng)
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Roberta Smith, The New York Times, 16 Lug 1999 (eng)
Martha Schwendener, Time Out New York, 19 Ago 1999 (eng)
Alexandra Balfour, Pitchaya Sudbanthad, Museo, vol.2, Estate 1999 (eng)
Janet A. Kaplan, Art Journal, Estate 1999 (eng)
Artforum, Estate 1999 (eng)
Aaron Williamson, Art Monthly, Ottobre 1999 (eng)
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Kim Levin, The Village Voice, 23 Gen 2001 (eng)
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Michael Rush, The New York Times, 2 Feb 2003 (eng)
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2004
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Bibliografia

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Marina Abramovic, Cleaning the House, Art and Design Monograph, Academy Editions, 1995
Marina Abramovic, Double Edge, Niggli, 1997
Marina Abramovic, Performing Body, Charta, 1998
Marina Abramovic, The Bridge/El Puente, Charta, 1999
Friedrich Meschede, Marina Abramovic, Stuttgart, 1999
Marina Abramovic, Paul Celant, Sergio Troisi, Marina Abramovic-Public Body, Charta, 2002

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Filmografia

Solo Performances, 1988-1998
The Lovers, The Great Wall Walk, 1988
Continental Videoseries, 1983-1986
Modus Vivendi, 1979-86
A Performance Anthology, 1975-1980

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