DWF. Donna Woman Femme
Rivista internazionale di studi antropologici storici e sociali sulla donna
Roma, Bulzoni
1975 Anno I, n. 1
Presentazione, pp. 7-9
Presenta il programma scientifico e politico
della rivista, consistente in una revisione critica dell'immagine della donna
che la cultura tradizionale maschile ha prodotto e consolidato con l'ausilio
di tutte le scienze. Per fare questo si utilizzeranno tutti gli strumenti critici
di cui la cultura e la scienza maschile hanno fatto grazia alle donne in un
processo di emancipazione.
MAGLI Ida, Dalla storia "naturale" alla storia "culturale"
- La donna nella ricerca antropologica, pp. 11-25
Il concetto antropologico di "cultura"
ha significato una rivoluzione nello studio dell'uomo. Ha spostato l'enfasi
dalla "natura" dell'uomo ai suoi "prodotti" collettivi e
cumulativi. Prima della nascita dell'antropologia culturale la storia dell'uomo
era una storia "naturale". Dall'antichità, attraverso il Medioevo,
fino al Rinascimento e oltre, era la cosmobiologia, quel nesso vitale tra la
terra e il cielo, tra dei e uomini, che rendeva intelligibile l'universo. Anche
la storia della donna era una storia "naturale" - poiché i
suoi ritmi la legavano strettamente ai cicli cosmici. Con
l'Illuminismo, la visione cosmobiologica portò a una concezione organicistica,
scientifica, dell'universo collegando la dimensione fisica a quella morale e
psicologica, una scienza dunque che connetteva più radicalmente la storia
della donna alla sua "natura". Solo con la scoperta del concetto di
"cultura", che abbraccia una visione globale della realtà,
diventa possibile individuare la vera storia della donna.
MORSELLI DAVOLI Graziella, La donna come soggetto conoscente, pp. 27-35
Una scienza in cui la donna è soggetto
conoscente è una parte distinta dell'epistemologia. L'individuazione
di essa all'interno della conoscenza in generale può essere spiegata
o in termini speciali (ma così dà origine a scienze che sono rilevanti
solo in specifici contesti storici e sociali) o attraverso l'ipotesi della pluralità
delle logiche. È necessario delineare
un panorama statistico e descrittivo e un'analisi formale del pensiero scientifico
femminile nella sua specificità, in modo da mettere in rilievo le sue
costanti strutturali e assicurare la loro traducibilità nella teoria.
La formulazione di una teoria della scienza
con la donna quale soggetto epistemico è sia un atto politico (poiché
dalla consapevolezza del loro "universo logico" le donne possono derivare
il potere necessario per influenzare la trasformazione della società)
sia la preparazione a una sintesi filosofica "radicale e fondamentale":
prima di tutto perché la stessa metodologia dovrà essere originale;
in secondo luogo perché, nell'esplorare il pensiero fino alle origini
di ogni diversità, può essere in grado di riformulare il rapporto
soggetto-oggetto nella conoscenza e contribuire, attraverso la consapevolezza
epistemica del soggetto femminile vivente, alla costruzione della futura scienza
umana, oltre la stessa scienza "maschile".
BUTTAFUOCO Annarita, Il tempo ritrovato. Riflessioni sul mestiere di storica,
pp. 37-47
L'autrice analizza il ruolo delle storiche.
Ritiene che la disciplina storica stia attraversando una crisi. Tale crisi è
dovuta alla scoperta di una nuova storia che è mitica, ripetitiva e primitiva;
a una nuova economia e alla scoperta della lunga durata. Le donne, che vogliono
avere a che fare con la storia in quanto disciplina devono prendere in esame
una storia totale e non più parziale come lo è stata finora. Devono
rifiutare l'immobilismo culturale esistente e accettare il discontinuo: in una
parola, devono esporsi alla storia. Più significativamente, la storica
deve restituire alla storia la storia della donna - ad esempio, una storia in
cui le donne sono partecipanti attive e soggetti e non oggetti passivi, soltanto
agiti. In questo modo, la storia non sarà più concepita come lo
è stata fino ad ora, "his-story", o storia dell'uomo. Diventerà
storia di tutta l'umanità.
CONTI ODORISIO Ginevra, La soggezione della donna nella polemica Linguet-Montesquieu,
pp. 49-63
La soggezione della donna è stata attentamente
esaminata nel XVIII secolo da S.H.N. Linguet, un saggista interessante e originale.
Egli ha cercato di analizzare il fenomeno e di spiegare come questa soggezione
si è rafforzata attraverso i secoli. Il suo attacco polemico a Montesquieu
rivela il modo diverso in cui i due scrittori valutano il ruolo pubblico e privato
delle donne in una società eminentemente patriarcale. Queste differenze
sono importanti dato che il pensiero di Montesquieu ha profondamente influenzato
la legislazione dei paesi occidentali. Nel
prendere diverse posizioni politiche essi configurano diverse soluzioni a favore
dell'emancipazione delle donne. Nel liberalismo di Montesquieu ciò sarebbe
dovuto avvenire attraverso una graduale assimilazione delle donne ai modelli
maschili. Nella democrazia autoritaria di Linguet, la società patriarcale
e la libertà femminile sono visti come profondamente incompatibili e
si riconosce la necessità di un cambiamento della società.
FERRO Filippo Maria, La donna tra ragione e follia. Riflessioni in margine
alla storia dell'ideologia psichiatrica, pp. 65-76
La storia dell'oppressione della donna può
essere ricostruita dal punto di vista della storia culturale. Vengono qui esaminati
alcuni aspetti di tale oppressione nello sviluppo dell'ideologia psichiatrica.
Gli esempi tratti dal pensiero occidentale vanno dall'antichità classica
fino all'epoca moderna. Scelti a caso, hanno sempre lo scopo di stimolare un
ripensamento critico dell'atteggiamento psichiatrico nei confronti della donna.
La possibilità di un approccio differente
alle donne nell'ideologia psichiatrica sta guadagnando terreno all'interno del
movimento della "nuova psichiatria", in parte attraverso la revisione
delle teorie psicoanalitiche e in parte attraverso il confronto con il cosiddetto
movimento "antipsichiatrico".
MORREALE Maria Teresa, Malina, o la sopraffazione dell'io femminile, pp.
77-89
Malina, un romanzo dell'autrice austriaca Ingeborg
Bachmann, morta a Roma nell'ottobre del 1973, esprime l'estremo malessere di
una donna incapace di avere un rapporto soddisfacente sia con la realtà
che la circonda sia con i due uomini con i quali, in modi diversi, divide la
vita.
Il saggio di M. T. Morreale sottolinea la connessione tra la protagonista e
l'autrice del racconto. E la più generale condizione di isolamento in
cui una donna, per quanto emancipata e libera possa essere, si trova costretta
a vivere oggi. Malina, un racconto autobiografico
accurato ed espressivo nella forma, istituisce uno stretto nesso tra la protagonista
e l'autrice. Bachmann, la cui vita era quella di un'intellettuale, di una scrittrice
e insieme di una donna, una vita intensa e piena di sofferenza al contempo,
dà al suo racconto una dimensione esistenziale che coinvolge tutte le
donne avvertite della "condizione femminile", come elemento di discriminazione,
così come tutte quelle che ne stanno gradualmente prendendo atto. E poiché
una donna non è un'entità separata dalla specie, il tema del racconto
riguarda tutta l'umanità.
GASBARRO Nicola, Il segno filmico femminile. La donna come metalinguaggio,
pp. 91-109
Nei film e nelle donne, all'interno della cultura
occidentale, esiste una contraddizione fondamentale: entrambi sono rispettivamente
"valori" e "segni" di questi "valori".
Il film è un "valore" per i contenuti che trasmette: è
un "segno" per i "codici di comunicazione" che utilizza.
Inoltre lo stesso uso di codici è un "valore" dal punto di
vista antropologico. Le donne in una società patriarcale, come la nostra,
anche quando hanno propri "valori", sono spesso "segni"
di valori maschili. Nei film questo "sfruttamento
semiotico" delle donne è portato all'estremo grazie ad un artificio
metalinguistico. Il metalinguaggio filmico usa la "donna segno" per
dare nuovi significati che si sovrappongono a quelli usuali. Anche quando le
donne sembrano esprimere i loro propri valori, in realtà stanno trasmettendo
contenuti maschili. È necessario che le donne si liberino dal metalinguaggio.
CAPOMAZZA Tilde (a cura di), La donna colombiana: presente e futuro, pp.
111-135
Le donne colombiane, come molte altre, sono
forzate a dedicare tutta la loro vita alla casa e alla famiglia. In aggiunta
a questa forma di discriminazione, comune ad altre culture, le donne colombiane
sono anche fortemente discriminate a livello economico, giuridico e politico.
Di conseguenza trovano difficoltà a entrare nei processi produttivi caratterizzati
da un mercato del lavoro estremamente instabile, insicuro che priva di garanzie
uomini e donne. Ma anche quando il privilegio
di un certo tipo di educazione le mette in grado di aspirare a un'attività
lavorativa, sorgono due problemi principali: 1) conflitti psicologici tipici
dei cambiamenti delle norme e 2) difficoltà oggettive derivanti da una
società ancora carente di servizi sociali. L'indagine è tratta
da un gruppo di ricerche del CIAS (Centro de Investigation y Accion Social)
di Bogotà. Tilde Capomazza ha tradotto
il testo e lo ha combinato e integrato con una serie di osservazioni storiche,
antropologiche e soprattutto sociopolitiche, nell'intento di renderlo più
comprensibile alle lettrici non colombiane. In particolare la condizione delle
donne è analizzata in rapporto al contesto sociopolitico e alle decisioni
politiche delle élites di potere.
BRIA Pietro, Appunti per una psicoanalisi della maternità, pp. 137-145
In questo lavoro l'autore propone una prima
interpretazione psicoanalitica di alcune caratteristiche comportamentali delle
donne durante la gravidanza e il parto. Il comportamento descritto sembra essere
causato da un'aggressività inconscia che la madre manifesta verso il
bambino che deve nascere. Questa aggressività è presumibilmente
dovuta a un meccanismo psicologico per il quale la donna incinta si identifica
con "un'immagine archetipica materna" che la conduce a vivere il doppio
ruolo di figlia e di madre. Tale situazione
conflittuale si rivela sia nelle fantasie della donna, spesso centrate sulla
sua stessa nascita, sia nella paura di danneggiare il figlio durante il parto.
Questo fenomeno è determinato dalla difficoltà che l'inconscio
femminile ha a riconoscere il bambino come un'entità distinta dal corpo
della madre.
MAGLI Ida, Note dell'antropologa, pp. 145-150
Nelle successive note antropologiche, viene
proposta una diversa interpretazione dello stesso fenomeno. Il significato sociale
e culturale della gravidanza e della maternità deve essere inserito in
modo attivo nelle spiegazioni psicoanalitiche e psichiatriche; dev'essere interpretato
ad esempio a seconda dei diversi gruppi umani. Va
sottolineato che in ogni cultura i difetti fisici del bambino sono attribuiti
a colpe e/o a voglie della madre, fatto questo che potrebbe spiegare la paura
delle donne di danneggiare il bambino durante il parto. Occorre sottolineare
il fatto che le donne incinte sono inclini a esperire una relazione con un mondo
trascendente e con il "potere" dei morti e di un "altro mondo".
Questa esperienza non appartiene all'immaginazione della donna, poiché
è classificata in questo modo in ogni cultura.
BUTTAFUOCO Annarita (a cura di), Se le donne si debbano ammettere allo Studio
delle Scienze e delle Arti nobili: discorsi accademici di vari autori viventi
intorno agli studi delle donne (la maggior parte recitati dagli autori medesimi)
all'Accademia de' Ricovrati in Padova; 16 giugno 1723, pp. 151-177
Testi offerti nella sezione "Materiali", dai quali possono nascere spunti di ricerche, di riletture critiche, di approfondimento.