Aggiunta e mutamento, 2005, n. 2-3 (66-67) aprile-settembre
PER
LA PRATICA POLITICA, p. 3-7
(Versione
integrale - Testo elaborato e discusso
da Paola Bono, Patrizia Calcioli, Monica Farnetti, Laura Fortini, Federica Giardini,
Brunella Greco, Paola Masi, Valentina Russi)
Parliamo di una sfida che larte porta alla politica. Per essere più precise facciamo riferimento al fatto che da un po di tempo, di fronte alla sempre minore efficacia della parola politica, alcune e alcuni artisti riescono a comunicare ed esprimere il bisogno di senso e di cambiamento del mondo in modo molto efficace, aprendo allascolto e allo scambio. Cosa questa che era tipica del «parlare del mondo a partire da sé» e che ha segnato il modo di fare e intendere la politica delle donne. Non stiamo però parlando dellarte come «impegno politico-ideologico », né del ruolo che le avanguardie artistiche hanno o possono avere nella società, rispetto alla politica. Non sono a tema i film di Michael Moore, né i concerti degli U2, e nemmeno le libertà della letteratura o di qualsiasi altra arte rispetto al pensiero politico. Abbiamo piuttosto presente gli scritti di Arundhati Roy sulla globalizzazione e limpero, i video di Bill Viola sul tempo e sugli spazi, il corpo di Uma Thurman in «Kill Bill», gli spettacoli di Pina Bausch. Questi esempi hanno in comune una forza nellindicare con precisione, nellesprimere e dunque nel comunicare il mondo in cui viviamo. Una forza che è stata quella della politica del femminismo. Iniziamo ad interrogare questo fatto: come, dove e perché accade oggi? Il contesto da cui partiamo: la guerra come «politica con altri mezzi» che ci capita di vivere sempre più spesso; e il terrorismo, i rapimenti politici, i conflitti tra etnie, la mercificazione della democrazia. Succede che la comunicazione politica su questi eventi tenda a colpirci individualmente, neanche più come cittadine/i, ma solo come corpi e pensieri separati, isolati. Essere ferite/i individualmente: è dolore che colpisce «uno ad uno», non lutto ma solo implosione nellintimo di ognuno/a, nel ventre molle del privato. Il messaggio sugli eventi del mondo tende a tramortirci. Essere tramortite dal dolore, per la morte, per la minaccia, per la paura e per i teoremi sulla paura: la strategia di controllo riduce il mio essere, il mondo, il nemico, il gene, il byte, a elemento isolato e dolente. Costringe ogni donna a immergersi e a rimanere nelle acque che il potere ignora o che non vuole chiamare politica. È, può essere, un bene? Se questo è il contesto può non essere un caso che qualche linguaggio artistico arrivi oggi dove altri non sanno, abbia una forza radicale e agisca per il cambiamento. Larte è prima di tutto una pratica, la ricerca effettiva di un linguaggio efficace. La sua capacità espressiva mostra nei fatti lo «splendore di avere un linguaggio» di cui parlava Clarice Lispector e che tanto ha significato per la politica delle donne. Ci rimanda a un dire la verità del mondo in cui viviamo, un dire che ritrova corpo, fisicità, materialità e che è capace di ospitare laccadere, con dolore ma anche con meraviglia. Larte può aiutare ad elaborare il dolore, a farne lutto, a superarlo come anche ad alzare la soglia dellinsopportabile. Ma resta pratica legata necessariamente alla relazione con laltra/o che ne fruisce, a cui domanda di un «ritorno»: chiede di accoglierla, di darle spazio e non solo dinterpretarla. Abbiamo provato a rintracciare i segni dellagire politico che oggi ci piace. Nella desolazione del panorama politico contemporaneo, non possiamo non notare che le poche esperienze che ci sono venute in mente portavano la voce e lesperienza di chi fa/lavora con il linguaggio artistico: è lesperienza della «carovana civile» di Fatima Mernissi, è la commissione della verità e della riconciliazione raccontata e documentata da poeti e scrittrici in Sudafrica, è la resistenza attiva contro la costruzione delle dighe in India raccontata da Arundhati Roy. Queste pratiche oggi ci parlano di più di altre. Spezzano il senso dimpotenza e di avversione per questo mondo attraverso un nuovo rapporto tra segni e «stato delle cose». Parlarne è un modo per rilanciare lagire politico che ci piace, è una forma di responsabilità politica.
Un reato di aggiunta e mutamento
Cosa hanno in più, o cosa conservano alcune pratiche artistiche, rispetto alle pratiche politiche della nostra polis? Il bellissimo testo di Ortese ad introduzione de Il porto di Toledo (Adelphi 1998), «Anne, le aggiunte e il mutamento» mostra, crudamente, che quello che ci manca è, non tanto lindividuazione di nuove pratiche come lo sono state lautocoscienza, le relazioni tra donne , perché queste ci sono, sono numerose, le possiamo anche raccontare. Quel che manca è saper individuare, e dunque nominare, cosa faccia di una pratica un «reato di aggiunta e mutamento», appunto, contro un blocco sociale e culturale, contro quella disumanizzazione che, se per Ortese è la riduzione e sopraffazione dellumano alla «non-ragione», per noi è la miseria che schiaccia le singolarità in individualità i cittadini in sudditi rendendole incapaci di autorappresentazione e di «mondificazione». Perché non resti un urlo, una pratica deve rivelare, come già larte in certi casi, la sua forza. Per forza intendiamo un atto costruttivo e non distruttivo (diversamente dalla guerra, dalla violenza), unaggiunta. Esiste una forza di donna, questa è una novità: forza che una non subisce più o soltanto, forza che non è mimesi di quella maschile. Ma come può essere oggi un pensiero della forza? Forse il piacere che viene dalla forza di certi atti artistici ci ha già messo su una buona pista
Lutile e la tensione allespressione
Il fatto nuovo da cui partiamo non tiene in conto la sola capacità di comunicazione della parola/linguaggio artistico, che cè sempre stata, ma le sollecitazioni che rivolge a noi donne femministe, nelle donne che comunicano politicamente. Lo spostamento è essenziale. Mobilità/dinamica/mutamento nellarte che ci parla, riscopre elementi fondanti anche della pratica politica del femminismo. In noi risveglia la tensione allespressione, quella che cerca forme alla rabbia con la potenza della bufera. In noi rimette in movimento e solleva dal suolo ciò che resta (molto) fuori dalle regole del mercato. Continuare, riprendere a comunicare politicamente sta anche nel riconoscere che alcuni linguaggi artistici comunicano in modo forte. Insieme a questa tensione, che starebbe dalla parte del desiderio, cè anche la percezione di un utile che si dà quando si torni a significare il mondo in modo efficace, a trasformarlo. Molto del concetto di utile è eredità più o meno diretta del settecento europeo e della nascita del capitalismo industriale; vista così sembrerebbe uneredità pesante; eppure è un concetto che più di altri insieme a «vantaggio» e «guadagno» abbiamo largamente usato nel femminismo. La forza di significazione che riconosciamo al linguaggio/parola artistica è anche unoccasione per capire meglio lutile che ci interessa. «Utile» porta dentro un valore duso, un soggetto e un corpo, che lo rendono legittimo, senza abuso, senza troppi fantasmi, utile come utensile quotidiano. Lutile nel corpo a corpo con alcune opere darte si misura in felicità, una specie di euforia da accrescimento di realtà e, insieme, da difesa vincente sul potere. Una felicità che arriva per «soprammercato», nelle parole di Cristina Campo, e che rimane sempre fuori dal calcolo. Lutile che sopravviene dimostra come il tempo del mutamento può essere differito o dislocato talora è la scrittrice a fare aggiunta e la lettrice a fare mutamento ma che la trasformazione è conseguenza della relazione.
La forza delle cose
La distanza tra arte e politica si accorcia solo se la pratica e il linguaggio che ci riguardano non si limitano allinterpretazione, anzi, battono contro le anestesie e gli occultamenti e linsignificanza che un eccesso dinterpretazione genera. Un linguaggio che abbia la forza di restituire le cose, e i soggetti, a loro stesse/i, capace di sopportare come tale il desiderio dinfinito dellarte e il desiderio di felicità racchiuso nella politica senza svuotarlo, senza riempirlo. Come nel racconto di Anna Banti, Le donne muoiono, dove gli uomini cominciano a credere di avere un futuro infinito e le donne imparano ad usare gli strumenti per lenire e convivere con la consapevolezza e la memoria della propria finitezza.
Fare spazio alle voci senza parola