NOTA EDITORIALE
di Paola Bono
(versione integrale)
Ci sono fili che legano tra loro, pur nell’indubbia eterogeneità, le proposte
di lettura raccolte in questo numero – in primis, naturalmente, il loro
intrinseco interesse, motivo che innanzitutto ci ha spinto a sceglierle
e a offrirle a lettrici e lettori come una sorta di regalo di fine d’anno,
giacché trattano argomenti, assai diversi, di cui in Italia si è scritto poco
e a volte nulla.
Certamente i giornali hanno a suo tempo parlato dell’epocale esperienza
sudafricana di una pesante, e ancora difficile, transizione che poteva
assumere derive di ritorsione o di rimozione, e che attraverso la parola e
la relazione in presenza ha scelto invece la strada di una giustizia senza
vendetta e senza oblio; ma non vi sono state riflessioni più approfondite,
come quella presentata qui da Livia Panici, che a partire da una attenta
ricognizione di documenti ufficiali e di analisi già condotte ripercorre
la storia della Commissione per la Verità e la Riconciliazione – e con
un taglio che mette al centro il contributo delle donne a quel processo
straordinario, nel passaggio (come le ha scritto Federica Giardini, indirizzandola
in questo senso) “dal paradigma dell’oppressione a quello
dell’espressione”.
Una frase che si potrebbe usare anche per Anne Lister,
studiosa settecentesca di anatomia la cui passione per questa scienza
si lega all’indagine su di sé e sulla sua sessualità fuori dalle regole;
una figura da poco uscita dal silenzio anche nel mondo anglofono dei
gender studies e dei gay and lesbian studies, la cui vita eccezionale,
registrata in un diario in codice amorosamente decifrato, ci viene restituita
da Cristina Grilli. L’approccio e le metodologie della “new musicology” non sono ignote a una ristretta cerchia di studiose italiane, ma il
panorama delineato da Serena Guarracino costituisce una introduzione
accurata e profonda a questo campo di ricerca, arricchito da notazioni
originali, e inoltre leggibile e riutilizzabile nelle sue suggestioni anche
da non addette ai lavori.
Come di tanti altri, si sarebbero potute perdere
cognizione e memoria del tentativo – in parte riuscito, ma che segna anche
lo scacco non elaborato di una conclusione senza apparente motivo
– del gruppo teatrale Divina, significativa in sé e per le questioni che
pone rispetto al lavorare tra donne per una ricerca espressiva svincolata
da quella, pure praticata con successo, della partecipazione a imprese e
progetti, in questo caso di carattere creativo, con uomini.
Riprendendo il titolo di una rubrica che non compare più come tale in
DWF, ma che nella sostanza ci è piaciuto conservare, potremmo dire –
secondo punto di contatto – che tutti e quattro i testi sono testimonianze
di “legami magistrali”, di un dipanarsi e persistere nel tempo, attraverso
la pratica dell’insegnamento, rapporto delicato, difficile e felice, di quel
pensiero femminista che per tante di noi è nato e cresciuto nei luoghi
del “movimento”.
Oggi certamente ci sono ancora luoghi privilegiati di
riflessione e invenzione, politica e culturale, in cui le donne di allora e
donne venute dopo continuano insieme un percorso di cambiamento:
ci piace pensare, ad esempio, che proprio DWF lo sia – e negli ultimi
tempi si sono unite a noi in redazione alcune giovani donne che speriamo
entrino a farne parte in modo stabile. Ma nel frattempo, e sempre
di più, è anche il rapporto pedagogico istituzionalmente strutturato a
creare occasioni – senza necessariamente aver bisogno di corsi ufficiali
di women’s studies – per avvicinamenti e scoperte, con la possibilità di
attingere alla ricchezza della produzione femminista anche attraverso
libri e articoli, insieme alla parola viva della docente con cui si stabilisce
una relazione significativa.
Così è stato per le autrici dei testi che
presentiamo qui, come fanno fede da un lato le brevi introduzioni di
Roberta Gandolfi per Carlotta Pedrazzoli e di Helena Whitbread per
Cristina Grilli (quest’ultima in ideale successione alla relatrice della
tesi di laurea di Cristina, Silvana Colella, in un estendersi geografico e
culturale del circolo virtuoso della comunicazione di saperi), e dall’altro
le premesse di Livia Panici e Serena Guarracino, che riconoscono e
vogliono mettere in parola l’importanza, nel loro itinerario formativo di
venuta alla scrittura e di presa di consapevolezza sessuata, delle docenti
felicemente incontrate durante gli studi universitari, nominando l’apporto
per loro fondamentale per l’una di Federica Giardini, per l’altra
di Jane Wilkinson e Lidia Curti Ed è bello che nel caso del rapporto
tra Livia e Federica questo sia un passaggio a sua volta radicato in un
passaggio, essendo la stessa Federica – l’invenzione linguistica è anzi
proprio sua – una donna venuta dopo, che ha potuto avere “maestre” cui
fare riferimento nella sua crescita di vita e di pensiero.
Infine, e in vari modi, è l’elemento della narrazione a tenere insieme
questi contributi.
Narrazione di storie che si vuole salvare, e qui il discorso
della memoria e della trasmissione si ripropone con forza, ma
anche narrazione che ad altre narrazioni fa riferimento. La verità e la
riconciliazione che, con mossa inedita e coraggiosa, il Sudafrica uscito
dall’apartheid ha scelto di perseguire – invece di prendere la strada tutta
legalistica della punizione attraverso procedure giuridiche e esiti carcerari,
oppure quella facile e lacerante di una amnistia aprioristica e generalizzata
– hanno messo al centro proprio una pratica di narrazione, con
la raccolta di “testimonianze delle persone comuni, delle vittime e dei
carnefici che hanno partecipato alla stessa discussione contribuendo alla
creazione di una sorta di archivio nazionale”; Anne Lister si è narrata
nel suo diario, lasciandoci da un lato una preziosa testimonianza del suo
lavoro nel campo dell’anatomia, allora precluso alle donne, e dall’altro
il racconto delle sue esperienze amorose omosessuali, cui sottende il
desiderio di costruirsi una tradizione, una sorta di genealogia lesbica che
va a rintracciare nello studio di testi classici una memoria perduta su cui
fondare l’autorizzazione di sé; le storie che il teatro d’opera racconta
– ma che racconta, e ciò è fondamentale, attraverso parole in musica, attraverso
voci e corpi sessuati in cui si iscrivono la differenza e l’indagine
della differenza – possono essere rilette in una diversa ottica per farne
emergere “l’eccesso di significato, espressione e percezione di una presenza
incommensurabile rispetto alle categorizzazioni della modernità
occidentale”; le interviste alle donne di Divina, spinte a ripercorrere quel
periodo della loro vita, a ritrovare i motivi del loro gesto separatista, a
indagarne guadagni e difficoltà, sono lievito di comprensione nella consultazione
delle fonti d’archivio per farci conoscere quella “stanza tutta
per loro” in cui hanno potuto sperimentare altri modelli creativi dopo
anni di lavoro in collettivi strutturati con una forte leadership registica
maschile.
MATERIA
Verità e riconciliazione in Sud Africa: il contributo delle donne
di Livia Panici
"Ho scelto di parlare del Sud Africa, della sua difficile e sorprendente
transizione democratica, ed in particolare del contributo dato al paese
dalle donne che hanno partecipato alla Commissione per la Verità e la
Riconciliazione.
Il significato e la portata di questa invenzione politica non erano semplici
da cogliere; il primo sentimento che ricordo è stato lo smarrimento
di fronte alla fila di scaffali nella Peace Library del Centre for Conflict
Resolution (CCR) interna all’Università di Città del Capo (UCT), dove
in ogni testo compariva la parola “verità”, abbinata o meno a quella
“riconciliazione”. Sally Schramm, la direttrice, mi ha aiutata spesso a
selezionare il materiale e più di una volta si è seduta di fronte a me a
raccontare la sua versione di storia. Era un po’ come leggere (o ascoltare)
il Country of My Skull di Antjie Krog, una diversa e personalissima
esperienza della commissione, da abbinare poi ai sette volumi del
Report ufficiale: due strumenti, entrambi indispensabili. Una diversa
parte del mio studio si è svolto al Barboia, il cocktail bar di Long Street
dove lavoravo;..."
Una idée innée: Anne Lister e la dissezione dei cadaveri
di Cristina Grilli
"Parigi, 16 Aprile 1830. Nel cielo azzurro, le rondini si rincorrono verso il
campanile della chiesa Panthéon, come se volessero rifuggire lo sguardo
della morte che le scruta da una finestra di un piccolo appartamento di
Via St. Victor n. 7, al cui interno, appoggiato alla parete, si intravede un
modello di scheletro umano; su una scrivania ci sono due candele consumate,
un bisturi ed un forcipe. Un cattivo odore di strinatura, mescolato
a quello altrettanto intenso di trementina, pervade la casa. Julliart, un
giovane medico svizzero, è intento a bruciare i capelli infestati di pidocchi
di una donna appena deceduta. Pochi resisterebbero alla vista di
tale scena, soprattutto quando il volto del cadavere viene sezionato per
studiarne i muscoli facciali. Sorprendentemente, l’unico spettatore non
prova alcun disgusto, al contrario, segue con interesse la lezione (Lister
13 -17 aprile 1830). A ben vedere, questo studente, dall’apparenza mascolina,
è una donna, si chiama Anne Lister (1791-1840)..."
Il femminismo all’opera. Percorsi della nuova musicologia
di Serena Guarracino
"Preludio (Violetta)
Arena di Verona, 23 luglio 2004. Violetta Valery, una Inva Mula in
tubino nero e caschetto biondo alla Lady Diana, esplode nel suo trascinante
“Sempre libera” da una scala a chiocciola che avvolge una
bambola nuda di otto metri svettante su un tappeto di mazzi di fiori.
Alla fine del secondo atto Alfredo, affrontandola alla festa di Flora, le
strapperà la parrucca rivelando qualche sparuto ciuffo di capelli che
sembra suggerire le conseguenze di una chemioterapia, più che quelle
della tradizionale tisi. Ed è con questa squallida capigliatura, invece
che con la voluminosa chioma bruna immortalata da Teresa Stratas per
Franco Zeffirelli, che Violetta, in camicia da notte bianca da sanatorio,
esce di scena, lasciando tanto gli altri personaggi quanto il pubblico
sgomenti ed esterrefatti.
Sullo stesso palco, in sere diverse, Fiorenza Cedolins, stella nascente tra
le soprano italiane, veste gli ingombranti panni di Cio-cio-san. Nella
chinoiserie giapponese messa in scena da Zeffirelli per il centenario
della prima dell’opera, la soprano volteggia in un enorme kimono bianco,
offrendo una voce limpida in cui il corpo imponente, matronale della
cantante si fa presente, si fa ascoltare..."
Divina (Torino, 1990-1998): recupero e rielaborazione di un’esperienza teatrale femminile
di Carlotta Pedrazzoli
"Divina è un’esperienza teatrale degli anni Novanta rimasta ai margini
del discorso critico e storiografico, nonostante la sua pregnanza culturale.
Osservatorio femminile sul teatro contemporaneo, organismo plurale
e polifonico, Divina è nata nel 1990 da una collaborazione feconda
fra le donne appartenenti a Teatro Settimo e due docenti universitarie,
ed è stata attiva fino al 1998, progettando e organizzando convegni internazionali,
rassegne di teatro, incontri e seminari.
Divina ha un ricco profilo identitario: è un laboratorio di arte e di pensiero,
un luogo in cui si agisce creativamente sul pensiero delle donne negli
anni Novanta, una “casa” per le artiste che vogliono produrre teatro mettendo
in gioco il punto di vista femminile, infine un ambiente accogliente
in grado di farsi incubatore di processi creativi e di sapersi connettere
ai processi di autonomizzazione della scrittura femminile delle attrici..."
SELECTA
Recensioni
di Bono e Stella
ANNA CUCCHI, Memorie di una lettrice,
Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore,
2007, pp. 156
"Uno scritto, come lo definisce la stessa
autrice, “un po’ fuori dalle regole”
– al tempo stesso autobiografia e itinerario
critico, memorie di una “lettrice
comune” che riprendendo in mano
i libri amati in momenti diversi della
vita attraverso essi elabora le domande,
gli intoppi, i guadagni e le perdite
di una lunga esistenza, così apparentemente
priva di eccezionalità eppure
così significativa per pensare una storia
di donne nel Novecento.
Anna Cucchi ha ora 83 anni, e di
quel secolo ha dunque in buona parte
esperito le vicende complesse – il fascismo,
le guerre, la democrazia ritrovata
e traditrice, il femminismo con le
sue promesse – dal punto di osservazione
di una vita trascorsa in provincia,
prospettiva decentrata di distanza
e acutezza che un po’ rimpiange un
po’ rivendica. Qui ce le restituisce
per sprazzi, soprattutto delineando i
processi interiori del suo mutamento
in una piana e sapiente costruzione
narrativa che alterna ricordi personali
e amorosa rilettura dei romanzi
che nel tempo hanno segnato piaceri
e scoperte..." (Paola Bono)
SORELLA MARIA DI CAMPELLO,
PRIMO MAZZOLARI, L’ineffabile
fraternità, introduzione e note a
cura di Mariangela Maraviglia, Torino:
Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose,
2007, pp. 377
"Una chicca di nicchia questo carteggio,
pubblicato nel maggio scorso dalle
Edizioni Qiqajon della Comunità di
Bose, che per la cura di Mariangela
Maraviglia e con il bel titolo L’ineffabile
fraternità raccoglie una selezione
molto ampia della corrispondenza
intercorsa tra l’eremita di Campello
Sorella Maria e il prete cremonese
Primo Mazzolari negli anni dal 1925
alla morte di quest’ultimo nel 1959.
Segno di una amicizia vissuta solo in
forma epistolare, ma particolarmente
significativa per chi volesse indagare
il rapporto, non solo tra due figure
estremamente significative della chiesa
cattolica del Novecento, ma anche
più in generale, quello tra una donna e un prete, le cui biografie, messe a confronto,
pur nella loro totale distanza,
raccontano una stravagante specularità.
Gemellaggio d’anima, si potrebbe
dire..." (Rosetta Stella)
Le autrici
Livia Panici, 24 anni, laureata all’Università Roma Tre con una tesi sul
contributo delle donne alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione
in Sud Africa, ha alternato nel periodo universitario diverse esperienze di
formazione e lavoro all’estero. Attualmente frequenta un corso di specializzazione
in Grafica Pubblicitaria.
Carlotta Pedrazzoli si è laureata al Dams di Bologna nel 2005 con una tesi
dal titolo Divina (1990-1998), Storia e memoria di un’esperienza teatrale
nel segno della soggettività femminile. Con questo lavoro ha intrecciato
relazioni preziose con le teatranti e le studiose protagoniste di quell’esperienza,
e si è trasferita a Torino, dove si occupa di organizzazione teatrale
nell’associazione culturale “blucinQue”, partecipa alle iniziative di gruppi
femministi caratterizzati dalla presenza di giovani donne e contribuisce alla
nuova rete di artiste torinesi che si è di recente stabilita a Villa5, casa dell’arte
delle donne di Collegno (TO).
Maria Cristina Grilli è nata ad Ancona nel 1964. Si è laureata a Macerata
in Lingue e Letterature Straniere Moderne con una tesi dal titolo “Anne
Lister: una vita in codice”. I suoi interessi letterari sono la storia e la letteratura
omosessuale e la storia della prostituzione.
Serena Guarracino insegna Lingua Inglese presso l’Università degli Studi
“L’Orientale” di Napoli, dove ha conseguito il dottorato con tesi dal titolo
Aver voce. Migrazioni dell’opera lirica nelle culture di lingua inglese.
Ha pubblicato articoli in italiano e in inglese su Edward Said e la musica
classica, sul ruolo delle cantanti nelle scritture femminili del diciannovesimo
e ventesimo secolo, e sulle relazioni tra musica e teoria postcoloniale.
È in corso di pubblicazione presso Liguori la sua traduzione di “Sycorax”,
della scrittrice indo-inglese Suniti Namjoshi.