NOTA EDITORIALE
di Laura Fortini e Federica Giardini
(versione integrale)
Nel numero precedente DWF è tornata a una delle sue passioni fondamentali,
quella di cercare le parole per dire che ne è della politica per parte di donne.
“Che cosa vuole una donna”, la famosa domanda della psicoanalisi, si è
trasformata nell’inizio di un discorso affermativo, per parte di ogni singola
della redazione, sulla propria posizione, sui propri desideri, aspettative, e
anche inquietudini, rispetto a questi tempi burrascosi, disorientanti ma,
forse, anche promettenti.
L’intimo è globale, però, e lo abbiamo constatato per parte nostra, come
quando, nel corso delle discussioni, è andato da sé che la nostra ricerca
di parole rimandasse a quella di altre in altre parti del mondo.
È così che
presentiamo questa prima tappa di un partire da sé geografico e politico,
Femminismi d’Europa, cui farà seguito il numero successivo con interventi
di donne che abitano in paesi extra-europei.
Così, per indagare l’opacità del presente, per allargare il respiro corto che
la situazione italiana presenta oggi, l’avvio della domanda è stato: ma a
che punto siamo in Europa? Quali sono le urgenze del dibattito pubblico
e come ci stanno alcune donne, a Londra, a Barcellona, a Vienna, a Parigi,
a Hannover?
Come per l’Italia – dove i temi del dibattito pubblico italiano
sono l’annosa questione della rappresentanza e delle quote, l’applicazione
della legge 194, di fatto disattesa nelle sue prerogative fondamentali, la
violenza sessuale e la violenza sulle donne in famiglia più che altrove – è bene
ricordare che i temi che oramai appartengono anche alla grande macchina
mediatica, spesso non coincidono con il desiderio delle donne e con quanto
metteremmo tra le nostre priorità. A ciascuna delle nostre interlocutrici
– scelte per relazioni di amicizia, di apprezzamento del loro lavoro politico
e di pensiero – abbiamo chiesto, non di farci una panoramica oggettiva,
se non esaustiva, ma piuttosto, com’è nello stile di DWF, di raccontarci delle
poste in gioco nel loro paese, di questi tempi, a partire da ciò che avvertono
come questioni sensibili, restituendo a questa espressione la letteralità che
ha saputo darle il femminismo, uno sguardo di intelligenza incarnata nel
corpo di una donna, una presa singolare sulla realtà, indipendentemente
dai dati della Unione Europea, dati interessanti ma di fatto poco parlanti
dello spostamento avvenuto o che sta avvenendo.
I testi hanno la ricchezza e l’articolazione di un sistema nervoso.
C’è
chi, come Françoise Collin, segue da Parigi la vena del divenire della
politica altra, creata dal femminismo, nella sua amichevole inimicizia
con il movimento del maggio Sessantotto. Un percorso che individua una
politica vivente, schiettamente anti-istituzionale fino agli anni Ottanta
in cui con la presidenza di François Mitterand si è data una svolta nella
presenza femminile all’interno degli organi della politica di governo. Le
zone sensibili oggi si trovano, per la pensatrice, all’intersezione tra le
politiche di stato e l’agire delle donne, su temi come la migrazione e la
sessualità, in una temperie che convoca a un’accresciuta responsabilità
femminile.
Da Hannover Barbara Duden, sensibile alle politiche del corpo
che il femminismo degli anni Settanta aveva saputo creare, rintraccia le
linee della riorganizzazione delle politiche di stato e dell’“economia della
cura”. Nella sua analisi, che mette al centro il nuovo assetto neoliberista
delle società nord occidentali, Duden critica in particolare gli effetti “derealizzanti”
prodotti dalla dominanza del neoindifferenzialismo, che ancora
una volta relega all’invisibilità le donne in carne ed ossa e i carichi gravosi
cui sono sottoposte in questa fase di riorganizzazione sociale, economica
e tecnologica.
Con sensibilità analoga scrivono Ursula Wagner e Marlen
Bidwell-Steiner, che da Vienna raccontano dell’evolversi delle politiche
per la famiglia, dedicando però un commento finale a un’imprevista
dominanza, nelle università, dei Gender Studies rispetto ai Gay Studies,
perché più consoni all’egemonia del modello eterosessuale che pervade
la società austriaca.
Da Londra Mary Evans legge sui mass media l’oramai
pluriennale requiem per il femminismo e replica raccontando il divenire
degli studi delle donne all’università e dei loro effetti sociali, tra luci e
ombre nel conseguimento dell’uguaglianza tra i generi.
In chiusura, Maria
Milagros Rivera, ci racconta da Barcellona di una Spagna che sta uscendo
dal “ritardo” europeo, dopo i decenni della dittatura, ma secondo un
doppio passo: da una parte il dibattito pubblico che continua a orientarsi
secondo l’uguaglianza, in particolare nella rappresentanza politica,
dall’altra, e soprattutto, il lavorio paziente e implacabile della libertà
femminile che sgretola i muri nelle teste e nei corpi di donne che sono
oramai dappertutto.
DWF, nel leggere questi pensieri, continua il suo viaggio, che la restituisce anche a se stessa, alla città in cui le donne della redazione vivono giorno
per giorno. Abbiamo così continuato una discussione, ancora aperta e
accesa, su quel che accade nelle nostre vicinanze, a Roma. Nella sezione
Selecta, riportiamo il resoconto di un incontro tenutosi a Roma il 21 giugno
su iniziativa di alcune donne che si sono interrogate sugli esiti delle ultime
elezioni politiche. Iniziativa che con il suo programma “Dire no ai giorni
del presente” si pone su un piano tutto diverso dall’ispirazione affermativa
che ci aveva mosso nel numero precedente. Il resoconto è scritto da Angela
Lamboglia, una giovane donna che – insieme a Clelia Catalucci e Rachele
Muzio della redazione e ad altre - sta affrontando un percorso di discussione
con DWF. Che cosa vuole una donna, è una storia che comincia a raccontarsi
anche attraverso nuove prese di parola.
MATERIA
Dall’insurrezione all’istituzione. 1968-2008
di Françoise Collin
"Riflettendo allo stato in cui si trovano, in questo momento, la Francia e il
movimento delle donne, non si può fare a meno di ricordare che nel mese
di maggio del 2008 cade il quarantesimo anniversario della sollevazione del
“maggio 68”. Questa sollevazione, che aveva conosciuto una prima fase il 22
marzo, data della rivolta degli studenti dell’università di Nanterre, faceva
eco, in altri termini e in un diverso contesto, al movimento hippy degli anni
Sessanta negli Stati Uniti. Il leit-motiv di queste rotture era il “cambiare la
vita”, here and now, qui e ora, senza aspettare il cambiamento delle istituzioni
e malgrado queste.
Il potenziale rivoluzionario non era l’applicazione di una
teoria – come era stato il comunismo – ma un movimento. E questo, anche
se “modelli” rivoluzionari idealizzati, dalla Cina di Mao alla Cuba di Fidel
Castro, rimanevano presenti all’orizzonte.
Dopo qualche tempo le donne, avendo constatato che questa rivoluzione,
come le altre, le marginalizzava o strumentalizzava, fecero secessione e si
raggrupparono, in ordine sparso e per affinità, per affermare la loro forza
propria e per elaborare le loro rivendicazioni. Anche il loro movimento era un
movimento anti-istituzionale o perlomeno paraistituzionale. La politica non
si trovava più nelle istanze rappresentative, ma nella vita stessa. Non era più
nella rappresentazione ma nella presenza..."
Due spartiacque, tre epoche storiche
di Barbara Duden
"Nell’estate del 2008 non è possibile avviare una riflessione sulla “politica
per le donne” senza fare un salto all’indietro nel tempo, al momento in
cui iniziò quello che in seguito fu chiamato “il secondo movimento delle
donne”. Devo calarmi, anche se un po’ a fatica, nella gioia di vivere e nel
sapore di “allora”, di quel periodo che ha messo le ali e preparato alla vita
me, le mie amiche e molte attiviste di quella generazione. Innanzitutto
mi pervade l’atmosfera di quegli anni, la straordinaria sensazione data
dalla scoperta di essere vicina ad altre donne. Lo slancio di quegli anni,
l’entusiasmo del risveglio, di un inizio, il piacere delle continue scoperte e la
gioia per le amicizie nate in quegli anni e che ancora resistono. Ma quando
ripenso a quegli anni ho anche la sensazione di viaggiare in un mondo
sconosciuto. Quando ci caliamo nei primi anni Settanta, infatti, varchiamo
la soglia di un’epoca.
Il mondo di oggi, inserito nel sistema globale del
nuovo millennio, e il mondo di allora, infatti, non sono paragonabili. C’è
un abisso tra me e la giornalista trentenne di allora che, insieme ad altre
donne, fondò Courage, una rivista ispirata al movimento femminista che
aveva come obiettivo una maggiore “autodeterminazione” e “autonomia”
delle lettrici. Se percepisco un simile abisso non è solo per il passare degli
anni, ma anche perché facendo lezione a studentesse molto più giovani ho
compreso alcune cose. Oggi è molto più difficile, infatti, parlare in modo
appropriato e preciso, da un punto di vista analitico, di sé “come donna” e
della situazione delle “donne”. Oggi, per giungere a un orientamento nella
“politica per le donne” dobbiamo muoverci fra tre epoche storiche in cui
tale politica assunse caratteri molto differenti...."
Questioni femministe in Austria
di Ursula Wagner e Marlen Bidwell-Steiner
"Di fronte alla diversità delle organizzazioni e dei gruppi attivisti femministi e
di donne – per esempio quello delle donne migranti, delle persone transgender,
eccetera – e ai loro diversi scopi e interessi, è piuttosto ambizioso tratteggiare
“la” questione in gioco in Austria. In questo articolo, quindi, delineiamo solo
un numero selezionato di argomenti e problemi che hanno portato a notevoli
dibattiti e provvedimenti in campo politico e che sono stati presenti di recente
nei media austriaci.
Si tratta di temi ben noti, come la compatibilità tra
carriera e famiglia, il divario impressionante tra i guadagni di uomini e donne,
e un’ennesima discussione sulle quote rosa. Inoltre, la questione della violenza
contro le donne ha richiamato l’attenzione per le modifiche della legge negli
ultimi due anni..."
Il femminismo in Gran Bretagna: luci e ombre
di Mary Evans
"Mentre scrivo, in Gran Bretagna è al governo da oltre dieci anni il partito
Laburista, prima con Tony Blair e più di recente con Gordon Brown. Cosa
questo abbia a che vedere con il femminismo nel Regno Unito può a prima
vista non apparire chiaro, ma quel che voglio suggerire è che i dieci anni
di governo di centro/leggermente sinistra hanno in qualche modo visto la
scomparsa della politica, e con quella – si è detto – anche della politica
femminista. In parte, così prosegue l’argomentazione, il femminismo è
“scomparso” perché molte delle richieste avanzate dalle femministe negli
anni Ottanta e nei primi anni Novanta sono state incorporate, con diversi
gradi di successo, nelle politiche governative.
In effetti, alcuni sostenitori
del governo Blair arriverebbero a dichiarare che più è stato “fatto” per le
donne dal governo negli ultimi dieci anni che in qualunque altro momento
nei due secoli scorsi.
È certamente vero che una femminista “accademica” della mia generazione
(studente universitaria alla fine degli anni Sessanta, e all’inizio della
carriera nei primi anni Settanta) oggi ritrova assai poco dell’aperto sessismo
istituzionale che ben ricordo caratterizzava il periodo in cui si cominciò
a insegnare women’s studies e a studiare la questione del “genere”..."
POLIEDRA
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