DWF
donnawomanfemme
Roma, Editrice coop. UTOPIA, 1986-
NOTA EDITORIALE
di Paola Bono
(versione integrale)
Dopo “Che cosa vuole una donna” e “Femminismi d’Europa”, è questa
la terza tappa del percorso che DWF ha scelto di intraprendere quest’anno,
in un partire da sé che dall’interrogazione del nostro presente
– dei nostri desideri e anche disincanti rispetto alla politica e alle donne
in politica – ci ha portato a guardare oltre i confini dell’Italia, prima ad
alcune donne con cui siamo in relazione in diversi paesi europei e poi
a quella ricca, complessa, troppo sconosciuta galassia che sono i movimenti
femminili/femministi in altri continenti.
Anche in questo caso, non abbiamo puntato a una panoramica esaustiva,
ma ci siamo mosse per relazioni – innanzitutto coinvolgendo nella
preparazione del numero Monica Luongo, che con noi ne ha discusso
le domande di partenza, portando il contributo della sua esperienza,
conoscenza e passione, e ha scritto il saggio introduttivo del numero;
alla sua mediazione dobbiamo alcuni tra gli interventi qui raccolti:
quello di Beatrice Costa sulla lotta delle raccoglitrici di noce babaçu in
Brasile e gli articoli di Raffaella Chiodo Karpinsky e di Maria Josè
Arthur sulla situazione mozambicana.
Le domande di Arthur ci sono
sembrate risuonare con dibattiti anche qui attuali, sul senso o forse il
non-senso della rappresentanza di sesso, sull’utilità e i limiti di un
allargamento di tale rappresentanza.
Bianca Pomeranzi e Monica Capuani, entrambe già più volte presenti
sulle pagine di DWF, hanno nuovamente scritto per noi, l’una attingendo
alla lunga pratica di lavoro e di tessitura politica con donne di tutto
il mondo per offrire un quadro storico della situazione delle reti transnazionali,
l’altra intervistando la fondatrice e “anima” di Kali for Women, prima casa editrice femminista in India. Sempre dell’India,
infine, parla Laura Corradi – e ringraziamo Ambra Pirri per averci
messo in contatto con lei – presentando alcune sezioni del denso
Manifesto di Sangat (South Asian Network of Gender Activists &
Trainers), con la sua critica giusta e feroce alle politiche mondiali che
privilegiano una “economia di morte”.
Diversamente da quanto di solito avviene, anche la sezione Poliedra si
tiene aderente al tema del numero, con i due articoli di Alessandra
Chiricosta, che illumina per noi un altro angolo del Sudest asiatico scrivendo
dell’impatto della politica del Doi Mói (Rinnovamento) sulle
questioni di genere in Vietnam, e di Ruba Salih che indaga la agency
delle donne palestinesi in relazione al concetto di cittadinanza così
come esso viene articolato in Medio Oriente.
MATERIA
Femminismi del mondo. A Sud
Introduzione
di Monica Luongo
"Mentre scrivo queste righe per DWF mi capita di rileggere
Orientalismo di Edward Said. Scritto nel 1975, conserva una freschezza
nell’analisi e soprattutto individua la persistenza di un approccio
(quello del mondo occidentale nei confronti di quello orientale) che
non muore, anzi appare rafforzato dalle campagne anti-terrorismo/antiislam.
Scrive infatti Said:..."
Le femministe dell’Asia del Sud contro l’economia politica della morte
di Laura Corradi e Sangat
"Nel luglio 2006 un gruppo di quaranta femministe dell’Asia del Sud si
incontrano per cinque giorni a Negombo, Sri Lanka, per il primo South
Asian Feminist Meet organizzato dalla Sangat (South Asian Network
of Gender Activists & Trainers), per interrogarsi sulle sfide e sulle prospettive
dell’attivismo femminista nel ventunesimo secolo. L’acronimo
“sangat” è anche una parola dotata di senso: in alcune lingue sudasiatiche
significa “l’incontro di persone simili nella mente” e ben
indica la forte enfasi che la rete pone sul comune sentimento, e sulla
convinzione che il capirsi, la pace e la cooperazione siano necessari
elementi di progresso nella regione. Scrivono nell’incipit della South
Asian Feminist Declaration:..."
Il femminismo indiano dall’osservatorio di Kali for Women.
Un’intervista con Urvashi Butalia
di Monica Capuani
"La casa editrice Zubaan, dove Urvashi Butalia ci ha dato appuntamento,
si trova nel quartiere di Hauz Khas, che le guide definiscono la Soho
di Delhi. Ovviamente delle guide bisogna diffidare, soprattutto quando
si tratta dell’India, dove tutto è diverso da come lo vendono operatori
e riviste di viaggio e dove le cose sono dieci volte più difficile di quanto
ci si aspetti. Io e Simona Cagnasso, la fotografa con la quale sto
affrontando questo viaggio, lo abbiamo capito sulla nostra pelle.
Prendiamo un taxi dal centro, se Connaught Place si può definire “centro”
rispetto a una città che si estende in modo sfuggente proprio come
una macchia d’olio, con quartieri medioevali e zone residenziali a
prato inglese che si appoggiano con disinvoltura gli uni sulle altre.
Contrattiamo un prezzo con il tassista di turno e ci avventuriamo verso
il sud della metropoli nel traffico strombazzante e venefico della capitale
indiana..."
Il diritto delle donne alla terra.
Una storia di lotta e cambiamento dal Brasile
di Beatrice Costa
"La recente crisi dei prezzi dei prodotti alimentari ha riportato all’attenzione
dei media l’agricoltura, attività un po’ dimenticata dal cittadino
occidentale medio, che visita più frequentemente i supermercati delle
fattorie. Settore in cui è impiegato il 40% circa della popolazione mondiale
con differenze intuibili per aree geografiche (si dedicano all’agricoltura
quattro quinti degli etiopi e solo due statunitensi su cento) e per
sesso (sono le donne a fornire il 60% della produzione alimentare asiatica).
Guardando in particolare alla dimensione femminile della sovranità
alimentare si scoprono elementi interessanti. Uno studio recente su
63 Paesi ha concluso che i miglioramenti nell’istruzione delle donne
sono il contributo più significativo alla diminuzione della malnutrizione
registrata tra il 1970 e il 1995...."
L’esperienza del Mozambico
di Monica Luongo
"Nei primi anni Novanta la Cooperazione italiana (grazie a Bianca
Pomeranzi) e la Ong Molisv/Movimondo (nella persona di Raffaella
Chiodo Karpinsky) contribuiscono alla creazione di un Dipartimento di
studi di genere all’interno del CEA (Centro Estudos Africanos) nell’università
Edoardo Mondlane a Maputo, Mozambico (vedi Estudos
Moçambicanos 2005). La guerra è appena finita e sono seguiti gli
accordi di pace di Roma di cui più avanti scrive Chiodo Karpinsky.
Si tratta di tempi in cui in Italia praticamente solo Pomeranzi e Paola
Melchiorri parlano di femminismo transnazionale e si accorgono di
quello che sta succedendo alle donne dei Sud del mondo: presa di parola,
affermazione di sé, lobbying, creazione di nuove pratiche di relazione
e intervento sul territorio. Soprattutto quello in Mozambico è uno
dei primi tentativi di mettere in comunicazione due parti di mondo da
parte della cooperazione italiana in ambito di genere..."
A proposito della discussione sulla proposta di legge contro la violenza domestica: a che serve avere un grande numero di donne in Parlamento?
di Maria Josè Arthur
Da due legislature il Mozambico si distacca dal panorama africano e da
quello internazionale in genere per il fatto di avere una grande percentuale
di donne deputate nel parlamento nazionale. È un dato che è servito
a mostrare il compromesso tra governo democratico e avanzamento
delle pari opportunità. Da ciò sembrerebbe normale dedurre che
avere un numero maggiore di donne al livello del potere legislativo
darebbe maggior rilievo alle necessità e agli interessi delle donne, proprio
perché esiste uno spazio per affermare una agenda al femminile.
Abbandonando il tono trionfalista molte voci, in particolar modo le
Ong che lottano per i diritti umani delle donne si interrogano su questa
corrispondenza automatica. In altre parole, sarà sufficiente essere
donna, avere utero, ovaie e seno per essere automaticamente sensibili
ai problemi delle donne e alle strutture che le discriminano e opprimono?
Chi sono le donne deputate? Quale il loro percorso? Come sono
arrivate al potere e quali ostacoli incontrano? Hanno libertà di voto in
dissonanza con il gruppo politico di appartenenza quando si tratta di
difendere gli interessi delle donne anche quando questi non portano al
consenso?..."
Una donna, le radici delle relazioni italiane con il Mozambico
di Raffaella Chiodo Karpinsky
"...Comincia così un breve capitolo biografico scritto con Bianca Maria
Scarcia Amoretti per una pubblicazione dedicata alle donne che hanno
contribuito in modo significativo a costruire la storia del nostro paese.
Voglio cominciare da qui per raccontare un pezzetto di storia di relazioni
fra donne italiane e mozambicane. È quella di Dina Forti, una donna
che ha segnato in modo decisivo e originale la storia delle relazioni non
solo fra Italia e Mozambico ma fra l’Italia e l’intero continente
Africano. È fuor di dubbio che a lei dobbiamo le più significative e
positive relazioni con l’Africa. Il suo personalissimo agire ebbe inizio
nel quadro della sinistra italiana e specificamente per conto del PCI
dell’immediato dopoguerra e fino a giorni più vicini ad oggi, per il
quale Dina ha scritto pagine straordinarie di rapporti con i movimenti
di liberazione del continente ed in particolare della regione dell’Africa
Australe e soprattutto del Mozambico..."
POLIEDRA
L’impatto del "Doi Mói"
di Alessandra Chiricosta
"Dopo aver affrontato più di cinquant’anni di guerra, l’embargo statunitense
(conclusosi nel 1994) e la crisi economica asiatica del 1997, il
Vietnam sta ora sperimentando un nuovo modello sociale ed economico,
il cosiddetto “socialismo di mercato” mostrando in ciò un’impressionante
potenzialità economica e la capacità di gestire una transizione
sostenibile da un sistema collettivistico ad uno differente. Inoltre, negli
ultimi decenni il Vietnam ha effettuato progressi decisivi nella riduzione
della disparità di genere. Nell’area del Sudest Asiatico e nella regione
del Pacifico, il Vietnam si distingue proprio per i successi ottenuti in
tal direzione negli ultimi 20 anni. Secondo i dati offerti dal Gender
Development Index, il Vietnam si trova all’ottantesimo posto su 136
Paesi, e sessantunesimo su 154 stando al Gender Equity Index del
2007.
Questi sforzi hanno trovato esito in un alto tasso di alfabetizzazione sia
maschile che femminile e nella più alta percentuale della regione di
donne in Parlamento (almeno il 27% sin dal 2002).
Il Vietnam è inoltre una nazione che vanta anche uno dei tassi più alti
di partecipazione al mercato del lavoro: 85% degli uomini e l’83%
delle donne tra i 15 e i 60 anni hanno partecipato attivamente nel
mondo del lavoro nel 2002 (Vietnam Development Report 2004)..."
La agency delle donne tra occupazione, famiglia patriarcale e revivalismo islamico. Il caso palestinese
di Ruba Salih
"La centralità della famiglia e delle sue gerarchie come unità base della
società è un elemento indispensabile per comprendere la specificità
della nozione e pratica della cittadinanza in Medio Oriente. Mentre
infatti le costituzioni della maggior parte degli Stati occidentali definisce
come unità base della società l’individuo, nelle società mediorientali
le costituzioni identificano nella famiglia l’unità base della società.
La cittadinanza moderna, che nasceva in Europa come superamento dei
legami particolaristici che legavano gli individui alla famiglia, alla
comunità o al villaggio, si definiva come una serie di relazioni contrattuali
tra l’“individuo” detentore di diritti e proprietario di sé stesso, e lo
Stato. La critica femminista ha da tempo messo in discussione la neutralità
del soggetto-cittadino, mostrando come le donne siano state storicamente
escluse dal contratto sociale, in quanto la cittadinanza
moderna ha comportato un passaggio di potere dai padri (patriarcato)
ai figli maschi (fratellanza) (vedi Pateman 1989)..."
SELECTA
Recensioni e schede
di D’Amelia, Ricaldone, Stella, Guarracino, Sarra
LORELLA REALE (a cura di), Futuro femminile. Passioni e ragioni nelle voci del femminismo dal dopoguerra ad oggi, un libro e un dvd in cofanetto, Roma: Sossella,
2008
"Raccontare la storia del femminismo
non è mai stata un operazione
facile in Italia. Lo sappiamo da
tempo e vari sono stati anche i tentativi
di dar conto delle difficoltà e
delle resistenze in proposito: dalla
prevalenza dell’oralità alla reticenza
a tradurre la densità delle esperienze
in un bilancio, dalla difficoltà
di trasformare la memoria in storia
alla mancanza di un interpretazione
consensuale, ecc. ecc. Fatto
sta che chi oggi volesse saperne
qualcosa o addirittura proporsi di
tenere un corso di storia sul femminismo
italiano si troverebbe di
fronte a non poche difficoltà documentarie...." (Marina D'Amelia)
Le autrici