Voci miranti , 2006, n. 3 (71-72)
Nota editoriale
(di Paola Bono e Federica Giardini)
Pensiamo sia sotto gli occhi di tutte e tutti il paradosso che vede coesistere
conflittualmente due processi. Da un lato quello, costantemente in
fieri (di cui testimoniano ad esempio il recente, sebbene non completo,
ingresso nella UE di Bulgaria e Romania), di allargamento dell’Europa
– e già sulla possibile definizione di questo termine, in prospettiva storica
e di sviluppi e intrecci culturali, si aprirebbe una serie di questioni
assai complesse. Dall’altro la tensione alla sua chiusura difensiva, al suo
farsi “fortezza” di fronte all’impatto crescente di movimenti migratori
legati a situazioni di povertà e di guerra. Sono problemi e fenomeni di
portata mondiale, che in quanto tali necessitano di analisi politiche e
socioeconomiche di largo respiro, ma che hanno anche ricadute nel quotidiano,
nel nostro quotidiano fatto di incontri, di letture, di visioni – e di
domande.
Incontri. Fugaci, come con le molte donne cinesi e indiane che lavorano in
piccole imprese a conduzione familiare: negozi, lavanderie, ristoranti…
Ravvicinati, come con la signora rumena che da alcuni anni assiste la
madre di una di noi, o con le colf che ci puliscono casa – ucraine, colombiane,
filippine… – per lo più donne adulte, già con una vita alle spalle e
ognuna con la sua storia di separazioni e fatica ma spesso anche di scoperta
e emancipazione: storie che vogliono e sanno raccontare quando appena
ne appaia l’occasione, aprendoci orizzonti diversi.
Sono quelle che un
saggio da noi pubblicato un paio di anni fa (Marchetti 2004) chiamava “le
donne delle donne”, in una lettura del fenomeno che aveva
il sapore, acre e incisivo, di una provocazione [… su] una questione
spinosa, quella della divisione del lavoro di cura nei ruoli tradizionali che
l’occidente e la cultura patriarcale assegna alle donne, qui ulteriormente
ribadita nella sua redistribuzione tra donne emancipate e donne immigrate.
(Fortini 2004, p. 68)
Ma anche incontri con donne più giovani, a volte appena intraviste dal finestrino
di una macchina lungo una delle vie consolari, mentre si prostituiscono
– rinnovato commercio di corpi femminili che rimette in gioco antichi
dibattiti sul significato e sulle condizioni materiali del “lavoro del sesso”,
nella forbice tra sfruttamento e possibile scelta. Altre volte conosciute
all’Università mentre, nell’arrabattarsi in lavori sottopagati e clandestini,
studiano con determinazione per raggiungere i propri obiettivi di vita.
Letture. I giornali, naturalmente, ogni giorno pieni di notizie – per lo più tragiche
- sull’immigrazione: dai naufragi su barche vecchie e stracariche agli
orrori di luoghi concentrazionari, dalle morti sul lavoro agli episodi di crescente
razzismo. Ma ci sarebbero anche i molti studi che analizzano il fenomeno
migratorio e le sue cause, sia nelle sue forme presenti che nelle precedenti
“ondate”, quando i paesi di destinazione erano gli Stati Uniti e l’Australia, e in
Europa la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e la Germania, e dall’Italia invece
si partiva. Studi che in anni recenti hanno cominciato a “vedere” le donne
e a rendere conto della varietà di motivazioni che le portano a lasciare il proprio
paese, delle diversità tra loro – non solo in termini di provenienza, geografica
e culturale, ma di storie di vita, livello di educazione, aspettative realizzate
o deluse o in mutazione – e dei modi in cui le trasforma l’esperienza di
un così profondo cambiamento di vita. Si è cominciato a mettere a tema l’importanza
della differenza di genere per capire davvero le forme e i modi in cui
si delineano, agiscono e si modificano “confini” reali e simbolici: culturali,
nazionali, etnici, religiosi… E a mettere in questione associazioni frequenti nel
discorso contemporaneo sulla migrazione, per cui
metafore di modernità, scelta e movimento sono invariabilmente legate agli
uomini e alla mascolinità, mentre
metafore di tradizione, coercizione e casa
vengono associate alle donne e alla femminilità. Gli uomini sono rappresentati
come pionieri attivi, in controllo del proprio destino, mentre le donne, speso in
combinazione con i bambini (“donneebambini”) sono viste come vittime:
sradicate, isolate, piene di nostalgia.
(Davis e Lutz 2000, p. 260)
Nello stesso numero dello European Journal of Women’s Studies dal cui
editoriale è tratta questa citazione, numero dedicato alle “Donne in
Transito”, l’antropologa palestinese Ruba Salih parla delle donne marocchine
che lavorano come colf in Italia, mostrando i differenti modi in cui
rinegoziano la propria identità musulmana e criticando da un lato un’idea di “comunità” come corpo definito e omogeneo – secondo la tendenza di
un multiculturalismo che si potrebbe definire immobilista se non addirittura
reazionario – e dall’altro la celebrazione della figura migrante in funzione
anti-essenzialista; entrambi atteggiamenti che non prendono davvero in
carico la complessità dei processi di costruzione dell’identità.
La rinegoziazione generata dall’incontro reale e concreto tra donne di provenienze
diverse investe in modo inedito la riflessione teorica; ancora Ruba
Salih, nel suo recente contributo al volume Altri femminismi (2006), articola
con finezza il rapporto tra femminismo, laicità, cultura musulmana e fede
italica nei dibattiti extraeuropei, che – lungi dall’essere dibattiti “locali” –
elaborano criticamente anche la relazione con la modernizzazione di origine
occidentale. Ci si rende così conto che l’impegno delle singole donne per
l’affermazione e l’espressione della libertà femminile colloca tutte ed ognuna
in un mondo comune, ancora a venire, certo, ma già non più riducibile
ai luoghi separati e distinti delle singole nazioni o “comunità”*.
Visioni. Lo guardo che portiamo su queste nuove vicinanze conta ormai su
una risonanza visiva, che permette un respiro più ampio, anche se talora
non meno inquietante, rispetto all’immediatezza dei fatti di cronaca. Negli
ultimi dieci anni si sono infatti moltiplicati i film sensibili a questa nuova
situazione italiana, che da paese emigrante è diventato paese di immigrazione;
situazione che se non esime da una riflessione critica, perlomeno
decentra l’Italia rispetto al dibattito che si svolge nei paesi ex coloniali.
Difficile infatti separare nettamente gli effetti della migrazione in alcuni
film in cui chi mette in immagini partecipa di un mondo comune con chi
arriva ora nel nostro paese; basterà a tale proposito ricordare Lamerica di
Gianni Amelio.
Tra i più recenti, segnaliamo il video di Sara Marinelli, Quadri-fonia di
voci migranti, definito dalla stessa autrice “un invito all’ascolto: voci di
donne migranti residenti a Napoli che, simultaneamente, raccontano storie
in italiano e nella loro lingua madre, suscitando uno spaesamento linguistico
e acustico” e – presentati l’anno scorso alla Festa del cinema di
Roma, forse casualmente tutti a firma femminile. Le dernier caravanserrail, versione filmica dello spettacolo teatrale di Ariane Mnouchkine; il
corto Jamal, di Luisella Ratiglia, che sceglie di seguire un gioco di sguardi,
e il suo esito, tra un uomo arabo e una donna italiana; Il mondo addosso di Costanza Quatriglio, che dispiega presente passato e futuro, ovvero
l’arrivo, la provenienza e le prospettive di giovanissimi immigrati di diversi
paesi; Ritorni di Giovanna Taviani, che restituisce per immagini la ritessitura
di una separazione, il viaggio annuale verso il paese d’origine degli
immigrati tunisini, dopo la sfida “finita bene” della partenza.
Domande. Tante, che certo potrebbero in buona parte trovare risposta
appunto dedicandosi a fondo alle letture sopra appena accennate; ma
anche più immediate e perfino confuse, una curiosità senza definizione
nel suo carattere di bisogno esistenziale, che è quella che ci ha mosso a
pensare questo numero e a pensarlo a partire da alcune voci femminili
che potevano aprirci delle prime, parzialissime, “finestre” sulla presenza
accanto a noi di tante donne venute da lontano. Un bisogno che già
ci aveva spinto ad aperture di indagine su culture diverse – il numero Luci d’oriente, (n. 1, 2005) e i contributi su Werewere Liking e Odile
Sankara nei numeri Mostrare il cambiamento. Donne politica spettacolo (n. 4, 2005, n. 1, 2006).
Non riprendiamo in questo numero la questione davvero spinosa di cui si
diceva all’inizio, del rapporto tra “emancipate” e “immigrate” – troppo
spesso viste come blocchi senza articolazioni interne – affrontata anche da
un libro di qualche anno fa e allora molto discusso, Donne globali. Tate,
colf e badanti (Ehrenreich e Hochschild 2004).
Ci è interessato di più
ancora una volta, come è nello stile di DWF cercare l’intreccio tra sguardo
d’insieme e racconto in soggettiva. Da un lato, dunque, l’appello –
denuncia e richiesta – di Aminata Traoré sulle condizioni dei migranti
d’Africa, che fa scaturire l’analisi e l’azione politica dagli stessi racconti
di scontri e vessazioni alla frontiera di Ceuta e Melilla, e il colloquio tra
Maria Vittoria Tessitore, che all’Università degli Studi Roma Tre ha pensato
e coordina il Master “Politiche dell’incontro e mediazione culturale in
contesto migratorio: pratiche dei saperi e dei diritti per una nuova cittadinanza”
e Monica Luongo, che da qualche anno vi insegna. Dall’altro le
narrazioni di Tina Hajon, giovane donna croata che dopo anni di problemi
e ostinazione ha raggiunto la laurea e il lavoro che voleva, e di Raffaella
Fiori, strana migrante che, giunta in Italia ad appena due anni per essere
adottata, racconta il suo viaggio al contrario verso la conoscenza dell’India di origine; e il resoconto a due voci di Ferdinanda Vigliani e Daniela
Finocchi sul concorso letterario “Lingua madre”, nonché l’appassionata
analisi che Lidia Curti offre sulla nuova “letteratura diasporica” di migranti
che scrivono in italiano.
* Molti altri titoli potremmo citare, la letteratura in proposito si arricchisce ogni giorno di più: tra gli ultimi vanno segnalati almeno Cambi, Campani e Ulivieri (2003), Mariti (2003), Decimo (2006), Pojmann (2006).