Se volete fare un viaggio in Iran ma non avete tempo o modo recatevi nella libreria più vicina e comprate Anche questa è Tehran, credetemi!, il libro – curato da Leila Karami – che raccoglie 14 racconti di altrettante scrittrici iraniane contemporanee recentemente pubblicato da Schena Editore.
Non aspettatevi però un trattato di storia o un saggio di attualità: Karami, attenta studiosa dell’islam di origine iraniana ma in Italia da molti anni, ci conduce infatti in un Iran delle piccole cose, fatto di gesti quotidiani, dei profumi di un giardino d’infanzia, in cui la Storia con la s maiuscola si legge in filigrana mentre in primo piano ci sono le vicende private di un universo tutto al femminile dove gli uomini non possono che rimanere sullo sfondo anche quando – e accade spesso – sono coprotagonisti.
Vale per tutti i racconti raccolti, anche per quello che si presenta come il più politico in senso stretto (“La signora senza il cagnolino” di Fereshteh Moulavi): i grandi eventi cui si allude rimangono sotto traccia, in primo piano nel dialogo fra le due protagoniste cui è affidata la narrazione c’è infatti la loro amicizia, che ha resistito al tempo e alla distanza, e la relazione tra il fratello di una e l’altra.
L’amore è d’altronde il vero protagonista di questi racconti, che sia reso attraverso un’istantanea del tempo presente, sospeso tra un futuro che non è dato conoscere e un passato che non ci viene narrato (come ne “I gerani” di Mitra Eliyati, in cui una coppia visita con un agente immobiliare quella che è candidata a essere la loro futura casa), o attraverso il dettagliato e appassionato ritratto della propria vita matrimoniale che una donna immagina di fare a quella che crede sia l’amante del marito (“I martedì notte” di Azardokht Bahrami).
L’amore fa capolino anche laddove sembra essere assente, come nel brevissimo “Cubicolo numero due” (di Mitra Davar) in cui all’improvviso la protagonista sente l’odore del suo amato, ricordandosi così di averlo quasi dimenticato.
E in qualche modo questi rapporti amorosi ci spiazzano: come rileva nella presentazione l’islamista Biancamaria Scarcia Amoretti, pur in un contesto che rimane in buona misura patriarcale, il matrimonio non fa registrare una qualche differenza tra marito e moglie. Differenza che forse invece ci saremmo aspettati.
Le donne che Karami ci presenta sono coraggiose e indipendenti – come la Sakine di “Dedicato al mio presunto, ma mancato assassino” (di Farkhondeh Hajizadeh) che lascia marito e figlie per vivere in città – o sfacciate e sfacciatamente sensuali, come la protagonista di “Qualche centimetro sotto terra” di Mahsa Mohebali: “Sono seducente, sdraiata sul divano. La vestaglia è così aperta che puoi scatenare la tua fantasia. Puoi prendermi tra le tue braccia e abbandonarmi sulle lenzuola azzurre. Io mi sento così pesante che non riesco a muovermi. Prendi il mio bicchiere e butta via la mia sigaretta”.
Nonostante non ci sia nessuna adesione esplicita al femminismo, in controluce si legge l’affermazione di una soggettività mai piegata né subordinata all’uomo di turno. Come nel racconto di Bahrami in cui la coppia protagonista litiga per la prima volta proprio di ritorno dalla celebrazione del matrimonio, perché il marito vuole trasportare fino all’auto il bagaglio della moglie. “Era la mia borsa l’avrei portata io stessa! Odio gli uomini che portano la borsa o la valigia alle signore, e glielo avevo detto, a volte con tono scherzoso, altre seriamente. Lui faceva finta di non capire. La frase ‘Prima le signore’ mi sembra una stupidaggine. Chi ha detto che le donne devono passare per prime? Per quale motivo? Solo per dare agli uomini un’occasione in più per mostrare la loro forza e nobiltà d’animo?”.
Sono i ricordi a nutrire passioni e sentimenti. Memorie intrise di nostalgia accompagnano quasi tutti i racconti: nostalgia degli albori di un amore ora sfiorito, del tempo lento dell’infanzia; della bellezza scivolata via che nessun belletto potrà mai restituire; di una madre o di un padre andati via troppo presto; di un fratello perso per sempre.
“Selezionare frammenti di ricordi è un’operazione ardua che richiede testimonianza e garanzia di attendibilità per non piegare la memoria ai favori e alle richieste dettati dal presente”, dice una delle protagoniste del racconto di Moulavi. Ma nessuna delle donne raccontate in questi 14 racconti ci sembra indulgente con il proprio passato: forse per questo al termine della lettura ci resta in bocca anche un sapore un po’ amaro. Quello delle cose perdute che così sapientemente queste scrittrici hanno saputo mettere in parola.
Con questi racconti Karami (che, insieme a Laura Zaccagno, ha anche tradotto i testi) ci restituisce uno spaccato trasversale e diversificato, sospeso nel tempo e nello spazio, che mette in crisi il nostro sguardo sovente intriso di pregiudizio nei confronti del mondo musulmano. Un intento peraltro dichiarato fin dal titolo della raccolta che sembra proprio voler gridare al possibile lettore: “Le donne in terra d’islam non sono solo quello che pensi: c’è un altro mondo, vieni a scoprirlo”.
Ingrid Colanicchia in DWF (117-118) Palestina. Femminismi e Resistenza, 1-2, 2018