Il libro di Beatrice Pisa è la narrazione, biografica e autobiografica, di una delle protagoniste del Movimento di Liberazione della Donna (Mld), quel soggetto laico e libertario, d’afflato nazionale e sovranazionale, nato come movimento autonomo nel Partito Radicale (Pr). Non la sezione femminile di un partito e neppure una dipendenza.
«Nella sua nota rievocativa del 1987, Liliana Ingargiola ricorda che in quei primi anni era diffusa all’interno del Mld (movimento di liberazione della donna) la convinzione della originalità della formula politica radicale: ‘In quel periodo storico già proporre un movimento di donne anziché una commissione femminile radicale era un dato originalissimo’.» Il nuovo soggetto scaturì da un percorso triennale di congressi a Bologna (1967), Roma (1968) organizzati dal gruppo reichiano del Pr sul tema Repressione sessuale e oppressione sociale e da quello di Milano (1969) e nazionale, su spunto di Alma Sabatini «radicale convinta, raffinata anglista il cui testo Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) uscì l’anno successivo alla sua entrata nella prima Commissione per la Parità presso la Presidenza del Consiglio trovando un’eco feconda.» In una serie di seminari romani (sfruttamento economico-la casa; sfruttamento economico-le professioni femminili: oppressione psicologica della femminilità e autoritarismo sociale; mitologie sessuali; infelicità sessuale-l’Italia clericale; problemi di liberazione), «si forma il ‘progetto Mld’ che in seguito sembrò fornire un punto di riferimento politico accettabile anche per le istanze femministe.» Ad Alma Sabatini, prima presidente del Mld, e a Liliana Ingargiola, che traghettarono l’Mld dal Partito Radicale alla sfera movimentista femminista, l’Autrice dedica vari passaggi sorprendenti e un intero capitolo significativamente intitolato Il femminismo laico-libertario di Alma e di Liliana. Molte le protagoniste che svolsero ruoli fondamentali nell’Mld (tra cui Lore Sopranzi, Marisa Defendini, Christine Vechdorn, Valeria Papetti, Daniela Gara) citate nei capitoli che affrontano temi all’epoca vitali e ancora irrisolti (I femminismi, Fare politica, L’aborto la sessualità e l’autogestione femminista, La violenza e le donne, Gli anni della rimobilizzazione femminista, ecc.)
Il volume riconsegna «visibilità storiografica e politica a un movimento poco ricordato a livello storiografico e pressoché cancellato all’interno della narrazione femminista (…), che concorse al processo di democratizzazione del Paese (consultori, aborto libero, pari opportunità sul lavoro, legge contro la violenza) restituendo dignità e voce alle donne». Il Mld dette priorità al fare, non concedette assensi scontati e rifiutò il verticalismo, tre aspetti del parterre femminista di cui il Pr non comprese fino in fondo le implicazioni nella maturazione personale di attiviste che nei collettivi di Self-help del Mld entravano in contatto con realtà di violenza e prevaricazione sulle donne mai immaginate nella rappresentazione stereotipata dell’Italia del tempo. A fronte di una crescente domanda, i collettivi di Self-help si moltiplicavano in tutta Italia (43 nel 1987), e non avendo materia di confronto, sperimentavano pratiche di aiuto e di sostegno che fecero scuola. «Alcuni erano particolarmente numerosi, vivaci e attivi, altri costituiti da poche persone, con scarsi contatti, sostanzialmente instabili, ovvero portati ad estinguersi e ricostituirsi con una certa facilità, tutti comunque necessariamente in rapporto e in lotta con realtà locali, spesso ostili, estremamente differenti da regione a regione, da località a località (…) Ognuno visse un’esperienza singolare e speciale non solo rispetto al resto del movimento femminista, anche rispetto agli altri collettivi Mld e alla segreteria romana».
Dagli archivi pubblici e privati, specie da quelli propri e da quelli di Ingargiola, emerge il conflittuale ma costante progredire del Mld verso una piena autonomia dal Pr che a sua volta lo accusava di dipendere dal femminismo nel ripudio di forme organizzate, famiglia, partito e sindacato compresi. Come ha avuto modo di dire la stessa Beatrice Pisa «I tempi non erano maturi per riuscire a dire che l’Mld si riconosceva in politiche radicali ma non nel Partito Radicale e nemmeno in tutte le sue scelte.» Nel ventaglio delle posizioni, dal rivendicare autonomia nel perimetro federativo al suo depontenziamento, l’Mld visse il suo paradosso, sciolto dallo “strappo” di Alma Sabatini per fondare il Movimento femminista romano (Mfr). La sfederazione produsse nuovi assetti e sfumature identitarie. Liliana Ingargiola legò il suo nome anche all’occupazione del Governo Vecchio effettuata dal Mld per dare spazio ai collettivi di Self-help e in cui aprì il primo Centro contro la violenza alle donne.
Il Governo Vecchio, diventato la prima sede politica del femminismo romano, fu terreno sperimentale di diplomazia e democrazia femminista. L’Mld vi maturò nuove relazioni con un continuo confronto su temi quali autocoscienza, separatismo, sessualità, maternità, aborto. Nel capitolo Aborto: una lotta per tutte? l’Autrice esalta il ruolo dei collettivi di Self-help «nel rendere l’aborto un tema politico di grande valenza, che andò e va ben oltre la sua pratica, legale o clandestina» e riporta il rovente dibattito politico; la proposta di Loris Fortuna; l’autodenuncia, l’autogestione femminista, ma anche le minacce e gli attacchi al Mld. Le posizioni sul contrasto all’aborto clandestino erano numerose e si riflessero nel grande convegno femminista sui Consultori (febbraio 1978) seguito da una manifestazione l’8 aprile in cui lo striscione d’apertura, “No a questa legge-truffa sul corpo delle donne”, fu proditoriamente sostituito da “Aborto libero assistito”.
Nel sottolineare che la sua narrazione del Mld sia una delle molte possibili, l’Autrice segnala il pericolo di ricostruzioni false e/o parziali che prediligono un soggetto a scapito di altri. Netta la valutazione, in Due anime del femminismo italiano, sulle scissioni apportate dal pensiero della differenza in un paese già diviso tra «due grandi e opposte culture marxista-terzomondista e cattolica, dove la presenza del Vaticano ostacola il processo di secolarizzazione, e mantiene bassa la percentuale di cultura laico-democratico e radicale di riferimento per il primo Mld.»
La scissione evocata è tra «gruppi che come l’Mld pensano di poter conciliare identità ed emancipazione, liberazione e diritti, che reputano necessario misurarsi con le istituzioni, fare pressing per ottenere vantaggi e normative per tutte» e altri gruppi «intensamente antiegualitari, antiemancipazionisti, le cui radici cultuali sono negli scritti di Virgina Woolf e Carol Gilligan, concentrati sulla ricerca della soggettività femminile e sul rapporto fra donne, basati sull’autocoscienza, sul piccolo gruppo, sulla psicoanalisi. Al loro interno si lavora molto sul rapporto con la madre e fra donne fino al lesbismo e soprattutto sulla cosiddetta differenza intesa come tratto intrinseco dell’identità femminile, immodificabile e irriducibile nel tempo e nello spazio.»
L’Autrice ricorda che la cancellazione del Mld dalla memoria del movimento delle donne è avvenuta negli anni Settanta, quando la grande battaglia per la legge di iniziativa popolare sulla violenza (1979) venne attribuita essenzialmente all’Udi. Propone una nuova narrazione femminista che reintegri la storia della «presenza politica forte del Mld durante la fase movimentista» ribadisce che agli inizi degli anni Ottanta, «l’egemonia dei femminismi di taglio marxista e di quello ‘differenzialista’ toglierà forza e possibilità d’intervento all’Mld.»
Non meno intense le pagine sui «due fondamentali convegni sul separatismo (1983 e 1984) che riuniscono quello che fino a quel momento era stato il nucleo forte del femminismo ‘politico’, fatto dalle protagoniste più agguerrite delle grandi battaglie degli anni Settanta; è la chiusura di una fase, ovvero di un certo modo di dirsi e di agire come femminista». La scelta è caduta su un tema, «vissuto spontaneamente da tutti i gruppi e collettivi femministi fino a quel momento, senza la necessità di una messa a punto teorica» e che si propone nel contesto della frantumazione del movimento, «dell’affievolirsi della identità dell’area femminista. Il che conduce a discutere a lungo se giudicare o meno femministe le organizzazioni delle prostitute o le manifestazioni antinucleari e per la pace e soprattutto in che rapporto porsi con le tante iniziate di donne sorte su temi specifici, di settore (…) ispirate di certo alla cultura femminista, ma al di fuori di una logica collettiva di movimento». Nel documento conclusivo dell’Mld emerge una perplessità: «ci si limita a leggere il tema separatismo soprattutto come fattore unificante delle varie associazioni di donne.» E sul riflusso dei primi anni Ottanta, l’Autrice riporta le posizioni di Emanuela Moroli, direttora «della gloriosa testata femminista “Quotidiano Donna”, nata al Governo Vecchio e chiusa nel 1983»
Inerente al convegno del 1984 sul separatismo è il tema lesbismo su cui gli interventi sono talmente tanti che al termine dei lavori, la Comunicazione speciale riporta «la preoccupazione che il ‘soggetto lesbismo’ sia stato trattato nella discussione come un argomento a sé, una terza cosa che non riesce ad amalgamarsi dialetticamente con tutto il resto. E quindi s’invita a una ricomposizione fra lesbiche ed eterosessuali (…) si invitano le seconde a considerare che la legittimazione del lesbismo è la prima forma di potere strappata al patriarcato». Nel suo intervento, Rina Macrelli sottolinea che per la prima volta, in un convegno nazionale, è stato pronunciato il termine ‘lesbismo’ «senza che tutto il convegno si senta demonizzato».
Al termine di una densa e istruttiva ricostruzione, l’Epilogo dedica qualche pagina a tempi più recenti, «alle nuove forme del movimento» che riprendono discorsi mai interrotti e immettono altri temi nel continuo confronto che arricchisce anche l’oggi».
Maria Paola Fiorensoli in DWF (114) Escursioni. Scritti femministi oltre confine, 2, 2017