Il femminismo a Roma negli anni Settanta è il primo libro di Paola Stelliferi e, come forse già il ritmo del titolo per intero tende a suggerire, viene da una ricerca condotta in ambito accademico. Questo spazio, l’accademia, parla un linguaggio ben preciso, a volte tecnico, a volte arduo. La ricerca che nasce al suo interno deve fare i conti con una gran quantità di regole, diverse per ognuno dei vari ambiti disciplinari, tutti accuratamente separati da (in)visibili steccati. Fare ricerca e pensare all’interno dell’università significa fare i conti anche con questi percorsi già tracciati, questi recinti, e con l’impostazione che la disciplina – mai parola fu più azzeccata – esige da te. Eppure, a volte, il pensiero che vi si origina non riesce a impedirsi di debordare, e non può fare a meno di far saltare alcune barriere. Così accade quando la ricerca accademica si impregna di vita, di esperienza, di politica. Il libro di Paola Stelliferi, nonostante nasca in un ambiente accademico, riesce a mantenere la ricchezza dell’esperienza che racconta. Questa ricchezza riempie le pagine. Per questo Il femminismo a Roma negli anni Settanta è un libro che cattura e tiene viva l’attenzione, anche se non si è storiche, anche se non si è accademiche. Cosa rara e preziosa.
È un lavoro fresco, pieno di vita, che lascia trasparire la forza e la gioia di ciò che narra. È ben lontano dagli scaffali polverosi delle discipline. Nel libro di Stelliferi, approccio storico e freschezza dello sguardo si trovano assieme, coniugati in un racconto intriso di lotte e di desiderio. Infatti, se la ricerca storica tende a fissare, ad allontanare nel suo tentativo di chiarificare e rendere in qualche modo più intellegibili quei processi che gli intrecci delle vite rendono a volte incomprensibili o troppo grandi per poterli cogliere con lo sguardo, le donne di cui il libro ci racconta irrompono nelle pagine, non si lasciano racchiudere, né sistematizzare. Le pagine a fatica riescono a tenere insieme il clima, le idee, le pratiche, le relazioni e i conflitti. In questo senso, va segnalata come felice la scelta di procedere tramite interviste orali, laddove queste dispongono già una chiara forma di relazione. L’approccio storico, così, si contamina fin da subito, è già politico. Le donne tra le pagine non sono oggetti di studio, ma soggettività esplosive. Questa modalità, anche se spezzetta il ragionamento, ne confonde la purezza, intorbidisce di vita le pagine chiare, è un gesto politico che rompe la gabbia accademica. Certo, spesso è faticoso leggere questi brani, a volte frammentari, a volte confusi, a volte in dialetto romano stretto. Stelliferi stessa racconta nel testo questo essere in relazione, tra l’ascolto, il silenzio, i fiumi di parole che arrivano all’improvviso. L’andirivieni della memoria significa mettersi in gioco tutte, per intero. In questo processo, però, l’autrice della ricerca viene completamente coinvolta. Non si limita a registrare, a domandare, ad ascoltare. Non è uno specchio muto. Allo stesso modo, Stelliferi non si pone, nè viene mai posta, sul piedistallo “sicuro” dell’intervistatrice. Queste donne non si offrono passivamente al suo sguardo e non si affidano completamente al suo racconto, abbandonandosi come materia in cui affondare le mani per cercare, rimestare, e prendere quel che più è utile alla ricerca. Non si lasciano rendere oggetti di ricerca. Si instaura allora una relazione vera, imprevedibile, in cui lo sguardo dell’altra torna indietro all’improvviso.
L’approccio è storico, ma non è di una storia lontana, conclusa, impolverata. Dal punto di vista della militanza politica femminista, leggendo ci si rende conto che le donne che ogni giorno incontriamo nella nostra politica, nei nostri luoghi, nei nostri spazi; le donne con cui ridiamo scherziamo, e a volte ci scontriamo, sono, sì, la nostra storia, ma non sono il nostro passato. Quando ero giovanissima e muovevo i miei primi passi nella politica delle donne per me queste donne erano tutte bellissime, fortissime, fantastiche. Avevano dei superpoteri che avrei voluto avere anche io. Le guardavo ammirandole, e non sapevo che fare. Non sapevo come muovermi. Poi le mie compagne mi hanno trovata, e assieme a loro e a quelle stesse donne è cominciato un cammino politico. Perchè questa digressione personale? Perchè questo fa il libro di Stelliferi: avvicina quelle vite che credevi fossero quelle di personaggi leggendari alle concrete esperienze di vita e di lotta che porti avanti ogni giorno. Le fa scendere dal piedistallo della storia in cui tu le metteresti svelandoti un segreto importante: quelle donne non sono lontane, sono la tua politica; la tua lotta si intreccia con la loro ogni giorno, così come la tua vita. Non sono statue da ammirare: sono i sorrisi che incontri nei corridoi della Casa Internazionale delle Donne, che incontri ai cortei, con cui fai lunghissime assemblee; sono le donne della redazione di DWF che però, ahimè, Paola Stelliferi nel suo lavoro dimentica di citare.
Colpisce come un pugno realizzare che i problemi dei nostri collettivi e degli spazi che viviamo, non siano delle nostre esclusive. Vi è una ricorsività delle crisi, dei momenti di difficoltà, degli inciampi, che forse è strutturale ad alcune forme della politica, o ad alcune forme delle relazioni politiche fra donne. Per questo, immergersi nel racconto delle esperienze di quegli anni è uno strumento prezioso, per chiunque di noi non riesca a pensarsi senza la politica, per chiunque non riesca a farne a meno, a prescindere dalla sua età anagrafica e dal suo tipo di esperienza di lotta con le altre donne: queste dinamiche di crisi ci interrogano e intercettano le nostre urgenze quotidiane. La ricorsività di alcuni meccanismi è un nodo su cui occorre soffermarsi tutte insieme. Di nuovo. Per questo, il libro di Stelliferi è un’immersione nella genealogia che non allontana, ma interroga e vivifica. Un modo per rigenerare le lotte e le relazioni politiche che ognuna di noi intrattiene, nutrendo e dando forza anche in virtù dei limiti e delle contraddizioni che esso sottolinea.
Federica Castelli in DWF (109) Fino all’ultima riga/2, 1, 2016