«Le lesbiche non sono donne (non è più donna chi non è in relazione di dipendenza personale con un uomo)» diceva Monique Wittig ne Il pensiero eterosessuale (p. 13) che, nel solco del femminismo materialista, descrive la categoria di sesso come costruzione ideologica che sottomette le donne a una gerarchia arbitraria da cui le lesbiche fuggono. Natacha Chetcuti, sociologa del Centre de Recherches Sociologiques et Politiques de Paris, non dimentica i percorsi del lesbismo radicale francese e muove il suo studio da questi presupposti teorici andandoli a verificare con una strutturata ricerca sul campo. Una ricerca lunga cinque anni, durante i quali ha realizzato, in più riprese, sessanta interviste a lesbiche, di cui poi ne ha utilizzate quaranta, ed altre, come campione di controllo, a donne eterosessuali. Le intervistate negli anni della ricerca (2003/2008) avevano tra i trenta ed i cinquanta anni: non hanno, quindi, vissuto in prima persona il femminismo degli anni Settanta nè il “mitico” decennio del lesbismo francese – e italiano – degli anni Ottanta, ma si sono formate nella memoria di questi e nell’affermarsi della dimensione dei diritti civili.
Se dire lesbienne esce in Francia per Payot nel 2010 ottenendo grande attenzione – tanto che nel 2013 viene pubblicata l’edizione tascabile – sia tra chi “si dice lesbica”, che tra gli addetti ai lavori della sociologia delle sessualità. Oggi è disponibile l’edizione italiana per Ediesse, nella collana Sessismo e razzismo, un utile strumento di lettura anche per il contesto italiano, con una cura della traduzione, dell’apparato critico e una introduzione di Sara Garbagnoli che lo rendono maggiormente fruibile.
Il saggio si apre con un capitolo introduttivo diviso in due parti, la prima sulla costruzione della categoria ‘lesbica’ nella letteratura medico-scientifica del XIX secolo e i dispositivi repressivi che ne derivano, l’eteronormatività che si impone attraverso il linguaggio e il silenzio; la seconda parte sulla costruzione di una soggettività all’interno dei movimenti femministi: il soggetto che si fa, prende parola, si autodefinisce. Nei capitoli seguenti, lasciando spesso la parola alle intervistate, tecnica che insieme all’empatia dell’intervistatrice, evita l’oggettivazione descrittiva di una condizione, Chetcuti affronta le tematiche fondamentali del dirsi lesbica: le modalità di autorappresentazione fuori dalla norma dell’eterosessualità obbligatoria; la definizione di sé, che, senza il «privilegio epistemologico eterosessuale» – come Sedgwich definisce il dispositivo che permette a chi esprime una sessualità eterosessuale di considerarsi nella norma – è un processo che percorre l’intera esistenza, avvicendando modalità diverse. La coppia, spesso correlata al processo di autonominazione per il quale – ed è questo uno dei punti conclusivi dell’analisi di Chetcuti – è fondamentale l’incontro con un’altra che già si dice lesbica, è uno dei contesti ampiamente analizzati. Particolare attenzione è data alle forme di fuoruscita dal modello eterosessuale: primo fra tutti il “multipartenariato affettivo”, ossia la rete di relazioni con le proprie ex che costituiscono supporto affettivo, solidale e di cura. Ed è proprio nello spostamento che il lesbismo opera, rispetto alle norme di genere, innestate sull’obbligatorietà dell’eterosessualità, che si intreccia l’analisi di fondo di Chetcuti. Anche nel lungo capitolo sugli scenari della sessualità, dove si fa più stringente la comparazione con il campione delle eterosessuali, «emerge un’operazione di spostamento delle norme di genere» (p. 295) e quanto più le donne, tanto le eterosessuali che le lesbiche, hanno una conoscenza di sé e del proprio corpo indipendentemente dagli uomini, tanto più accedono ad un moltiplicarsi dei piaceri, ad un «controllo di sé» e ad una «padronanza del proprio corpo», «le lesbiche propongono una via di denaturalizzazione della sessualità eteronormativa che rinvia ad una indifferenziazione dei sessi» (p. 296) che ci riporta all’obiettivo d’annullamento della categoria di sesso teorizzato da Wittig. Individuati nella ricerca percorsi differenti nei quali Chetcuti riesce a sistematizzare tre traiettorie del dirsi lesbica (l’esclusività per tutta la vita del rapporto con donne, l’affermarsi progressivo dell’esclusività – la via più praticata – e una predominanza che, nel corso dell’esistenza, si alterna a esperienze episodiche con uomini), anche in diversi posizionamenti politici delle intervistate, nel lesbismo radicale, nel movimento transpedegouine degli anni Duemila o nella battaglia per i diritti.
Nell’attuale scarsità di produzione scientifica intorno al lesbismo, che perpetua ancora, nell’accademia, nell’editoria, nella società, un dispositivo di invisibilizzazione, Dirsi lesbica di Natacha Chetcuti è un’utile ed interessante eccezione.
Elena Biagini in DWF (103-104) Tutta salute!, 2014, 2-4