Olcuire, S. (2023). Indecorose. Sex work e resistenza al governo dello spazio pubblico nella città di Roma. Verona: Ombre Corte

«Indecorose. Sex Work e resistenza al governo dello spazio pubblico nella città di Roma», edito da Ombre Corte nel 2023, è un libro che attraverso il sex work racconta dello spazio pubblico e viceversa. In questo senso, la strada diventa il punto prospettico privilegiato dall’autrice, Serena Olcuire, che sin dalle prime pagine porta chi legge nella vita di Paulette, sex worker trans che si muove in un arcipelago fitto fatto di confini, quartieri, convivenze, abusi, relazioni affettive, tattiche e conflitti. La vividezza della scrittura di queste pagine etnografiche rende la storia di Paulette una finestra attraverso cui l’autrice mostra come materialmente il governo dello spazio pubblico agisca e produca esclusioni e gerarchie che poggiano sul criterio del decoro – categoria tutta italiana che colpisce tanto gli spazi quanto le persone – e contemporaneamente mostra le tattiche di r-esistenza agite dalla protagonista nel suo quotidiano. 

Dopo l’immersione nella storia di Paulette, Olcuire allarga il campo e analizza la costruzione dei paradigmi alla base delle diverse modalità di governo spaziale e la loro operatività fattuale, restituendo in questo modo una panoramica delle geografie del sex work a livello europeo e italiano. Le differenze principali che si rintracciano sono quelle che disegnano spazi di affermazione e negazione: i primi operano tramite il contenimento dell’‘alterità’ di cui il caso olandese dei quartieri a luci rosse è paradigmatico; i secondi tramite l’eliminazione della stessa generando continui spostamenti e aumentando l’insicurezza delle sex workers, come nel caso dei paesi neo-abolizionisti quali Svezia e Francia che, considerando il sex work esclusivamente come sfruttamento, sanzionano i clienti e di conseguenza le lavoratrici sessuali sono costrette a spostarsi nelle grandi arterie. Seppur agiscano in modo opposto, ciò che accomuna queste politiche è la rimozione dei corpi indesiderati, di cui quelli delle sex workers, in modo specifico, sconvolgono le geografie morali socio-spaziali. Il ragionamento portato avanti dall’autrice evidenzia come il governo spaziale del sex work per negazione sia in connessione con altri attori urbani influenti nei processi urbani in atto, in particolar modo quello della rendita urbana e della speculazione. In altri termini, la rimozione delle sex workers diventa una strategia per ‘ripulire’ quartieri e favorire processi di gentrificazione.

Discorso a parte merita il caso italiano,  cui è dedicato l’intero terzo capitolo. In Italia, infatti, esiste una serie di politiche che pur non rivolgendosi direttamente al sex work consentono di disciplinarlo, come nel caso del Daspo urbano o politiche rivolte specificamente al ‘contenimento’ della prostituzione, come lo zoning, che nella loro attuazione riproducono di fatto geografie per negazione. Dall’approvazione della legge Merlin, nel 1958, che sancisce la disfatta delle case chiuse, è la logica del decoro a diventare il criterio ordinatore del disciplinamento dello spazio pubblico a mezzo di ordinanze anti-prostituzione e con l’obiettivo della sicurezza urbana. Di particolare interesse, è la lettura che fa l’autrice di ciò che ha significato ‘sicurezza integrata’, concetto dietro al quale sono state promosse le politiche della sicurezza dell’ex Ministro dell’Interno Minniti. Olcuire, infatti, sottolinea come più che un’integrazione di politiche sociali e urbanistiche, la sicurezza integrata abbia riguardato il coordinamento tra polizia, sindaco e vigili urbani, generando espulsioni di chi viene considerato un corpo indecoroso nello spazio pubblico.

Uno dei meriti di questo libro è, al contrario, quello di smascherare al tempo stesso l’intenzionalità e il fallimento delle politiche urbane che, direttamente o indirettamente, controllano e disciplinano spazialmente il sex work, mostrando da una parte gli effetti su corpi che vengono storicamente e socialmente considerati non aventi diritto alla città, dall’altra analizzando queste politiche in relazione alla questione abitativa e all’assenza di politiche pubbliche in materia, senza però cadere in una narrazione passivizzante e vittimizzante. Questo rapporto lo si coglie in maniera chiara nella seconda parte del libro, di cui il protagonista è questa volta lo spazio, nello specifico quello delle periferie romane di Tor Sapienza e del Quarticciolo. Non si tratta di uno spazio astratto, euclideo, ma uno spazio fatto di corpi e di tentativi di governarli attraverso vari dispositivi di controllo, uno spazio fatto di convivenze, conflitti e resistenze. Le periferie romane, infatti, acquistano centralità e sono descritte da molteplici angoli prospettici, quello dei comitati di quartiere, delle abitanti, procedendo in un racconto urbanistico che si mescola inevitabilmente con quello sociale. Si tratta di una scrittura situata tanto nello sguardo dell’autrice, quanto nella voce – evidente anche nella scelta di certe soluzioni linguistiche adottate – di chi abita il territorio e si reinventa, districandosi nelle contraddizioni delle città illegali, delle città delle enclave e dei clienti. Questo libro, infatti, riesce a restituire un quadro complesso di ciò che significa spazio pubblico, non solo mostrando la funzione pubblica e sociale di alcuni luoghi come biblioteche, spazi sociali in contrapposizione all’assenza dell’attore pubblico, ma soprattutto svelando la natura conflittuale di quello stesso spazio oggetto di contesa tra diversi gruppi come pure di riappropriazioni attraverso pratiche spaziali individuali e collettive. 

Il sex work, quindi, diventa il margine attraverso cui guardare criticamente il governo spaziale di genere che mentre si promuove attore per la protezione delle donne, ne rimuove altre, dissidenti e non conformi. La prospettiva di Olcuire reinquadra la questione in termini di convivenze e relazioni dello spazio urbano. Così facendo, questo lavoro pone importanti interrogativi alla pianificazione e a quelle politiche che, pur tingendosi di rosa riproducono, gerarchie o rafforzano norme di genere e invita piuttosto alla giustizia spaziale attraverso una progettazione che consideri centrali le voci dei «’corpi scomodi’».

Alina Dambrosio Clementelli in Lesbiche-3 amare