Angela Balzano (2024), Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione, Meltemi

Pensarsi compost è l’invito che ci rivolge Angela Balzano nel suo ultimo libro Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione. Ma che significa pensarsi compost? E perché ne dovremmo avere bisogno?

Potremmo rispondere constatando lo stato attuale della nostra salute e del mondo in cui viviamo o portando a galla il nostro desiderio collettivo di rigenerazione, sempre più complessa in questa Era detta Capitalocene, in cui il mondo sembra organizzarsi intorno al Capitale, con le devastazioni, l’estrattivismo, i disequilibri che ne seguono. Invece partiamo abbassando lo sguardo, portandolo tra i nostri piedi: partiamo da quella che la filosofa Donna Haraway chiamerebbe una “figura di filo”, partiamo da un fiore “che profuma di miele e sa di senape” e che se ne sta, durante la sesta estinzione di massa in corso, a “spaccare il cemento”: la lobularia maritima. E la domanda ri-sorge spontanea: come sopravvivere non alla catastrofe ma stando nella catastrofe? Come rimanere in essere, e soprattutto rimanere, qui, ora, su questa terra, senza farsi soffocare dal surriscaldamento, dall’ecoansia o da sogni colonizzatori di nuovi mondi? Partire per Marte non è una soluzione. E a chiuderci in una navicella spaziale corriamo il rischio di ritrovarci in cattiva compagnia. Anche perché, fa presente Balzano, se non capiamo come riprodurre diversamente la vita qui, in senso ecotransfemminista, anche su Marte ci troveremo presto o tardi a porci la stessa domanda, poiché lo colonizzeremmo come abbiamo colonizzato la Terra.

Servono guide, servono tante altre “figure di filo”, fabule speculative e fantascienza. Serve anche decentrare lo sguardo. Anna Tsing, ad esempio, si affida ai funghi matsutake nel libro Il fungo alla fine del mondo. In Eva virale, Balzano ci invita a “comporre insieme un’altra narrazione”, partendo da una rilettura speculativa dell’Etica di Spinoza per provare a riposizionarci facendo del corpo come compost “la prima idea della nostra mente”. 

Il libro è compost(o) da cinque capitoli. Nel primo, l’autrice ci propone di sondare un’altra etica, quella spinoziana. Seguendo il pensatore del XVII sec, ci convinciamo che il dualismo mente-corpo, e i binarismi derivati che hanno condizionato il nostro sguardo sul mondo, è senza fondamento. Il primo pensiero della nostra mente, ci ricorda Balzano, è infatti il corpo. Siamo corpo-mente e non possiamo che pensarci e conoscerci immersi nell’ecosistema che abitiamo. Il nostro corpo, a sua volta, non è una unità, ben delimitata e definita: è compost(o), molteplice, è relazione, connessione con ciò che è altro ma che non viene alterizzato e inferiorizzato. Non un altro strumentale ma un altro attraverso cui con-fare, con-vivere. Per questo motivo, è necessario fare della scienza stessa come la conosciamo un oggetto di pensiero e di critica, partendo dalla constatazione che la regolare sparizione dalla scena di pensatrici, filosofe, scienziate donne ha fatto di questa scienza un gigantesco caso di mansplaining e di bro-appropriation, influenzando il nostro sguardo sul mondo biologico e sui nostri corpi. Focalizzandoci invece sul più piccolo, sul minuscolo e non maiuscolo, Balzano ci fa incontrare l’Eva virale e mitocondriale, ci fa approdare ad un’altra biologia, che detronizza il DNA nucleare e suggerisce di rivedere tutto ciò che di nucleare abbiamo nelle nostre vite (dall’energia, alla famiglia). Andare a caccia di un’altra scienza implica guardare ad altre soggettività come produttrici. Decentrare l’Uomo vitruviano come capolavoro della creazione, spostare lo sguardo, magari metterlo davanti a un microscopio, per scoprirci compost(i) da corpuscoli senza i quali non esisteremmo. Scopriremmo così che non è solo il DNA nucleare trasmesso dalla famiglia nucleare a darci le istruzioni per funzionare come corpi ma anche il DNA mitocondriale, “eredità infettiva batterica”, che viene tramato&tramandato dalle femmine: Eva, fantasticando, potrebbe non aver bisogno di Adamo. 

Immers3 nelle pagine, ci guardiamo intorno con gli occhi dell’autrice, per sentire con lei e co-spirare (respirare insieme) quello che la circonda e la attraversa. Balzano si trova a Capo Milazzo e tutto il suo corpo sbatte contro la visione della raffineria che spicca fallocentricamente davanti a lei, simbolo di questo Capitalocene. Allora è necessario sperare che il mare rimanga blu e non diventi verde a causa del surriscaldamento, scovare pratiche di cura e di r/esistenze. Ancora una volta, non è l’Uomo a guidarci ma sono i limiti che poniamo ad esso. La misura, non come giusto mezzo, ma come ciò che è funzionale alla vita in comune. Balzano torna a Spinoza, alla sua filosofia del limite come desiderio di sottrazione: non viviamo grazie a noi stess3, dobbiamo porci nel limite e capire come e grazie a chi sopravviviamo. Il capodoglio Siso, che morendo si fa compost rigenerando altre forme di vita, ci fa compagnia. E con lui tutte le specie che permettono, a nostra insaputa, la nostra rigenerazione. L’invito, in queste pagine, è quello di “evitare che tra i mammiferi sopravvivano solo bovini-ovini-suini destinati agli allevamenti industriali”. Desiderare altro, desiderare diversamente. Gli ultimi capitoli sono costellati da Passeggiate schizofreniche e Viaggi interstellari. Tra le tante passeggiate che l’autrice affronta, ponendo questioni rappresentative delle urgenze per cui desiderare altro, emerge inevitabilmente uno dei temi centrali delle sue riflessioni: il rapporto con la tecnologia. Una cyborg femminista oggi, sostiene Balzano, non può accontentarsi di una visione ottimistica della tecnologia come riparazione o di uno slogan come “più tecnologia per tutte”. Di che tecnologia abbiamo bisogno? Prodotta da chi e per chi? E a scapito di quali risorse? Ancora una volta, non è “l’implementazione del tecnocapitale” la passeggiata da percorrere: questa può condurre solo ad un aumento dello sfruttamento di tutto il non-umano che ci circonda. La sfida è desiderare altro anche nel rapporto con ciò che oggi chiamiamo tecnologia. La cura, perseguibile inevitabilmente con il supporto tecnologico, non può tenere a mente “solo alcuni ricchi sapiens”. Scrive Balzano: “credo ci convenga ridurre e condividere invece di aggiungere e privatizzare. Se la NASA può insistere sulla necessità di un’alternativa alla Terra è perché i sapiens la hanno saturata di merci usa&getta ed emissioni mentre al contempo la segmentavano per farsi incessantemente la guerra: il mio e il tuo, il noi e il loro infra ed extra-umani sono stati costruiti e circoscritti tra polvere da sparo, plastica, cemento, uranio e plutonio”. Non siamo per fortuna da sole ad avvertire sempre più urgente la necessità di ridurre e condividere; Balzano in questo testo ci propone vie di uscita e una certa fantascienza da sostituire alla scienza che viviamo.  

Marta Vicari in Gattebuie