Le trame del dialogo che Maria Luisa Boccia tesse con Carla Lonzi ancora una volta si dipanano con passione politica in fili che, da un’interlocuzione speciale durata una vita, ci portano ad affrontare con ravvivato coraggio i nodi cruciali del presente che viviamo, forse oggi più che mai. Dopo l’Io in Rivolta, pubblicato nel 1990 con la casa editrice Tartaruga e riproposto nel 2011 con una nuova prefazione, passano quasi trent’anni per la pubblicazione di Con Carla Lonzi. La mia vita è la mia opera, e scorgiamo le variazioni delle trame tessute nel tempo, scucite e ricucite con maestria, con l’esperienza data da chi ha vissuto e vive in rispondenza di una riflessione assidua e mai conclusa, a stretto contatto con l’incontro ininterrotto dei testi e con il proprio vissuto. “Non potrebbe esserci esito peggiore per me, di risultare una specialista lonziana” afferma Maria Luisa Boccia nelle prime pagine. Ho il ricordo vivo di un’altra sua precisazione, circa tre anni fa, quando invitata a Siena per tenere una relazione in seguito alla visione del documentario su Carla Lonzi Alzare il cielo (diretto da Gianna Mazzini, 2002), aveva affermato come Carla Lonzi disprezzasse parlare di sé come teorica femminista, e ci aveva raccontato come non amasse le interpreti e le intellettuali mimetiche del maschile, come fosse ingiusto qualsiasi tentativo di sistematizzazione del suo pensiero.
Se si facesse, si cadrebbe in un modo preciso di fare teoria, criticato nell’introduzione al libro: “Di norma, quanto più il pensiero adotta i criteri dell’oggettività, parla un linguaggio neutro, disincarnato, tanto più merita credito «universale». È ritenuto espressione di verità, dunque valido per tutti e tutte. Opposto a questo è il criterio da adottare per Lonzi. Il suo testo ha la fecondità della parola incarnata […] Scrivere «con» Lonzi è il modo che ho scelto di parlare del mio femminismo”. (p.9) E nella sua presa di posizione, risuonano le parole scritte da Carla Lonzi in Mito della proposta culturale: “Scrivere è un atto pubblico. Si scrive per esprimersi e per dare risonanza, perchè un’altra possa esprimersi e dare risonanza” (M. Lonzi, A. Jaquinta, C. Lonzi, La presenza dell’uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1978, p. 137). È nella natura esistenziale dell’agire e del pensare che viene mantenuto il rigore tra coscienza di sé e parola. Immaginiamo allora come gli effetti di rispondenza, generati dalla ricezione degli scritti, dislocata nello spazio e nel tempo, possano essere dei “moltiplicatori per differenti processi di soggettivazione, quando si vuol essere all’altezza di un universo senza risposte” (C. Lonzi, Sputiamo su Hegel in La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1974, p. 18), quando la radicale rinuncia a una univoca Risposta, “frantuma la Domanda in una miriade di espressioni di coscienza che richiamano nel dialogo miriadi di rispondenze” (M. Lonzi, A. Jaquinta, C. Lonzi, La presenza dell’uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1978, p. 148). C’è un forte nesso tra memoria storica, rispondenza e trasmissione: allaccio qui i fili alle considerazioni che Michela Pereira ha condiviso l’anno scorso a Pistoia, all’interno del seminario Anzi parliamo…dialoghi su Carla Lonzi. Proviamo infatti a esperire e a pensare alla scrittura come traccia del corpo che permette di impostare un lavoro nuovo sulla tradizione, allargandone lo spazio: qui la scrittura è corpo che si fa parola; è, attraverso la rispondenza di chi legge, un aprirsi al futuro. Il dono da parte di Lonzi “di una tessitura continua della sua presa di coscienza (p. 8)” fa sì che si possa continuare a scriverne.
Senza creare una traduzione concettuale o un facile compendio, Maria Luisa Boccia apre con chiarezza nuove inattuali questioni sul mito storico che viviamo, dialoga con Lonzi e, contemporaneamente, con noi. Sull’accento posto nei processi di soggettivazione, sui poteri e i meccanismi che strutturano l’ordine dominante, sul rifiuto della norma sociale, politica e sessuale, sulla critica all’identità, specie se imposta e funzionale, assoggettata alla governamentalità del mercato o sussunta e integrata a titolo di uguaglianza, Carla Lonzi, sembra riferirci Maria Luisa Boccia, apre non poche questioni, che ci possono parlare direttamente e differentemente.
Son più che profetiche in Sputiamo su Hegel le parole sul lavoro: “Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dell’egemonia dell’efficienza (p. 51)”. E pensiamo cosa può significare oggi, creare uno spostamento, nei confronti delle relazioni umane tutte, se viene messo in questione proprio il potere come loro necessario punto d’origine e d’appoggio. Sembra poi imprescindibile riflettere sulla critica operata da Lonzi sulle forme dell’agire politico, qualora queste siano basate sull’oggettivazione, sulla capacità di produrre mondo e sull’estricarsi nella realtà. La rivoluzione ontologica, che con Lonzi si fa rivolta in Rivolta Femminile, consiste nel mutare radicalmente modo d’essere del pensiero e della vita. Sono le relazioni fatte di desiderio, di piacere, ma anche di immensa fatica e di estrema sperimentazione che vanno modificate per cambiare la realtà, la società con le sue strutture, le sue regole, i suoi fini. E per arrivare a far questo per Carla Lonzi è stato necessario lasciare tutte le assunzioni certe, emancipatorie, e fare vuoto, mettendosi su un altro piano. Approfittando della differenza, fare tabula rasa, può richiamarci ancora oggi a fare un atto di incredulità. Che sia atto di critica e di decostruzione delle precomprensioni culturali assorbite, lontano da un processo ideologico o intellettuale, che faccia ristabilire il senso delle nostre vite su questo mondo, cercando nuovi sbocchi nella possibilità di trasformarlo.
Per Lonzi infatti fare vuoto non è solo una negativa decostruzione, è un atto positivo perchè indica i momenti della nostra appartenenza alla coscienza dell’umanità. Lontano da accuse d’intimismo, l’atto di incredulità si mostra come un processo di soggettivazione intrinsecamente relazionale che mette in risalto le imposizioni culturali contro la fedeltà a sé, in una dimensione esistenziale concreta. Domandiamoci quali siano le nostre parole guida, quelle che, con la promessa della loro efficacia, chiamiamo parole d’ordine. E riflettiamo sul fatto che la parola, in Lonzi, come ci spiega Maria Luisa Boccia, “può essere significativa solo se è frutto di una diversa pratica, se cioè viene modificata la funzione e non solo il significato della parola stessa (p.17)”.
Colpisce alla fine, la scelta dell’Appendice, staccata e tuttavia in continuità con il dialogo serrato dei sei capitoli che compongono il testo. Dedicata ai movimenti degli anni Settanta – intesi da Maria Luisa Boccia non solo come espressione di figure sociali vecchie o nuove ma come l’emersione di una differenza politica – sembra un invito rivolto alla lettrice o al lettore: l’invito a fare i conti in modo critico con il declino delle forme già note della politica, attraverso i nessi tra soggettività e relazioni e contesti di lotta. A capire come, per quanto alcune questioni sembrino rimaste invariate nel tempo, sono invece mutate radicalmente. Ancora, sembra un invito, diretto anche a noi, ad essere abitanti consapevoli del nostro tempo. Chi s’immerge nel libro scritto da Maria Luisa Boccia, con Carla Lonzi, può conoscere impreviste acquisizioni, lucide sensazioni di forza, l’esigenza di rigorosità, ma anche la voglia di osare verso spazi immaginativi impensati. E se attraverso i tagli netti con le forme del pensiero e dell’agire politico, attraverso lo sbarazzarsi continuo di ogni certezza, Carla Lonzi può aver reso difficile, in un’incontentabile ricerca di senso, in una critica alla conoscenza oggettiva a favore della relazione tra singoli e singole, un percorso di chiara comprensione dei suoi scritti agli occhi degli abitanti e delle abitanti del suo tempo, c’è, invece, oggi, un diffuso ritorno agli studi e alle riflessioni sul suo pensiero e sul suo vissuto. Penso all’Argentina, dove l’odierno recupero dei testi ha permesso riallacci creativi con la pratica dell’autocoscienza, tradotta e svolta, lì, durante gli anni della dittatura. E per Maria Luisa Boccia non si tratta di “un ritorno motivato da esigenze di ricostruzione storica. Ha piuttosto il segno di un ricominciamento, di una ripresa volta a trovare nuove vie, nuove soluzioni, nella consapevolezza di muoversi in una realtà radicalmente modificata (p. 11)”.
Alessia Dro in DWF (102) Pensiero stupendo, 2014, 2