Benché la ricerca per sua definizione non è mai conclusa e ci restituisce sempre la possibilità di ridomandare, di indagare di nuovo, di aggiungere, aggiustare, completare; la freschezza e l’entusiasmo di una ricerca dottorale ha il sapore della passione viva dell’inizio, che non tutti sul lungo percorso riescono a mantenere. Questo è il caso di Federica Castelli, neo Dottoressa di ricerca, che pubblica il suo lavoro con Mimesis, con il titolo Corpi in rivolta. Spazi urbani, conflitti e nuove forme della politica, nella collana Eterotopie.
Come si evince già dal titolo l’autrice apre con questo libro un focus su cosa accade ai corpi che attraversano gli spazi pubblici in segno di dissenso rispetto al pensiero dominante o alla politica dell’istituzione: dalle occupazioni di Wall Street, alle piazze turche, fino ai flash mob. Cosa si inventano i corpi quando si pare uno spazio che li ascolta? Che tipo di conflitto mettono in atto e quali tensioni? Che peso e che valore aggiunto ha la differenza sessuale che i corpi portano?
Una breve Prefazione apre la riflessione e guida alla lettura del saggio, che si divide in quattro segmenti. L’analisi si serve di una chiara impronta filosofia e femminista, con la quale l’autrice legge le questioni che affronta nelle differenti parti del testo. Tuttavia, ulteriore pregio di questo lavoro è che non sembra di avere a che fare con un testo per addette ai lavori. Al contrario lo sforzo di Castelli, molto ben riuscito, è quello di parlare a tutti, con il vantaggio di poter costruire, seguendo il ragionamento dell’autrice, una cornice teorica solida per chi da attivista ha molte volte vissuto la piazza come spazio di dissenso, ma anche per chi semplicemente voglia costruirsi un pensiero critico di alto livello nel riflettere sull’esperienza dell’occupazione dello spazio pubblico: sia esso edificio, piazza o bosco.
La prima parte non poteva che aprirsi con un’indagine, che affonda le radici fin nell’antica Grecia, sui concetti di Differenza, Corpo (naturalmente) e Forza, che l’autrice ribadisce essere “il rimosso del politico”. D’altro canto, “in quanto unicità incarnate, i soggetti sono presenti nella scena pubblica con il loro corpo, che li pone in costante rapporto di esposizione-relazione all’alterità. Un corpo in piazza ha un valore che va al di là della presenza numerica che manifesta: è segnale incarnato di una protesta e segno della possibilità di un’alternativa politica” (p.10).
Non solo, in campo non c’è soltanto la relazione con e l’esposizione all’altro o all’altra, quando è il soggetto incarnato a farsi spazio nel dissenso collettivo, ma anche quella dimensione della parzialità, che apre alla sovversione. Se infatti “il tutto è l’universale, la parte è sovversione” (p. 33).
Interessante a questo punto è la possibilità che si genera da questa distinzione, e dal gesto femminista che scansa il soggetto neutro. Si fa spazio infatti, a partire da questo gesto, l’interrogazione su quale forma di dissenso tenga più conto della dimensione corporea e sessuata.
Il secondo capitolo infatti è dedicato alle forme di Rivoluzione, Rivolta e Tumulto.
Se “l’esperienza rivoluzionaria è calata nella temporalità storica e tende a modificarla stando alle sue regole e alle regole della definizione del potere” (p. 56), “una rivolta, lungi dall’essere una rivoluzione fallita o un eccesso di rabbia sgretolata, è invece luogo di sperimentazione e di una sospensione temporale che mette tra parentesi il già dato della storia” (ibidem). In altre parole, la rivolta apre alla possibilità di una temporalità altra che permette un libero gioco di quelle categorie che solo con il femminismo si sono potute concepire come politiche: “desiderio, autocoscienza, appropriazione del corpo, pratica dell’inconscio” (p. 46).
I rivoltosi e le rivoltose non dettano il futuro, ma lo evocano lasciando uno spazio di abitazione per i corpi e per le soggettività a venire.
Alcune esperienze di rivolta sono evocate nella terza parte del lavoro di Castelli, ma il quarto capitolo, Donne e rivolta, è quello che contiene più di tutti un sapore di una proposta politica più viva: quella che le donne di molti femminismi fanno a questo mondo. Solo la dimensione contenuta del corpo e non quella estesa oltre sé e gli altri della mente sganciata dal corpo, può parlare a questo mondo senza l’avidità che proviene dal volerlo dominare.
Le pagine che ci hanno condotto attraverso la complessità di queste riflessioni non si concludono qui, ma ci regalano una quinta sezione, che forte del percorso fin qui compiuto rilegge l’esperienza delle donne della Comune di Parigi (1871).
Ripercorrere la storia delle donne, come in questo caso, non è un’operazione che vuole completare quel quadrante della storia che per molto tempo ci siamo dimenticati, ma ricostruisce una cancellazione ben più grave: quella delle pratiche delle donne.
Riconoscerne una per cancellare le altre o per fare di lei l’eccezione “al femminile” di una figura nota come maschile è la colpa ben più grave con cui “il maschile” deve fare i conti.
Roberta Paoletti in DWF (107) Ancora Sorelle?, 3, 2015