Ho letto per la prima volta il libro Elena Ferrante. Parole Chiave di Tiziana de Rogatis il giorno stesso della sua pubblicazione, un giorno di Maggio del 2018, e fin da subito è stato per me un testo fondamentale. A quel tempo stavo lavorando, non senza difficoltà, sulla tesi di dottorato che verteva sull’intera opera di Elena Ferrante, nom de plum della scrittrice (o scrittore, o scrittric*) italiana più famosa di oggi. Il testo di de Rogatis si è rivelato essere per me una boa di ancoraggio in un mare di opinioni contrastanti e diversissime riguardo la figura e l’opera della nostra scrittrice. Infatti, il volume Elena Ferrante. Parole chiave è il primo lavoro monografico poderoso su Elena Ferrante in lingua italiana[1], che ha avuto al contempo la funzione di legittimare lo studio dell’opera dell’autrice all’interno dell’accademia italiana (estremamente restia, se non ostile, a riguardo) e quella di analizzare approfonditamente il laboratorio creativo di Ferrante. Nel far ciò de Rogatis ha tenuto in considerazione non solo lettrici e lettori specializzati, ma anche e soprattutto lettrici e lettori che si sono avvicinati alla tetralogia di L’amica geniale (2011-2014) avendo come fine principale il piacere della lettura stessa. Anche per questo motivo lo studio di de Rogatis si focalizza maggiormente sulla tetralogia, che viene tuttavia letta e analizzata tenendo ben presente tanto i romanzi precedenti – L’amore molesto (1992), I giorni dell’abbandono (2002), La figlia oscura (2006) e la graphic novel intitolata La spiaggia di notte (2007) –, quanto i testi di autocommento presenti nelle diverse edizioni di La frantumaglia (2003-2016), ovvero le raccolte di interviste e saggi d’occasione sviluppati da Ferrante con l’ampliarsi della propria produzione letteraria e del proprio pubblico.
Organizzato tematicamente secondo parole-chiave, i sette capitoli che compongono il libro sono preceduti da una importante introduzione che ha il compito di esplicitare il punto di vista della studiosa e di posizionare il fenomeno globale della Ferrante Fever. Dalla dimensione transculutrale alla scelta della scrittrice di creare una forte voce femminile esplorando con essa il mondo e la Storia, de Rogatis mostra le risonanze con il movimento d’oltreoceano del #metoo, così come il profondo lavoro di scavo letterario in quel complesso ordine simbolico e culturale che rende possibile (e accettabile) la violenza che gli uomini perpetrano sulle donne da millenni. Discostandosi da interpretazioni di tipo essenzialiste, gli strumenti che de Rogatis sceglie per operare tale decostruizione sono quelli della critica letteraria, utili a specificare il laboratorio letterario di Ferrante. Con questo voglio dire che se da un lato il testo di de Rogatis fa tesoro di alcuni strumenti analitici provenienti dal femminismo, dalla filosofia e dall’analisi culturale, dall’altro mette alla prova l’armamentario analitico della teoria critica e della critica letteraria, dando vita a un’inedita convergenza tra i discorsi e le discipline. Così, ad esempio, se il discorso egemone nei dibattiti letterari è quello di una irreparabile crisi e decadenza della letteratura o della fine del postmoderno letterario grazie al narratore-testimone à la Roberto Saviano o al narratore-carnefice à la Walter Siti, il discorso critico di de Rogatis mostra un’estrema vitalità tanto dell’arte della narrazione intesa come relazione, quanto del valore dell’opera letteraria di Ferrante (estremamente intrisa di filosofie femministe) a livello globale, capace di aprire spazi di soggettivazione e affermazione.
Scalzando qualsiasi pretesa universalista di assegnare una specifica forma alla bellezza delle parole, e/o viceversa, lo studio di de Rogatis mostra l’inscindibilità del livello estetico e del livello politico della scrittura di Ferrante, “limitandosi” ad analizzarne le forme, i temi e le strategie narrative. A rivitalizzare questi strumenti è tanto l’opera quanto il fenomeno Ferrante, che problematizza gerarchie ed etichette letterarie, mettendo al centro di una narrazione polifonica locale e globale, “geniale e popolare”, il rapporto “simbolico” tra due figure di donna, Elena e Lila.
Se grazie al femminismo della differenza sappiamo che il tema dell’amicizia femminile è l’impensato dell’ordine simbolico patriarcale, con de Rogatis vediamo come Ferrante colga tale vuoto quale occasione per creare letterariamente qualcosa di nuovo e al tempo stesso di arcaico. L’amicizia femminile non è un valore universale, ma una relazione sociale tra donne sopravvissuta nel tempo e in diverse culture, divenendo anche il terreno di azione politica di molti femminismi. De Rogatis mostra quindi l’abilità letteraria della nostra autrice nel creare un mondo narrativo mobile, conflittuale, in cui accanto all’amicizia troviamo altresì il “tremendo delle donne”, forze violente che agitano i corpi delle protagoniste di tutti i romanzi di Ferrante. Già da questo primo indizio vediamo come, da parte di Ferrante, ci sia una volontà di rimescolamento di ciò che simbolicamente assegniamo al polo del maschile e al polo del femminile, da non confondere con l’aperta critica alla violenza maschile perpetrata sui corpi femminili o sui corpi non conformi alla norma (vedi il personaggio di Alfonso in Storia della bambina perduta), che invece viene raccontata come pratica culturale, sociale e politica.
Addentrandoci nella pagine del volume, de Rogatis riprende la fortunata espressione di Stiliana Milkova – che parla della scrittura di Ferrante come una serie di “labirinti”: il labirinto della violenza maschile, il labirinto della città di Napoli, il labirinto del rapporto madre-figlia – per mostrare la pluralità dei livelli semantici che compongono il plot, ovvero il complesso intreccio di L’amica geniale. La molteplicità è dunque ciò che a mio avviso contraddistingue tanto la scrittura di Ferrante quanto l’analisi di de Rogatis, e infatti quest’ultima mostra altresì la compresenza di diversi registri linguistici e generi letterari nella tetralogia che, sulla scia di Elsa Morante, hanno il preciso scopo di rimettere in discussione il racconto della Storia, maschile, in cui irrompe quel “soggetto imprevisto” capace di far emergere una compresenza di temporalità differenti, e dunque una compresenza di storie nella Storia. Ferrante, sottolinea de Rogatis, si appella quindi a una Storia che ha l’aspetto dell’“istruttoria”, ovvero un esplicito ripercorrere i fatti avendo fiducia nella finzione, in cui risuona altresì la facoltà dell’immaginazione quale capacità di connettere fatti apparentemente distanti e diversi tra loro ma che in realtà condividono più di quanto ci racconti la vulgata della Storia ufficiale, codificata dal materialismo storico. Siamo qui nei meandri di Hannah Arendt e Adriana Cavarero, dove l’arte del racconto è un’arte della relazione e la Storia un complesso di storie private, in cui le donne sono state al contempo incluse ed escluse. Il tempo arcaico convive conflittualmente accanto al tempo ipermoderno; detto in altre parole, i miti e la molteplicità delle loro infinite varianti ci parlano dei conflitti tra i sessi e tra donne che sono sempre in agguato, a cui, non senza dolore, si possono tuttavia contrapporre le genealogie femminili, anch’esse in perenne mutamento. Ferrante ha ben chiaro il procedere della Storia, e tuttavia è un procedere non progressivo, ma che anzi va zigzagando tra Chronos e Aion, tra il tempo lineare e il tempo ciclico, temporalità che albergano in ciascun personaggio creato dalla nostra scrittrice.
Infine, mi sembra importante segnalare come de Rogatis dedichi un’attenzione particolare alla città di Napoli, luogo glocale su cui Ferrante costruisce la propria narrazione affatto casualmente. A Napoli, “città ermafrodita”, convivono e si scontrano continuamente bellezza e violenza, progresso e arretratezza, cultura sottoproletaria e cultura borghese. Ma sono scontri non sempre antitetici, o almeno non così oppositivi come queste dicotomie vorrebbero farci credere. La raffinata narrazione del ciclo dei quatto volumi di L’amica geniale (ambientata nel secondo dopoguerra italiano fino ai giorni nostri) usa lo scontro anche per segnalare le complicità tra gli apparenti opposti: le madri che odiano le figlie femmine e fanno finta di non vedere la violenza patriarcale perpetrata su di loro; uomini borghesi e sottoproletari che se in fabbrica mettono in scena la lotta di classe agiranno però ugualmente da padroni sul corpo delle donne con cui entrano in contatto quotidianamente; Elena e Lila che si appropriano l’una dell’altra con voracità, senza chiedere il permesso e per potenziare ciascuna se stessa. Tuttavia, se leggiamo la tetralogia come un’ucronia, ovvero come se le donne subalterne meridionali avessero avuto una voce per raccontarsi e qualcuno fosse stato in grado di ascoltarle, siamo, a mio avviso, di fronte a un’ucronia né distopica né utopica, bensì a qualcosa di inedito. L’altrove analizzato da de Rogatis mostra le possibilità e il potere di costruire mondi della narrazione, così come la potenza riacquistata dalla voce femminile oggi; mostra i rapporti di disparità – le relazioni che universalmente viviamo – in quanto abissi in cui è facile perdersi, ma dove la scrittura rappresenta e agisce performativamente come la “catena che tira su l’acqua dal fondo di un pozzo”. Abissi e pozzi pieni di frantumaglia – frammenti eterogenei della memoria – che continuamente smarginano e rimarginano i nostri corpi, ovvero le Storie in cui siamo immersi e che abitano, trasformandoci, la carne e il sangue delle nostre mutevoli membra.
Infine, a conclusione del volume, troviamo un’ampia e accurata bibliografia che racconta da un lato la ricchezza di studi sull’opera di Elena Ferrante in continua espansione, e dall’altro l’approfondito lavoro cartografico di de Rogatis. Elena Ferrante. Parole chiave è così un testo al contempo pionieristico e futuristico, che impreziosisce ulteriormente i mondi narrativi dell’autrice più coerente della nostra contemporaneità. Un testo che, similmente allo spettacolo teatrale di Chiara Lagani e Fiorenza Menni Storia di un’amicizia, mostra come l’opera di Elena Ferrante sia un terreno estremamente fertile per far gemmare una molteplicità di pensieri e storie femministe ancora tutte da raccontare.
Isabella Pinto in DWF (120), In movimento. Conversazioni politiche, 2018, 4
[1] Ricordiamo altresì la pubblicazione di una serie di saggi sull’opera di Elena Ferrante precedentemente apparsa in lingua inglese: G. Russo Bullaro, S. V. Love (eds.), The Works of Elena Ferrante: Reconfiguring the Margins, Palgrave Macmillan, Basignstoke (UK) 2016.