Una donna che ha lottato contro l’Isis per la liberazione di Kobane viene a dirci che, malgrado i luoghi di violenza e repressione che ha attraversato e combattuto, anche in occidente non si sente tanto a suo agio, e questo dovrebbe farci riflettere.
Vivere in una società che non sempre genera conflitti visibili, che esibiscono con evidenza la loro carica repressiva, quale è quella occidentale, produce molte contraddizioni. In questa società la politica populista tende a mantenere «l’attuale assetto della distribuzione del potere e della ricchezza», incatenando la classe media in un ruolo funzionale alla governance e non a se stessa, cioè tra la paura dell’impoverimento e la strenua difesa dei propri privilegi (vedi nel testo le voci Povertà, Governabilità, Precarietà, Società).
Tra i dilemmi che affliggono spesso chi ha dimestichezza col pensiero e abita gli spazi dell’agire politico c’è quello dell’efficacia. Come agire di fronte a una repressione insidiosa, ma spesso silente, strisciante, che pur investendo le vite di tutte e tutti, resta difficilmente visibile ai più? Quanta di questa repressione si nasconde in quel “buon” linguaggio della politica che con intenzione nasconde l’origine e il portato ideologico delle parole che usa?
Con questo inganno ha a che fare il lavoro curato a sei mani da Federico Zappino, Lorenzo Coccoli e Marco Tabacchini, edito da Mimesis, Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti.
Si tratta di una selezione di parole (beni comuni, costituzione, crisi, democrazia, destra/sinistra, eccellenza, eguaglianza, governabilità, legalità, movimento, popolo, povertà, precarietà, responsabilità, sacrificio, società, trasparenza, futuro) che appartengono al lessico politico contemporaneo, di cui si ricostruire lo sviluppo genealogico. È un modo di sporgersi oltre la ringhiera, come indicava Hannah Arendt, per pensare la contingenza, per tenere insieme «strumenti di comprensione» e «strumenti di lotta».
«Viviamo oggi in tempi politicamente interessanti» – lo dicono, prima dei tre curatori, Slavoj Žižek e Eric Hobsbawm, evocando un’antica maledizione cinese che augurava ai propri nemici di vivere in tempi interessanti. Ma quali sono questi tempi interessanti? Sono «tempi caotici, mutevoli, sfuggenti. Tempi di depressione, di crisi, di povertà – tempi in cui gli antichi dei sono fuggiti e quelli nuovi ancora tardano a fare il loro ingresso; in cui i punti d’appoggio consueti sfuggono alla presa e tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria» (p. 9). Le vecchie parole d’ordine vengono rimbalzate da un campo all’altro, senza che si tenga conto della loro storia e del loro peso, e spesso vengono strumentalizzate ai fini della ragione neoliberale. Si tratta di riaprire lo spazio di un pensiero critico che ricollochi queste parole scelte e apra a un discorso politico capace di bucare la superficie della retorica ufficiale. Non bisogna però adagiarsi su questa descrizione, generica eppure calzante, del passaggio storico che stiamo vivendo, perché ciascun tempo interessante, per quanto possa evocare altri tempi interessanti con cui condivide alcune o molte caratteristiche, deve essere contestualizzato e raccontato con parole proprie, inedite nei loro significati aderenti alle contingenze del presente.
D’altra parte, DWF lo suggeriva già nel 2001 (1, 49 gennaio-marzo), per voce di Federica Giardini, Tonia De Vita e Rita Corsi e (sarà una coincidenza?!) proprio sotto lo stesso titolo: Genealogie del presente.
Le tre autrici dell’introduzione, in quell’occasione, fanno una richiesta a loro stesse: «che la politica delle donne sappia rinnovare il rapporto con l’esperienza, anche quando questo rinnovarsi sembra implicare un abbandono di forme consuete» (p. 6). Allo stesso tempo si dicono consapevoli che la loro generazione sta creando nuove pratiche, senza però pensare di crearle dal nulla (p. 7).
È su questa stessa scia che forse va inteso il lavoro curato da Zappino, Coccoli e Tabacchini, che riconoscono, tra i debiti, anche quello con il pensiero femminista. I tre curatori, si trovano di nuovo ad avere a che fare con la necessità di rintracciare un rinnovato rapporto con l’esperienza: affermano infatti l’importanza di smascherare le strategie discorsive che si annidano nel linguaggio, spesso considerato neutro, e le sue rappresentazioni persuasive e falsamente universali del mondo.
Così, i diciotto interpreti acuti a cui vengono affidate queste parole, tentano di dar conto delle opposizioni, delle tensioni, delle rotture e delle inversioni che le parole hanno subito e mettono in luce le faglie e le crepe che le rendono instabili.
Su queste faglie e su queste crepe, una volta portate allo scoperto, è possibile agire (forse) in modo efficace.
Genealogie del presente si aggiunge quindi a quei lavori che vogliono fornire strumenti di elaborazione per un pensiero critico, mettendo il lettore e la lettrice nella posizione attiva di chi pensa da sé e in relazione al coro che scrive.
La volontà di restituire il contingente della materialità delle vite, si mostra nella composizione del preludio anche nelle piccole accortezze, come il nominare il nomadismo dei tre curatori: la composizione del lavoro è avvenuta infatti tra «Asti, Brescia, Roma, Sassari, Torino, Verona».
Saper restituire la genealogia delle parole, saperle ricollocare storicamente e saperne tracciare le migrazioni, è anch’esso lavoro di pensiero e lavoro politico allo stesso tempo.
Il linguaggio non è neutro. Il linguaggio è pensiero, è in sé azione e assieme agisce nelle vite concrete di ciascuna e ciascuno. Attraverso il linguaggio si danno le relazioni politiche, e svelare la retorica ufficiale che sublima i disagi e i conflitti sociali, e che nasconde dietro queste diciotto parole strategie persuasive costituisce un ulteriore passo verso la costruzione di un linguaggio che sia in grado di mostrare il presente come solo le sue contingenze e le sue vesti fatte della materialità delle vite possono fare.
Ultima sfida che tengo a sottolineare, non meno importante, è quella di aver saputo tenere insieme linguaggi di differenti discipline, a partire dalla diversificata formazione dei tre curatori, perché la scommessa politica che è in atto – non solo in questo libro, ma anche in DWF (vedi nn. 100-101) – è quella di far dialogare diversi linguaggi, è quella di saper tradurre pratiche e pensieri politici.
Roberta Paoletti in DWF (103-104) Tutta salute!, 2014, 2-4