Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio di Barbara Romagnoli, è un libro che cattura il tuo sguardo mentre girovaghi assorta tra gli scaffali delle librerie. Gli occhi si muovono, interessati ma indecisi, tra le copertine di decine e decine di volumi e infine si fermano, tornano indietro, mettono a fuoco. Non solo per la sua copertina realizzata da Anarkikka, colorata e allegra, che parla già di forza e di vivacità delle lotte; ma anche per quel titolo e quel sottotitolo, che ti spingono ad aprire il libro e a cercare l’indice per capire un po’ il significato di quell’inaspettato “femminismi del nuovo millennio”. All’interno del volume ci sono numerose storie, numerosi percorsi. Alcuni li conosci, di altri ne hai sentito solo parlare, altri ancora ti colgono alla sprovvista. Non riesci a staccare il naso dall’indice mentre cerchi distratta i soldi nella borsa, mentre saluti la libraia, mentre esci in strada per tornare a casa.
Irriverenti e libere offre numerosi spunti e permette di guardare a dei percorsi, alcuni ancora aperti e altri invece chiusi, e contemporaneamente di mettere a tema la forza e le debolezze di molte esperienze del femminismo degli ultimi anni. Insomma, è un libro che a modo suo ci interroga tutte, nonostante le differenti lotte, la differente esperienza politica e le differenze anagrafiche, offrendo spunti per ricominciare a parlare tra noi, oltre di noi, e comprendere cosa significa per noi e le altre essere femministe. È un libro di esperienze, che raccoglie storie forti e interessanti di lotta; e queste esperienze ci interrogano, ci pongono delle domande precise circa dei nodi cruciali del nostro dirci femministe. Ad esempio, la questione spinosa del rapporto tra i collettivi di donne degli ultimi anni e il movimento misto, il “movimento dei movimenti”: un tema le cui criticità sono ancora difficili da nominare per alcune di noi, per coloro che non si riconoscono nell’idea di una lotta totalmente separatista, ma contemporaneamente vivono ogni giorno le contraddizioni di un posizionamento femminista all’interno di un contesto misto, seppur “pacificato”. C’è la questione della piazza, sempre più attuale dal 2011 in poi, ma anch’essa spinosa, difficile da affrontate, soprattutto dopo Genova, e difficile da districare dalle questioni e dai dilemmi posti dalla militanza femminista in un contesto non separatista. Troviamo esperienze che ci raccontano dell’urgenza di ritrovarsi in piazza tutte intere; troviamo donne che cercano e trovano modi per esserci senza perdersi, restando fedeli al proprio desiderio pur rispondendo all’urgenza politica di scendere per le strade. In questo senso, è interessante notare come i movimenti degli ultimi anni, che hanno conquistato uno spazio mediatico a livello globale, creando in alcuni casi addirittura un brand di dissidenza (#Occupy) abbiano preso e imparato molto dalle pratiche e dalle esperienze di molte donne e collettivi femministi. Nel libro, si ritrova anche il tema del rapporto tra le differenti “generazioni” di donne, termine che per la sottoscritta, come per molte altre, sta a indicare soprattutto una differenza qualitativa e non quantitativa, una differenza legata ai contesti, alle esperienze e alle relazioni, una differenza che va messa in circolo e che può portare lontano. Lungi dall’essere questione anagrafica, la differenza di esperienza tra chi ha scelto di fare del femminismo il proprio posizionamento e chi lo scopre per la prima volta ci tocca tutte, in contesti sempre diversi. Siamo tutte, contemporaneamente “giovani” e “vecchie” del femminismo, perchè ogni giorno scopriamo il femminismo in relazioni, pratiche e contesti nuovi, e ogni giorno ci nutriamo dell’esperienza, nostra e delle altre, che proviene da queste relazioni, provando infine a comunicarla ad altre donne. Questo tema è un nodo cruciale di molte discussioni degli ultimi anni, eppure, torna sempre sulla scena, irrisolto, forse perchè preso in uno schema duale di contrapposizione tanto caro al patriarcato. In questo senso Irriverenti e libere affronta alcuni dei passaggi più dolorosi e più complicati che un gruppo femminista può trovarsi a fronteggiare nel corso della sua esistenza. Sono passaggi che a volte naufragano nel silenzio e che invece, dal momento che sembrano ricorsivi, andrebbero continuamente affrontanti all’interno dei gruppi e delle reti di relazioni. Basti pensare al fantasma dello scioglimento, della fine della relazione non necessariamente legata a un conflitto. L’eleborazione collettiva dell’esperienza della fine del gruppo (come è avvenuto nel caso delle donne del Ladyfest) è uno strumento, per il gruppo e per tutte, per una consapevolezza delle relazioni interne al gruppo, fuori dalle dinamiche di istituzionalizzazione. Per non parlare del problema, a cui in parte già si è accennato, del raccontarsi al di fuori dei propri contesti, del trovare le parole per dirsi anche senza cadere nel già detto del femminismo, nelle parole-chiave che rischiano di tramutarsi in formule magiche, e che fuori dalle nostre relazioni politiche sembrano incomprensibili, producendo distanza.
Il corpo è presente in ognuna di queste esperienze: come vissuto, come relazioni, come pratiche, come urgenze: dal post-porno, allo stare in piazza, al tessere relazioni tra distanze e presenze, il corpo è lo strumento per cambiare la realtà, il modo della politica femminista. Al centro di queste storie c’è il fra-donne, con le sue relazioni e pratiche. Questo fra-donne non è solo una teoria, una visione filosofico-politica, ma è radicato in esperienze concrete, e nelle parole che le segnano quasi ricorsivamente: relazioni, desiderio, pratiche. Le vite, le esperienze concrete: è così che il libro si impregna della forza di ciò che racconta, della loro potenza, la loro ironia; ma anche della loro fatica, del dolore, della consapevolezza. Ci sono donne, lesbiche, queer, trans. Ci sono i volti, le mani, i corpi: attraverso i racconti sembra quasi di poterli sentire. Ci sono reti di differenze, dove ognuna (e ognuno) si mantiene intero. Identità nuove, ma non fisse. Fluide, imprevedibili. Appaiono, scompaiono, ricompaiono sotto altri nomi. Ironiche e autoironiche, legano ma non cementano. Queste esperienze raccontano di un’immensa forza, che è forza delle relazioni, del desiderio, della politica e, soprattutto, raccontano della gioia del lottare assieme, del costruire, reinventare, ribaltare l’ordine che ci circonda. E sentire queste pagine che traboccano di felicità e potenza è contagioso. La politica come forza e come gioia: una passione che scardina i tempi in cui viviamo e che riscopre il significato vero del fare politica assieme, di quell’essere insieme, tra donne, per cambiare il mondo. La politica, ce lo diceva già Hannah Arendt, cambia il mondo, ci rende umani nel modo più pieno; ma soprattutto, la politica, quella vera, dà la felicità.
Federica Castelli in DWF (107) Ancora sorelle?, 3, 2015