Paola Stelliferi (2022), Tullia Romagnoli Carettoni nell’Italia repubblicana. Una biografia politica, Viella

Tullia Romagnoli Carettoni non è generalmente annoverata tra le protagoniste e i protagonisti dei primi decenni della storia repubblicana, eppure è stata una figura di primo piano sulla scena politica di questo periodo. A ricostruire una parte della sua biografia politica è Paola Stelliferi nel libro Tullia Romagnoli Carettoni nell’Italia repubblicana, pubblicato da Viella nel 2022. Il volume è basato in larga parte, ma non solo, sulle carte dell’archivio personale di Tullia Romagnoli conservato all’Unione femminile nazionale ed è il terzo della collana di Viella dedicata agli studi storici sugli archivi conservati all’Ufn. È un testo approfondito e rigoroso ma anche di piacevole lettura che ci porta nel cuore della storia politica italiana del secondo dopoguerra a partire dalla prospettiva di una donna nata nel 1918, di ceto borghese e intellettuale, che da giovanissima partecipa alla Resistenza antifascista e che per tutta la vita cerca di realizzarne gli ideali di uguaglianza attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa. 

Nel 1945, scrive Stelliferi, «la cultura familistica del tempo prevedeva che, terminata la parentesi eccezionale della guerra, le donne dessero la priorità al ruolo di mogli e di madri. La signora Carettoni, invece, desiderò conquistare un lavoro stabile e, contemporaneamente, dare seguito al suo impegno civile nel nuovo contesto democratico» (pp. 35-36). Moglie, madre, lavoratrice, donna impegnata in politica: del modello di donna emancipata Tullia Romagnoli è stata un profilo esemplare, incarnandone anche le ambivalenze. Paola Stelliferi ce la racconta negli anni giovanili, nel farsi della carriera politica, nei due decenni di attività parlamentare, fino al 1981: anno in cui fu abolita la causa d’onore con un provvedimento “spartiacque” a cui la senatrice lavorò per due decenni ma che, alla fine, non portò il suo nome essendo nel frattempo stata eletta al Parlamento europeo.

Gran parte della sua attività istituzionale fu improntata, diremmo oggi, a una prospettiva di genere. Allora si definiva “la questione femminile” ma l’analisi di Stelliferi mette in luce come a orientare l’agire politico di Tullia Romagnoli fosse la consapevolezza, via via sempre più nitida, che la leva del cambiamento fosse nelle relazioni tra i sessi a partire dalla divisione sessuale del lavoro. E che famiglia e morale fossero, insieme, i dispositivi attraverso cui si riproduceva un modello di relazione “tradizionale” e “verticale” – come lei stessa ebbe a definirlo. Una consapevolezza di cui Stelliferi coglie i segni già agli esordi della sua attività parlamentare, con alcuni disegni di legge che avevano come filo conduttore il contrasto alla cosiddetta “doppia morale”. 

La sua traiettoria politica iniziò nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, proseguì nell’Unione donne italiane del secondo dopoguerra, poi come militante e, di incarico in incarico, come dirigente del Partito socialista italiano, nelle cui fila venne eletta senatrice nel 1963. A quarantacinque anni fu una fra le poche candidate in un partito di massa: le donne elette in Senato, in quella tornata, furono l’1.9%, il 4,6% alla camera. Delusa dalla debolezza dell’impegno del Psi sul fronte della modernizzazione del paese, nel 1966 uscì dal partito per contribuire a formare il gruppo parlamentare della Sinistra indipendente, che si costituì perché Pci e Psiup misero a disposizione circa il 10%-15% dei loro seggi per includere, scrive Stelliferi, “personalità di rilievo” che potessero rappresentare “espressioni politiche della società civile”. Un esperimento di Ferruccio Parri sostenuto da Luigi Longo, allora alla guida del Pci. Nel 1972 fu eletta vicepresidente del Senato, la prima donna ad accedere a questa carica e, in quel momento, l’eletta arrivata più in alto nella gerarchia delle cariche istituzionali. Visse in prima persona alcune battaglie simbolo di quegli anni: il divorzio, la riforma del diritto di famiglia, la legalizzazione dell’aborto, battaglie sulle quali la vediamo soprattutto all’opera come mediatrice con le forze moderate. Nel referendum sul divorzio si sbagliò, temendo che portasse una lacerazione irreparabile nella società. Rispetto all’aborto si definì femminista ma senza condividere alcune parole chiave del movimento, come l’autodeterminazione, e agendo contro la liberalizzazione per timore che avrebbe deresponsabilizzato gli uomini. Definì la 194 una legge “ipocrita” ma “pragmatica”. 

L’abolizione della causa d’onore fu un suo obiettivo tenacemente perseguito per i due decenni della sua vita da senatrice e la ricostruzione che Stelliferi fa di questa traiettoria mette in luce un aspetto importante, fino a ora rimasto in ombra. Ovvero, come il reato di “infanticidio per causa d’onore” sia stato il nodo più problematico di tutto l’iter legislativo. Stelliferi descrive come il punto intricato della vicenda non sia stato tanto l’abolizione del “matrimonio riparatore” e del “delitto d’onore”, quanto piuttosto la riconfigurazione del reato di infanticidio: un reato per il quale il Codice penale Rocco dal 1930 prevedeva delle attenuanti, sia per le donne, sia per “i terzi”, in altre parole, gli uomini della famiglia che uccidevano il neonato o la neonata in nome della difesa dell’onore.

Nell’arco della sua carriera politica la senatrice Carettoni, come veniva chiamata, fu impegnata anche su altri fronti: la democratizzazione della scuola, la tutela dei beni culturali, l’antifascismo e il sostegno alla causa palestinese, la cooperazione internazionale. L’opera di Stelliferi evidenzia in modo particolarmente efficace i suoi tentativi di disarticolare il dispositivo sessuo-economico attraverso l’attività parlamentare e di governo, ossia scrivendo leggi tese a realizzare il dettato costituzionale e lavorando meticolosamente alla loro approvazione. La determinazione di Tullia Carettoni nel «combattere la tradizionale separazione dei ruoli e mettere in discussione l’idea di una naturale predisposizione femminile» (p. 223) consente, credo, di sfumare la linea che il movimento femminista ha tracciato nettamente negli anni Settanta, anche in rottura con la generazione precedente, quella tra emancipazione e liberazione. E di vedere come nella concretezza delle vite e dei percorsi vi sia piuttosto una tensione continua tra diversi piani di azione e di pensiero piuttosto che un aut aut tra visioni politiche reciprocamente escludentesi.

Eleonora Cirant in Femministe col bot