Alessandra Chiricosta è una donna impossibile da definire, per fortuna. Imprevedibile, indisciplinata – in tutti i sensi possibili del termine – . E inaddomesticata, direbbe qualcuna. Fluida, aggiungerebbe lei. È difficile persino introdurla, descrivendola in modo esaustivo: marzialista, filosofa, antropologa, storica delle religioni, attivista, militante, amica, sorella, mamma; appassionata, potente, piena di influenze, inguaribilmente nerd. Non ce la si fa, davvero. E così è anche il suo libro: un turbinio vorticoso. L’unico modo per recensirlo, piuttosto che mettersi lì da brave studiose con penna e quaderno per gli appunti, è lasciarsi andare alle sue pagine, al suo flusso vorticoso e densissimo.
Un altro genere di forza tiene insieme una molteplicità di sguardi. In primo luogo, un approccio storico-filosofico che interloquisce con i corpi, con le pratiche, con la politica. Questo approccio contribuisce a creare una sorta di cornice (ma certo non nel senso tradizionale del termine) attorno a quell’elemento che abita, in un modo o nell’altro, a volte silenziosamente o sotto mentite spoglie, molti dei nostri collettivi e molte delle relazioni piene di desiderio su cui si basa la politica femminista: la forza. La domanda che smuove tutto il libro, che poi è una domanda che interpella ognuna di noi nel profondo, muove proprio da qui: cos’è per te (e per noi) la forza?
Al centro di ogni pagina ci sono i nostri corpi, sempre al plurale, sempre sessuati. Corpi che hanno una storia. Corpi su cui gli effetti del potere patriarcale si mostrano in modo evidente, a volte con estrema violenza, orientando vissuti, esperienze, pratiche politiche. Questi effetti hanno a che fare con come ci percepiamo, cosa pensiamo di poter fare e cosa no, cosa ci viene imposto, cosa ci proibiamo da sole, convinte dalla cultura patriarcale di essere soggetti deboli, che hanno bisogno di protezione costante. Convinte di essere sole e di poter essere protette (dalla minaccia dell’uomo) solo da un uomo. Dunque è essenziale la messa in discussione proprio di quell’impianto patriarcale, sia nelle sue categorie teoriche che a partire dai suoi effetti sui corpi. Ma il testo va ben oltre la postura e le proposte proprie della biopolitica, poiché intende, come è bene fare sempre all’interno della riflessione critica femminista, i corpi sessuati non solo come qualcosa che subisce gli effetti del potere patriarcale, ma anche e soprattutto come dimensione creativa, espressiva, e fondante della politica.
Sulla scorta di questa messa a fuoco Alessandra Chiricosta avanza, fin dalla prima pagina, un’idea di forza molteplice, plurale, animale, non patriarcale, sfaccettata. L’invito, chiaro ed esplicito, è a riconnettersi a essa, come anche ai nostri limiti. Una forza combattente e legata ai corpi sessuati, una forza che si dà sempre in relazione, quando invece, nella tradizione occidentale e patriarcale, è stata sempre ricondotta al corpo maschile, ridotta a a mera violenza. La forza, però, non coincide con la violenza. Non si esaurisce in essa. La forza è molto altro. Una forza non distruttiva, ma che è soprattutto incontro e relazione con l’altro (anche nel conflitto).
Fuori dal paradigma patriarcale e occidentale, fuori dall’idea di forza come qualcosa che opprime, Alessandra ripensa la forza assieme a Simone Weil, Angela Putino, alle Amazzoni, a Pentesilea, a Braidotti. Da Weil, in particolare, riprende l’idea di una forza che non è legata a un soggetto (che la possiede, gestisce, agisce in modo sovrano), ma che invece trova da sè le condizioni per agire nel mondo: non c’è, dunque, un solo soggetto legittimato ad agirla.
La biografia di Alessandra, e così il suo libro, è un ponte tra culture, spazi, pratiche ed economie del discorso diverse. Questo è possibile solo se non si guarda al reale come popolato da dicotomie insanabili, da opposizioni cristalline o da dialettiche che assorbono/risolvono la differenza: è possibile solo a partire da un approccio profondamente femminista, che interpreta le differenze non come opposizioni da risolvere, né come identità in contrasto, ma come poli tra cui viene a crearsi movimento, tensione. Il cosiddetto Occidente divide per definire, e definisce solo procedendo per coppie oppositive. Non contempla altro che la dicotomia. Ma, in questo modo, si imprigiona nel già detto: tutto è già stato definito, si tratta solo di capire quale elemento della coppia ha la meglio sull’altro. Occorre invece pensarsi fluide. Tra le polarità c’è infatti sempre una tensione continua, e non un’opposizione cristallina (e cristallizzata), statica, dicotomica. Allo stesso modo, occorre pensare altrimenti il soggetto occidentale e la sua relazione con l’alterità, muovendosi al di là di questa impostazione: pensare la relazione come co-appartenenza, dialogo, incontro, conflitto e non come scontro tra identità fisse. Quell’idea di soggetto che il pensiero occidentale ci ha consegnato non è, infatti, assoluta. Il soggetto può essere pensato altrimenti. Può farsi forza collettiva.
Ecco dunque che il pensiero del Sud-est asiatico, così come le sue pratiche marziali, diventano elementi essenziali della riflessione e dell’agire politico. Nel testo è centrale la filosofia dei cinque movimenti del Dao. Acqua, legno, fuoco, terra e metallo: non sono elementi ma, appunto, cinque movimenti. Forze non lineari, che tracciano un movimento continuo e inestinguibile tra due polarità. In questo senso flessibilità e trasformazione non solo si pongono come concetti filosofici fondamentali, ma sono da intendersi anche come vere e proprie pratiche politiche. Pratiche che liberano tutte, sia a livello teorico, sociale, politico che immediatamente fisico, d’esperienza, perché, appunto, radicate nei corpi.
Un altro genere di forza è un testo che parte dal corpo, in primo luogo quello di Alessandra, che è vivo e presente in ogni pagina, così come gli incroci della sua vita (tra filosofia, arti marziali, femminismo). È, tra le molte altre cose, frutto di una forma radicale del partire da sé, che interpella i corpi e li incita a trovare radicamento e contemporaneamente agire, divenire trasformazione individuale e collettiva. Quella di Alessandra è una filosofia pratica, in tutti i sensi. Che non stabilisce cesure, né interne (come quella tra mente e corpo, tanto cara alla nostra tradizione) né tra corpi. Il corpo è anzi l’elemento di interrogazione fondamentale, delle pratiche, dei saperi, del potere. In questo senso, Un altro genere di forza è un dono politico per tutte noi.
Federica Castelli in DWF, Scatenate. Quelle che lo sport…, 2020, 1