A chiunque sia capitato di leggere un libro di Goliarda Sapienza è capitato a primo impatto di cogliere la parola che si fa corpo, gli umori dell’identità, l’urgenza di libertà. Su questa intuizione Alberica Bazzoni elabora un’analisi critica di gran parte del complesso narrativo di Goliarda Sapienza, passando attraverso i primi scritti – Lettera aperta e Il filo di mezzogiorno -; le opere pubblicate postume – L’arte della gioia e Io, Jean Gabin -; fino a quelle della maturità – L’Università di Rebibbia e Le certezze del dubbio.
Bazzoni, che lavora presso il dipartimento di Italian Studies dell’Università di Warwick, ha vinto nel 2015 la Peter Young Scholars Competition in Women’s Studies, pubblicando così la ricerca svolta nel corso del dottorato di ricerca all’Università di Oxford. Il libro che ne è seguito centra almeno quattro elementi di novità assoluta nel panorama dell’analisi critica a Sapienza, che pure a seguito di una vicenda editoriale travagliata è stata di recente ampiamente “riscoperta”.
In primo luogo, il libro è scritto in inglese, ed è rivolto dunque ad un pubblico anglofono. Bazzoni si rende “ponte” di un’operazione di traduzione culturale dell’opera di Sapienza, finora conosciuta in lingua inglese solo grazie alla traduzione de L’arte della gioia. Lo sguardo minuzioso di Bazzoni ripercorre l’evoluzione stilistica di Sapienza, il contesto di riferimento – sia dell’autrice che delle opere, la cifra narrativa e politica, restituendo nella sua complessità le opere ad un pubblico cui sarebbero altrimenti inaccessibile da un punto di vista linguistico.
In secondo luogo, Bazzoni sceglie di rileggere la narrativa di Sapienza attraverso una cornice teorica complessa, dal post-strutturalismo, alla psicanalisi, agli studi femministi. Rispetto a questi ultimi utilizza uno sguardo genealogico: da Cavarero alla Queer Theory gioca con le parole di Sapienza, coglie le allusioni, solletica interpretazioni inattese. A intessere questo dialogo letterario, erotico e politico sono molte delle autrici più note del panorama filosofico femminista e queer, che raramente vengono proposte insieme in uno sguardo di profondità che riesca a tenere insieme continuità e divergenze.
In terzo luogo, Bazzoni riesce nello sforzo di tracciare l’in/coerenza del percorso di Sapienza, individuando i fili rossi che attraversano tutta la sua narrativa. Restituisce così la crescita letteraria dell’autrice, senza tacere le ricorrenze e le dissonanze, ma ricostruendo la personalità nella sua evoluzione e maturazione.
Infine, Bazzoni mette in rilievo un elemento spesso misconosciuto nell’analisi a Sapienza, ovvero il ruolo della politica. La politica, sia come contesto spazio-temporale che come slancio che sottende la narrazione. I testi di Sapienza, profondamente influenzati dalle vicende storiche – sia per la storia familiare che per contingenze di vita dell’autrice – trasudano un costante posizionamento, un’attitudine critica agli avvenimenti economici, sociali, istituzionali ma anche al genere e la sessualità. Il corpo letterario di Sapienza si fa corpo politico, parola scagliata contro le iniquità del suo presente verso una trasformazione sociale necessaria.
Eppure, oltre questi elementi di novità, il fulcro dell’analisi di Bazzoni è quello della libertà: “per prima cosa [questo studio ndr] argomenta in favore dell’originalità e significatività del lavoro di Sapienza; in seguito propone la libertà come una chiave interpretativa, usando questa chiave per articolare la prima analisi complessiva della sua narrativa; infine definisce il suo lavoro come epicureo e anarchico” (Bazzoni, 2018:29, traduzione mia). La narrativa di Sapienza è fatta di sudore, fluidi, sangue, saliva, rabbia, esplosioni. Attraverso il ruolo del corpo, che rappresenta nell’opera di Sapienza “una fonte di impulsi primari e vitali, con cui il sé può ristabilire un contatto solo dopo aver superato i molti livelli di oppressione” (Bazzoni, 2018: 14, traduzione mia) si svelano i modi in cui il potere interviene nei processi di formazione dell’identità, ma anche gli spazi in cui la forza erotica e la funzione politica possono sovvertire l’ordine delle cose.
In Lettera aperta e Il filo di mezzogiorno Bazzoni segue il filo dell’identità dell’autrice, che attraverso dialoghi autobiografici si racconta nell’infanzia in Sicilia, nella maturità a Roma, senza tacere il suo personale percorso psicoterapeutico e il rapporto controverso con la “pazzia” che le veniva additata. Attraverso le relazioni significative della sua vita, da quelle con la madre e la famiglia a quelle con i/le pari, emerge la sessualità plastica di Sapienza, la quale ha ricostruito una nozione di genere, piacere e desiderio fuori e contro le norme trovando le parole per dirsi – e per dirlo – quando ancora erano state appena abbozzate dal movimento femminista.
L’Arte della gioia, l’opera più conosciuta di Sapienza (pur rigettata per anni dagli editori), viene analizzata da Bazzoni attraverso il nodo della relazione tra il corpo, l’identità e il potere. Il tema dell’identità viene ripercorso attraverso il personaggio principale del romanzo, Modesta, donna capace di rigettare ogni oppressione, personaggio complesso e contraddittorio capace di amori viscerali e violente reazioni, ma anche cura, autodeterminazione, dipendenza, controllo, nell’eterna ricerca del piacere e del godimento. Se Modesta scardina gli assunti tradizionali relativi all’identità, il genere, la sessualità, il desiderio, lo fa nel nome di un’etica personale fatta di un’idea radicale di libertà.
Io, Jean Gabin segue invece la stessa urgenza autobiografica delle prime opere di Sapienza. Tornano al centro i ruoli di genere, l’amore per le altre donne, una percezione fluida dell’identità che accoglie contraddizioni e conflitti. Le ultime riflessioni sono dedicate a L’Università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, scritti a metà degli anni ’80 dopo l’esperienza del carcere fatta da Sapienza. Se il primo si concentra sul carcere come universo sociale, affettivo e formativo, nel secondo viene approfondita la relazione amorosa dell’autrice con Roberta, una delle detenute politiche dalla storia travagliata, segnata dalla dipendenza dalla droga e le incarcerazioni frequenti. Nell’istituzione carceraria hanno luogo processi controversi: se da un lato essa rappresenta la reclusione e la mancanza di libertà dall’altra rappresenta un luogo del margine in cui nuove resistenze, alleanze, solidarietà e cura vengono ricostruite tra le donne. Come in gran parte delle opere di Sapienza, la radicale passione del corpo viene opposta ai codici normativi egualmente distribuiti tra le strutture spaziali, quelle relazionali, culturali, politiche, sociali.
Ultimo appunto, ma non meno importante, riguarda la sapienza narrativa di Bazzoni, che conduce le lettrici e i lettori attraverso una materia specialistica, rendendola accessibile anche a tutte/i. L’andamento chiaro, lucido e poetico della sua analisi conduce per mano la lettrice e il lettore nei meandri dell’opera di Sapienza, gettando fasci di luce su punti nodali, curiosità e intrecci della vita dell’autrice e delle sue opere. Le riflessioni raffinate e incarnate di Bazzoni rendono chiara la sua postura, essa stessa femminista. Leggendo di Sapienza sembra di leggere di lei stessa, dei suoi percorsi personali, delle sue radici.
Giada Bonu in DWF (119) Lavori aperti, 3, 2018