Uno sguardo internazionale ha caratterizzato la lunga storia di questa rivista fin dalla scelta del nome – DonnaWomanFemme – avvenuta nel lontano 1975. Pensando a questo nuovo numero ci sono venuti in mente i tanti numeri precedenti che nascevano da questa vocazione: Maternità e imperialismo; Cieli divisi. Le scrittrici della Germania orientale; Amore proibito. Ricerche americane sull’esistenza lesbica; Pechino e dintorni; Geografie dei segni; Scritture dal mondo; Luci d’oriente; Femminismi d’Europa; Femminismi dal mondo; Pensiero stupendo e il più recente Europa: ragioni e sentimenti.
D’altra parte, guardare oltre i confini è un tratto peculiare di quelle donne che hanno scelto di assumersi la propria soggettività. La stessa Virginia Woolf sosteneva che le donne nel costruire il proprio essere politico non si sono mai riferite a una identità nazionale.
Raccontare un pensiero radicato, in un luogo, in una pratica, nelle relazioni è quello che cerchiamo di fare in ogni numero della rivista, perché siamo convinte che sia la strada più fertile per arricchire il pensiero e rafforzare la nostra politica: è dunque questa la prima ragione che ci ha spinte a tradurre testi poco conosciuti, o perlomeno poco circolati, ma secondo noi particolarmente significativi e utili per le riflessioni in corso, sia all’interno che fuori la nostra redazione. Tradurre dunque per nutrirsi (e ispirarsi) e alimentare le discussioni, il pensiero.
Le traduzioni che proponiamo trasportano inevitabilmente le pratiche e le riflessioni di altre donne in un’altra lingua e in un’altra cultura. In questo senso pensiamo che con Escursioni. Scritti femministi oltre confine si compia un doppio gesto politico: da una parte il riconoscere e riaffermare che la nostra provenienza sta dove sono le altre donne; dall’altra, l’assumersi la responsabilità politica di intrecciare le parole e le pratiche di altre donne con le nostre parole e le nostre pratiche.
Una scelta (e talvolta una sfida) che abbiamo condiviso con le autrici delle traduzioni che presentiamo. I testi, infatti, sono stati scelti insieme a loro, valutandone la portata e il valore politico, l’apertura di possibilità che ciascun saggio, intervista o libro può rappresentare rispetto alle riflessioni in corso, o infine il dare corpo a nuove proposte.
Le donne coinvolte in questo lavoro di intreccio e traduzione sono donne femministe che hanno con le autrici tradotte un legame personale, politico, magistrale o che hanno riconosciuto nei loro scritti una lettura inedita del presente. La traduzione si presenta quindi come l’esito di una affinità e diventa, come spesso accade, un’estensione, un dialogo, una relazione.
Ad aprire Materia un testo del 1983 della scrittrice e filosofa Françoise Collin (1928-2012), punto di riferimento del femminismo francese. Il saggio L’identica e le differenze – scelto e tradotto da Mara Montanaro, responsabile dell’archivio Collin – affronta i rapporti tra singolarità e collettivo all’interno del movimento femminista nel passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta.
Del 1989 è invece il libro Donna, Nativa, Altra della scrittrice, antropologa, regista e compositrice di origine vietnamita Trinh Thi Minh Ha. Per DWF, Alessandra Chiricosta, filosofa e storica delle religioni specializzata in culture del Sudest asiatico, ne traduce un estratto. Minh Ha, da una posizione post-femminista e post-coloniale, delinea nel testo una prospettiva dislocata e plurilogica dei processi di ibridazione culturale affrontando in maniera originale temi come le identità multiple o le voci marginali all’interno delle società complesse.
Segue un’intervista alla scrittrice, attivista e insegnante latino-americana Yuderkys Espinosa Miñoso, datata 8 marzo 2016. La traduzione di Teresa Di Martino (direttora di DWF) e Gea Piccardi, filosofa vicina ai movimenti femministi del Sud America, porta all’attenzione di un pubblico più ampio di lettrici la questione del “femminismo decoloniale”, al centro del pensiero e delle pratiche dei movimenti radicali latinoamericani contro il razzismo, l’(etero)patriarcato e la colonialità.
Conclude questa serie di preziosi contributi mai apparsi in italiano un brano tratto da Public Thing, l’ultimo libro, pubblicato nel 2017, della filosofa americana Bonnie Honig. Attraverso un estratto dell’epilogo, scelto e tradotto da Federica Castelli (redattrice di DWF), la docente femminista statunitense presenta una proposta politica che, radicandosi nel pensiero di Hannah Arendt, sgancia l’idea di ‘pubblico’ dalla sfera dello Stato per legarla alla reciprocità dell’azione plurale.
Particolarmente ricca è anche la sezione Poliedra, con uno scritto di Daniela Angelucci sulla poeta Antonia Pozzi, morta suicida nel 1938 all’età di 26 anni: «Se Antonia scrive poesie come se ne andasse sempre della sua vita, osserva sempre anche la vita che scorre come se stesse già scrivendo, stesse fotografando, osservando non da lontano, ma con uno sguardo come raddoppiato. Da qui la sua sensazione di inadeguatezza rispetto alle cose pratiche, a quel richiamo crudele ad accontentarsi di una vita semplice e ‘da donna’».
Chiude il numero un saggio della scrittrice Leila Karami, che trascrive e analizza cinque diari di viaggi di altrettante donne iraniane partite, per motivazioni religiose e devozionali, alla volta di tre pellegrinaggi e due viaggi all’interno dei territori iraniani. Uno sguardo sul viaggio nella sua dimensione sociale, scandito dalla scrittura come pratica letteraria e di osservazione del mondo: «vere e proprie succinte narrazioni di viaggio in cui le donne musulmane sono al tempo stesso protagoniste e testimoni». (pc e rp)