Nel numero precedente DWF è tornata a una delle sue passioni fondamentali, quella di cercare le parole per dire che ne è della politica per parte di donne. “Che cosa vuole una donna”, la famosa domanda della psicoanalisi, si è trasformata nell’inizio di un discorso affermativo, per parte di ogni singola della redazione, sulla propria posizione, sui propri desideri, aspettative, e anche inquietudini, rispetto a questi tempi burrascosi, disorientanti ma, forse, anche promettenti. L’intimo è globale, però, e lo abbiamo constatato per parte nostra, come quando, nel corso delle discussioni, è andato da sé che la nostra ricerca di parole rimandasse a quella di altre in altre parti del mondo.
È così che presentiamo questa prima tappa di un partire da sé geografico e politico, Femminismi d’Europa, cui farà seguito il numero successivo con interventi di donne che abitano in paesi extra-europei. Così, per indagare l’opacità del presente, per allargare il respiro corto che la situazione italiana presenta oggi, l’avvio della domanda è stato: ma a che punto siamo in Europa? Quali sono le urgenze del dibattito pubblico e come ci stanno alcune donne, a Londra, a Barcellona, a Vienna, a Parigi, a Hannover?
Come per l’Italia – dove i temi del dibattito pubblico italiano sono l’annosa questione della rappresentanza e delle quote, l’applicazione della legge 194, di fatto disattesa nelle sue prerogative fondamentali, la violenza sessuale e la violenza sulle donne in famiglia più che altrove – è bene ricordare che i temi che oramai appartengono anche alla grande macchina mediatica, spesso non coincidono con il desiderio delle donne e con quanto metteremmo tra le nostre priorità.
A ciascuna delle nostre interlocutrici – scelte per relazioni di amicizia, di apprezzamento del loro lavoro politico e di pensiero – abbiamo chiesto, non di farci una panoramica oggettiva, se non esaustiva, ma piuttosto, com’è nello stile di DWF, di raccontarci delle poste in gioco nel loro paese, di questi tempi, a partire da ciò che avvertono come questioni sensibili, restituendo a questa espressione la letteralità che ha saputo darle il femminismo, uno sguardo di intelligenza incarnata nel corpo di una donna, una presa singolare sulla realtà, indipendentemente dai dati della Unione Europea, dati interessanti ma di fatto poco parlanti dello spostamento avvenuto o che sta avvenendo. I testi hanno la ricchezza e l’articolazione di un sistema nervoso.
C’è chi, come Françoise Collin, segue da Parigi la vena del divenire della politica altra, creata dal femminismo, nella sua amichevole inimicizia con il movimento del maggio Sessantotto. Un percorso che individua una politica vivente, schiettamente anti-istituzionale fino agli anni Ottanta in cui con la presidenza di François Mitterand si è data una svolta nella presenza femminile all’interno degli organi della politica di governo. Le zone sensibili oggi si trovano, per la pensatrice, all’intersezione tra le politiche di stato e l’agire delle donne, su temi come la migrazione e la sessualità, in una temperie che convoca a un’accresciuta responsabilità femminile.
Da Hannover Barbara Duden, sensibile alle politiche del corpo che il femminismo degli anni Settanta aveva saputo creare, rintraccia le linee della riorganizzazione delle politiche di stato e dell’“economia della cura”. Nella sua analisi, che mette al centro il nuovo assetto neoliberista delle società nord occidentali, Duden critica in particolare gli effetti “derealizzanti” prodotti dalla dominanza del neoindifferenzialismo, che ancora una volta relega all’invisibilità le donne in carne ed ossa e i carichi gravosi cui sono sottoposte in questa fase di riorganizzazione sociale, economica e tecnologica.
Con sensibilità analoga scrivono Ursula Wagner e Marlen Bidwell-Steiner, che da Vienna raccontano dell’evolversi delle politiche per la famiglia, dedicando però un commento finale a un’imprevista dominanza, nelle università, dei Gender Studies rispetto ai Gay Studies, perché più consoni all’egemonia del modello eterosessuale che pervade la società austriaca.
Da Londra Mary Evans legge sui mass media l’oramai pluriennale requiem per il femminismo e replica raccontando il divenire degli studi delle donne all’università e dei loro effetti sociali, tra luci e ombre nel conseguimento dell’uguaglianza tra i generi.
In chiusura, Maria Milagros Rivera, ci racconta da Barcellona di una Spagna che sta uscendo dal “ritardo” europeo, dopo i decenni della dittatura, ma secondo un doppio passo: da una parte il dibattito pubblico che continua a orientarsi secondo l’uguaglianza, in particolare nella rappresentanza politica, dall’altra, e soprattutto, il lavorio paziente e implacabile della libertà femminile che sgretola i muri nelle teste e nei corpi di donne che sono oramai dappertutto.
DWF, nel leggere questi pensieri, continua il suo viaggio, che la restituisce anche a se stessa, alla città in cui le donne della redazione vivono giorno per giorno. Abbiamo così continuato una discussione, ancora aperta e accesa, su quel che accade nelle nostre vicinanze, a Roma. Nella sezione Selecta, riportiamo il resoconto di un incontro tenutosi a Roma il 21 giugno su iniziativa di alcune donne che si sono interrogate sugli esiti delle ultime elezioni politiche. Iniziativa che con il suo programma “Dire no ai giorni del presente” si pone su un piano tutto diverso dall’ispirazione affermativa che ci aveva mosso nel numero precedente. Il resoconto è scritto da Angela Lamboglia, una giovane donna che – insieme a Clelia Catalucci e Rachele Muzio della redazione e ad altre – sta affrontando un percorso di discussione con DWF.
Che cosa vuole una donna, è una storia che comincia a raccontarsi anche attraverso nuove prese di parola.