FEMMINISMI D’EUROPA, DWF (78) 2008, 2

Editoriale

Nel numero precedente DWF è tornata a una delle sue passioni fondamentali, quella di cercare le parole per dire che ne è della politica per parte di donne. “Che cosa vuole una donna”, la famosa domanda della psicoanalisi, si è trasformata nell’inizio di un discorso affermativo, per parte di ogni singola della redazione, sulla propria posizione, sui propri desideri, aspettative, e anche inquietudini, rispetto a questi tempi burrascosi, disorientanti ma, forse, anche promettenti. L’intimo è globale, però, e lo abbiamo constatato per parte nostra, come quando, nel corso delle discussioni, è andato da sé che la nostra ricerca di parole rimandasse a quella di altre in altre parti del mondo.

È così che presentiamo questa prima tappa di un partire da sé geografico e politico, Femminismi d’Europa, cui farà seguito il numero successivo con interventi di donne che abitano in paesi extra-europei. Così, per indagare l’opacità del presente, per allargare il respiro corto che la situazione italiana presenta oggi, l’avvio della domanda è stato: ma a che punto siamo in Europa? Quali sono le urgenze del dibattito pubblico e come ci stanno alcune donne, a Londra, a Barcellona, a Vienna, a Parigi, a Hannover?

Come per l’Italia – dove i temi del dibattito pubblico italiano sono l’annosa questione della rappresentanza e delle quote, l’applicazione della legge 194, di fatto disattesa nelle sue prerogative fondamentali, la violenza sessuale e la violenza sulle donne in famiglia più che altrove – è bene ricordare che i temi che oramai appartengono anche alla grande macchina mediatica, spesso non coincidono con il desiderio delle donne e con quanto metteremmo tra le nostre priorità.

A ciascuna delle nostre interlocutrici – scelte per relazioni di amicizia, di apprezzamento del loro lavoro politico e di pensiero – abbiamo chiesto, non di farci una panoramica oggettiva, se non esaustiva, ma piuttosto, com’è nello stile di DWF, di raccontarci delle poste in gioco nel loro paese, di questi tempi, a partire da ciò che avvertono come questioni sensibili, restituendo a questa espressione la letteralità che ha saputo darle il femminismo, uno sguardo di intelligenza incarnata nel corpo di una donna, una presa singolare sulla realtà, indipendentemente dai dati della Unione Europea, dati interessanti ma di fatto poco parlanti dello spostamento avvenuto o che sta avvenendo. I testi hanno la ricchezza e l’articolazione di un sistema nervoso.

C’è chi, come Françoise Collin, segue da Parigi la vena del divenire della politica altra, creata dal femminismo, nella sua amichevole inimicizia con il movimento del maggio Sessantotto. Un percorso che individua una politica vivente, schiettamente anti-istituzionale fino agli anni Ottanta in cui con la presidenza di François Mitterand si è data una svolta nella presenza femminile all’interno degli organi della politica di governo. Le zone sensibili oggi si trovano, per la pensatrice, all’intersezione tra le politiche di stato e l’agire delle donne, su temi come la migrazione e la sessualità, in una temperie che convoca a un’accresciuta responsabilità femminile.

Da Hannover Barbara Duden, sensibile alle politiche del corpo che il femminismo degli anni Settanta aveva saputo creare, rintraccia le linee della riorganizzazione delle politiche di stato e dell’“economia della cura”. Nella sua analisi, che mette al centro il nuovo assetto neoliberista delle società nord occidentali, Duden critica in particolare gli effetti “derealizzanti” prodotti dalla dominanza del neoindifferenzialismo, che ancora una volta relega all’invisibilità le donne in carne ed ossa e i carichi gravosi cui sono sottoposte in questa fase di riorganizzazione sociale, economica e tecnologica.

Con sensibilità analoga scrivono Ursula Wagner e Marlen Bidwell-Steiner, che da Vienna raccontano dell’evolversi delle politiche per la famiglia, dedicando però un commento finale a un’imprevista dominanza, nelle università, dei Gender Studies rispetto ai Gay Studies, perché più consoni all’egemonia del modello eterosessuale che pervade la società austriaca.

Da Londra Mary Evans legge sui mass media l’oramai pluriennale requiem per il femminismo e replica raccontando il divenire degli studi delle donne all’università e dei loro effetti sociali, tra luci e ombre nel conseguimento dell’uguaglianza tra i generi.

In chiusura, Maria Milagros Rivera, ci racconta da Barcellona di una Spagna che sta uscendo dal “ritardo” europeo, dopo i decenni della dittatura, ma secondo un doppio passo: da una parte il dibattito pubblico che continua a orientarsi secondo l’uguaglianza, in particolare nella rappresentanza politica, dall’altra, e soprattutto, il lavorio paziente e implacabile della libertà femminile che sgretola i muri nelle teste e nei corpi di donne che sono oramai dappertutto.

DWF, nel leggere questi pensieri, continua il suo viaggio, che la restituisce anche a se stessa, alla città in cui le donne della redazione vivono giorno per giorno. Abbiamo così continuato una discussione, ancora aperta e accesa, su quel che accade nelle nostre vicinanze, a Roma. Nella sezione Selecta, riportiamo il resoconto di un incontro tenutosi a Roma il 21 giugno su iniziativa di alcune donne che si sono interrogate sugli esiti delle ultime elezioni politiche. Iniziativa che con il suo programma “Dire no ai giorni del presente” si pone su un piano tutto diverso dall’ispirazione affermativa che ci aveva mosso nel numero precedente. Il resoconto è scritto da Angela Lamboglia, una giovane donna che – insieme a Clelia Catalucci e Rachele Muzio della redazione e ad altre – sta affrontando un percorso di discussione con DWF.

Che cosa vuole una donna, è una storia che comincia a raccontarsi anche attraverso nuove prese di parola.

Indice

MATERIA

DALL'INSURREZIONE ALL'ISTITUZIONE. 1968-2008
Riflettendo allo stato in cui si trovano, in questo momento, la Francia e il movimento delle donne, non si può fare a meno di ricordare che nel mese di maggio del 2008 cade il quarantesimo anniversario della sollevazione del “maggio 68”. Questa sollevazione, che aveva conosciuto una prima fase il 22 marzo, data della rivolta degli studenti dell’università di Nanterre, faceva eco, in altri termini e in un diverso contesto, al movimento hippy degli anni Sessanta negli Stati Uniti. Il leit-motiv di queste rotture era il “cambiare la vita”, here and now, qui e ora, senza aspettare il cambiamento delle istituzioni e malgrado queste. Il potenziale rivoluzionario non era l’applicazione di una teoria – come era stato il comunismo – ma un movimento. E questo, anche se “modelli” rivoluzionari idealizzati, dalla Cina di Mao alla Cuba di Fidel Castro, rimanevano presenti all’orizzonte. Dopo qualche tempo le donne, avendo constatato che questa rivoluzione, come le altre, le marginalizzava o strumentalizzava, fecero secessione e si raggrupparono, in ordine sparso e per affinità, per affermare la loro forza propria e per elaborare le loro rivendicazioni. Anche il loro movimento era un movimento anti-istituzionale o perlomeno paraistituzionale. La politica non si trovava più nelle istanze rappresentative, ma nella vita stessa. Non era più nella rappresentazione ma nella presenza.
DUE SPARTIACQUE, TRE EPOCHE STORICHE
Nell’estate del 2008 non è possibile avviare una riflessione sulla “politica per le donne” senza fare un salto all’indietro nel tempo, al momento in cui iniziò quello che in seguito fu chiamato “il secondo movimento delle donne”. Devo calarmi, anche se un po’ a fatica, nella gioia di vivere e nel sapore di “allora”, di quel periodo che ha messo le ali e preparato alla vita me, le mie amiche e molte attiviste di quella generazione. Innanzitutto mi pervade l’atmosfera di quegli anni, la straordinaria sensazione data dalla scoperta di essere vicina ad altre donne. Lo slancio di quegli anni, l’entusiasmo del risveglio, di un inizio, il piacere delle continue scoperte e la gioia per le amicizie nate in quegli anni e che ancora resistono. Ma quando ripenso a quegli anni ho anche la sensazione di viaggiare in un mondo sconosciuto. Quando ci caliamo nei primi anni Settanta, infatti, varchiamo la soglia di un’epoca. Il mondo di oggi, inserito nel sistema globale del nuovo millennio, e il mondo di allora, infatti, non sono paragonabili. C’è un abisso tra me e la giornalista trentenne di allora che, insieme ad altre donne, fondò Courage, una rivista ispirata al movimento femminista che aveva come obiettivo una maggiore “autodeterminazione” e “autonomia” delle lettrici. Se percepisco un simile abisso non è solo per il passare degli anni, ma anche perché facendo lezione a studentesse molto più giovani ho compreso alcune cose. Oggi è molto più difficile, infatti, parlare in modo appropriato e preciso, da un punto di vista analitico, di sé “come donna” e della situazione delle “donne”. Oggi, per giungere a un orientamento nella “politica per le donne” dobbiamo muoverci fra tre epoche storiche in cui tale politica assunse caratteri molto differenti.
QUESTIONI FEMMINISTE IN AUSTRIA
Di fronte alla diversità delle organizzazioni e dei gruppi attivisti femministi e di donne – per esempio quello delle donne migranti, delle persone transgender, eccetera – e ai loro diversi scopi e interessi, è piuttosto ambizioso tratteggiare “la” questione in gioco in Austria. In questo articolo, quindi, delineiamo solo un numero selezionato di argomenti e problemi che hanno portato a notevoli dibattiti e provvedimenti in campo politico e che sono stati presenti di recente nei media austriaci. Si tratta di temi ben noti, come la compatibilità tra carriera e famiglia, il divario impressionante tra i guadagni di uomini e donne, e un’ennesima discussione sulle quote rosa. Inoltre, la questione della violenza contro le donne ha richiamato l’attenzione per le modifiche della legge negli ultimi due anni.
IL FEMMINISMO IN GRANBRETAGNA. Luci e ombre
Mentre scrivo, in Gran Bretagna è al governo da oltre dieci anni il partito Laburista, prima con Tony Blair e più di recente con Gordon Brown. Cosa questo abbia a che vedere con il femminismo nel Regno Unito può a prima vista non apparire chiaro, ma quel che voglio suggerire è che i dieci anni di governo di centro/leggermente sinistra hanno in qualche modo visto la scomparsa della politica, e con quella – si è detto – anche della politica femminista. In parte, così prosegue l’argomentazione, il femminismo è “scomparso” perché molte delle richieste avanzate dalle femministe negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta sono state incorporate, con diversi gradi di successo, nelle politiche governative. In effetti, alcuni sostenitori del governo Blair arriverebbero a dichiarare che più è stato “fatto” per le donne dal governo negli ultimi dieci anni che in qualunque altro momento nei due secoli scorsi. È certamente vero che una femminista “accademica” della mia generazione (studente universitaria alla fine degli anni Sessanta, e all’inizio della carriera nei primi anni Settanta) oggi ritrova assai poco dell’aperto sessismo istituzionale che ben ricordo caratterizzava il periodo in cui si cominciò a insegnare women’s studies e a studiare la questione del “genere”.
LA LIBERTA' FEMMINILE NEL FEMMINISMO SPAGNOLO
Il tratto che più mi colpisce del femminismo spagnolo degli ultimi dieci anni, è il talento di alcune donne nel favorire lo sgretolarsi quasi silenzioso di barriere del simbolico che prima ostacolavano il passo al dirsi della libertà femminile. Una libertà che, anch’essa in silenzio, era andata crescendo e consolidandosi con gioia nella vita personale di molte donne, ma non trovava i passaggi per modificare il linguaggio del pubblico vigente nella mia comunità di parlanti, comunità che comprende varie lingue materne. Queste barriere sono svanite in molte delle istituzioni che dagli anni settanta noi donne abbiamo scelto per studiare e per lavorare. Sono svanite anche nel femminismo, nella politica sessuale e in quella realtà vasta e di grande consistenza che è il posto di lavoro, sia questo un negozio, un ufficio, una casa, un ospedale o un’impresa. Non sono svanite, o lo sono poco, nei partiti politici e nei mass media, anche se qualche modificazione c’è stata. Le istituzioni e gli altri rapporti in cui è accaduta questa rivoluzione simbolica, continuano a vivere; gli altri posti, invece, si trascinano in un invecchiamento inarrestabile, cieco alla luce dell’esperienza innamorata del presente.

POLIEDRA

SCRITTI DI NARRATIVA IN SARDEGNA TRA OTTO E NOVECENTO
Risale al 1977 uno dei primi momenti fondativi di interrogazione su “Donne e letteratura”: è di quell’anno un numero dedicato da DWF a questo tema, con interventi di Nadia Fusini e Anna Nozzoli tra le altre. L’editoriale si apre con queste parole: “Questo numero nasce dall’esigenza di cominciare ad affrontare il rapporto che le donne hanno avuto ed hanno con quello che nel corso della storia è stato il campo più aperto al loro intervento: quello della letteratura”. Si trattava di uno di quei primi movimenti che aprono un’epoca, e così è stato, in quanto negli anni successivi, trenta e più anni, molto si è riflettuto intorno alla presenza/assenza delle donne dalla storia e dalla letteratura, per poi arrivare a notare che presenza c’è stata e molta, e a volgere lo sguardo a come invece le scritture delle donne abbiano modificato il canone letterario – ma non solo quello – interloquendo con esso e innovandolo profondamente, come i nomi e le opere di Elsa Morante e Anna Maria Ortese, ma anche di Anna Banti, Paola Masino, Alba de Céspedes, e a molte altre ancora dimostrano. Per arrivare ai numeri di DWF dedicati a “Aggiunta e mutamento” tra il 2005 e il 2006, tesi a evidenziare come l’aggiunta e il mutamento siano nesso indissolubile di una pratica politica efficace, che guarda all’arte come luogo di particolare significazione simbolica e comunicativa, per trarre da essa motivo di ulteriore interrogazione politica. È quindi in questi termini la proposta di questa rassegna delle scrittrici di narrativa in Sardegna, nei termini iniziali dell’aggiunta, per poi poter passare al necessario mutamento. (Laura Fortini)...
MARIA ZAMBRANO. La donna e la Storia
È stata la stessa Federica Dragoni a proporre un lavoro su María Zambrano, una scelta che già diceva della finezza e attenzione con cui stava affrontando il suo percorso di studi. Qualità che ha continuato ad esercitare nelle ricerche, ha trovato la folla di testi disponibili dell’autrice e sull’autrice e ancora chiedeva indicazioni per meglio ripartire una bibliografia così articolata. Queste qualità le ritrovo ancora oggi, nel lavoro di scoperta e discussione che stiamo svolgendo insieme ad altre sulla forza ripensata per parte di donne. In Zambrano Federica ha trovato le parole per dire il valore politico di una certa inclinazione femminile all’attenzione, una postura che non si priva del vuoto del silenzio, conoscendone l’efficacia quando si sa fare osservazione della realtà. Ma, e anche, Zambrano che pensa la Storia, questo il tema della sua ricerca. È un tema di grande cogenza per il nostro presente, che chiama a un incontro di pensieri. Per almeno due motivi. La questione della storia per parte di donne appartiene, è il caso di dirlo, alla storia di DWF, incarnata dal lavoro che Annarita Buttafuoco pubblica sulla rivista tra il 1975, data di Il tempo ritrovato. Riflessioni sul mestiere di storica (1, 1975), e il 1993. Un lavoro, il suo, che si prolunga nel dibattito che da qualche anno insiste sulla questione se fare storia, e come, di quel periodo che, a partire dagli anni Settanta, sembra aver tracciato un solco profondissimo – nei due sensi dell’intensità ma anche dell’andamento lungo e sotterraneo – il periodo dei femminismi, del movimento e pensiero delle donne (v. Il femminismo degli anni Settanta, curato da Teresa Bertilotti e Anna Scattigno, Viella 2005) (Federica Giardini).
DIRE DI NO AI GIORNI DEL TEMPO PRESENTE. Resoconto dell’assemblea di Roma del 21 giugno 2008 convocata dal gruppo delle femministe del mercoledì
Sabato 21 giugno in tante e tanti hanno accolto l’invito delle femministe del gruppo del mercoledì a partecipare ad un’assemblea per discutere insieme di politica e di sinistra. L’assemblea nasce dalla volontà di rispondere alla frustrazione generata dalla sconfitta elettorale della sinistra attraverso un pensiero critico condiviso su ragioni e responsabilità della sconfitta, sul successo della destra e sulla possibilità di uscire dagli schemi politici finora praticati, tristemente impegnati a salvaguardare il ceto dirigente, piuttosto che quel legame con le donne e gli uomini, essenziale perché si dia rappresentanza democratica. Si è trattato di un dono, da parte di donne alla Sinistra, espresso innanzitutto mediante il manifesto di Rosetta Stella Dire no ai giorni del tempo presente. Inutile dire che un manifesto di no può generare non solo adesione, ma anche presa di distanza da parte di chi nega al no potere costituente, generativo, costruttivo. E d’altra parte la questione del no rappresenta un nodo cruciale per la sinistra, accusata dalla destra di saper opporre solo rifiuti alle proprie proposte e dagli elettori di sinistra di non saper tradurre quei no in un’azione di governo coerente quando è al potere, parole delle relatrici che hanno introdotto l’assemblea e negli interventi successivi, in un’assertività lucida e consapevole, nel desiderio che si affermino percorsi altri rispetto a quelli inefficaci battuti dagli esponenti dei partiti, nella volontà di inaugurare una nuova fase della sinistra a partire da diverse pratiche del fare politica. L’assemblea è stata introdotta da Elettra Deiana, Fulvia Bandoli e Maria Luisa Boccia. Elettra Deiana ha insistito sulla necessità di lavorare sulla parola dello spiazzamento per trarne un’assunzione di responsabilità e uno stare alla realtà volto all’elaborazione di pratiche e concetti adeguati al presente.

SELECTA

Recensioni Festinese/SOVRANITÀ, CONFINI, VULNERABILITÀ, 27 marzo 2008, Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma Tre