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È tempo di occuparsi di AI oppure sarà l’AI a occuparsi di noi. E questo potrebbe aprire scenari che non prevedono quanto abbiamo costruito in termini di libertà, pratiche, relazioni, nuove forme della soggettività, desideri, spostamenti rispetto all’esistente. In altre parole, lo stare al mondo da femministe.
L’intelligenza artificiale, declinata nelle sue diverse tecnologie, sembra aver catturato l’immaginazione collettiva e viene considerata da più parti con toni entusiastici «un fenomeno fondamentalmente nuovo senza storia», una sfida all’umanità dai connotati rivoluzionari. È a partire da questa euforia, a dir poco allarmante se si considera anche il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump a braccetto con Elon Musk, che Dwf ha ritenuto necessario fare il “punto” sul tema per metterne a fuoco le opacità, le aperture, le opportunità. Per comprendere insieme ad altre quanto l’intelligenza artificiale generativa impatti sui nostri corpi e sulle nostre esperienze.
Il titolo di questo numero parte da un dato di fatto: la prossimità, quasi intima, senza dubbio tattile, che ormai abbiamo con le tecnologie. Un rapporto di aderenza fisica, se pensiamo a quanto tempo ogni giorno le nostre mani toccano interfacce, schermi, immettono dati, scrollano contenuti. Viviamo col bot, viviamo con l’algoritmo, l’AI abita il nostro quotidiano, scatena emozioni e crea relazioni inedite, lasciando dietro di sé le sembianze inquietanti cui ci avevano abituato i film di fantascienza sul finire del secolo scorso. A confermarcelo sono alcuni articoli, e in particolare quello di Agnese Trocchi, accompagnato dalle illustrazioni di Lowwla (“vita da bot”).
Questa prossimità ha fatto sorgere in noi una serie di domande.
Abbiamo indagato il rapporto tra donne, tecnologia e intelligenza artificiale, tra rimossi e genealogie (Sciannamblo); ci siamo chieste se questo rapporto di vicinanza definisca una prossimità, una condivisione di oppressione, una fruttuosa alleanza (Ippolita) o se invece l’intelligenza artificiale sia uno strumento di ulteriore controllo, normalizzazione dei corpi e dei soggetti che contribuisce a riprodurre un sistema patriarcale (Capesciotti).
Abbiamo provato a indagarne le logiche profonde, smascherando binarismi, bias, stereotipi (Numerico) che rendono la tecnologia e gli strumenti che usiamo non neutrali, ma espressione di uno sguardo maschile ed escludente che produce sorveglianza, discriminazione, la cancellazione di donne e di nuove soggettività.
Ci siamo chieste inoltre come si rapporta questo alle pratiche e alle riflessioni femministe sulle tecnologie, a partire da quelle riproduttive, e sulla scienza. Quali spostamenti produce nelle teorie femministe e cyberfemministe, che intreccio viene a crearsi tra tecnoscienza femminista e le attuali dimensioni di sfruttamento e ottimizzazione del dominio delle questioni vitali, cosa produce per gli animali umani e non umani, tra allevamenti intensivi, genocidi, controllo dei confini (Timeto, Capesciotti).
Abbiamo rintracciato le donne che hackerano e perforano le reti di controllo, producendo spazi di libertà e pratiche condivise (Diereg), e quelle che affrontano i nodi critici del cosiddetto tecnomondo con una prospettiva femminista hacker (lula).
In Poliedra, pubblichiamo due manifesti/programma firmati da due collettivi differenti di donne, provenienti da contesti sociali e politici molto diversi tra loro, che espongono e illustrano due posizioni contrastanti, due modi differenti di guardare alla questione: i dati, e conseguentemente i sistemi informativi più complessi, intesi come neutri, deumanizzati, debbono essere rifiutati (Cifor et al.), oppure se raccolti, usati e letti correttamente in una prospettiva di genere possono divenire strumenti di autodeterminazione (Pollicy).
Anche stavolta un ulteriore contributo alla riflessione arriva dalle illustrazioni delle grafiche e delle fumettiste.
Artiste come Alice Fadda e Fran riportano al nostro sguardo la battaglia di numerosi artist3 e grafich3 contro le dinamiche estrattive che permettono all’AI di nutrirsi dei loro lavori, delle loro immaginazioni, dei loro tratti, per generare immagini su richiesta. Ma l’operazione di sostituzione dell’umana non funziona sempre: le dita di una mano in sovrannumero disegnate dalla macchina ci dicono che qualcosa non torna (il corpo?).
Chiara Francesca (@chiara.acu) riporta una domanda a cui, insieme ad altre, abbiamo cercato di fornire qualche risposta: è possibile un’AI femminista? La macchina è un’alleata o uno strumento di dominio? Una tecnologia trasformativa può liberare il meglio di noi stesse? Allo stesso tempo Alessandra Conti, che da tempo cura le grafiche dei nostri numeri, immagina il “farsi robot” come possibile strategia per far emergere le voci marginalizzate delle donne.
Ad arricchire i pensieri, i posizionamenti, i cambi di rotta ci sono poi le vignette di Pat Carra, pubblicate grazie alla generosità di inGenere e dell’autrice, che dagli anni Ottanta ci fa da bussola a ciò che accade, grazie al suo solido e sempre centrato umorismo femminista.
Molte questioni restano ancora aperte. Questo è soltanto l’inizio di un viaggio pioneristico, come è nella tradizione di DWF, che a volte sembra procedere con fatica. Si tratta di un tracciato che lungi dall’essere una sconfitta o segno di inconsistenza, rivela come procede il pensiero incarnato nelle pratiche: le risposte definitive sono sempre transitorie, la riflessione è un percorso di arricchimento, di visioni, prospettive, dubbi.
(pc, fc)