La pratica dello scambio in presenza è una forma faticosa ma che appassiona, perché mette al centro i corpi e gli umori nell’era in cui tutto scivola in digitale, anche la politica. Ne sono derivati incontri vivi e intensi, dove le differenze, di generazione, di condizioni materiali di vita e di radici culturali hanno rimesso in circolo nodi, urgenze, incomprensioni e distanze, anche in modo generativo. Incontri, dunque, difficili da tradurre in poche indicazioni di senso, in una cornice unica.
Gli scritti che seguono, tuttavia, suggeriscono più di una riflessione. Ragionando delle forme dell’agire politico femminista, emerge con chiarezza un tratto distintivo: la capacità di mostrare le connessioni, la dinamica tra i fattori e i concetti che guidano le pratiche. Pensiamo, in particolare, a “radicalità, esperienza, conflitto” precisamente in questa sequenza. Gli scritti mostrano in più parti che avviare – dentro e fuori di sé – un processo di cambiamento significa attivare una dinamica tra radicalità (rispetto ad un ordine simbolico e politico), esperienza (come spazio/tempo dell’elaborazione più che non “testimonianza” e “narrazione”) e conflitto (passo e strumento ineludibile della dinamica sociale), senza mai fermarsi, o monumentalizzare, un solo elemento dei tre. Si tratta di un moto decisamente importante per noi anche per i rapporti e le relazioni che coinvolgono; una modalità profonda, capace proprio per questo di mettere in moto il rimosso, di rischiare il non prevedibile, di mostrare che l’orizzonte da cui nascono gli spostamenti dei significati e del senso delle proprie esistenze è strutturalmente instabile. Positivamente “instabile” come la materialità del corpo.
Del resto molte delle esperienze raccontate in questo numero mettono al centro il corpo delle donne, il nostro e delle “altre”, tra rimozione, sovraesposizione e quotidianità.
“Siamo soggettività incarnate e non sappiamo, perchè non vogliamo, distanziare la nostra politica dai nostri corpi”. È possibile chiedersi in quali luoghi e a quali condizioni riusciamo ad essere, “tutte intere”, radicali. Per molte la piazza rappresenta ancora un luogo simbolico importante, ma è da indagare perché e come vogliamo starci (Castelli). O forse la piazza è diventata un luogo troppo codificato e, dunque, da reinventare con modalità e attraversamenti che scardinano le pratiche tradizionali mettendo in scena i corpi al di là degli stereotipi e delle convenzioni (Le Ribellule). Tenendo conto del rischio reale di adottare un linguaggio che gioca il conflitto sui corpi delle “altre”, parlando a nome loro, a partire da uno sguardo eterodiretto (Fiorletta).
Corpi al centro, ma al confine, permeabile, tra il dentro/fuori i luoghi istituzionali. In questa prospettiva il lavoro di riflessione su di sé, le altre, il proprio “cono d’ombra”, è molto simile sia che si ragioni negli spazi occupati e autogestiti, in una dinamica generativa che dà vita ad istituzioni “altre”, legate al territorio, al quartiere, alle pratiche, alla cittadinanza attiva delle donne (Pistoni), sia che si scelga caparbiamente di portare tutto intero il proprio corpo nei palazzi della rappresentanza (Di Martino/Costantino).
Corpi presenti che sempre più spesso pagano il prezzo di uno sfilacciamento che si dispiega tra il tempo della sconfitta, tempo di un momento storico di tutte e tutti, e i tempi concitati e inconciliabili di vite frammentate, tra lavoro, vita e politica (Forenza). Corpi che scelgono strade diverse, come quelle della prostituzione, per sfuggire alla crisi del lavoro (Ferraro), ma anche corpi lontani, che emigrano per seguire un sogno che fuori dall’Italia ha più possibilità di realizzarsi, ma a quale prezzo? (Brilli)
Se in questo numero abbiamo indagato gli spazi dell’agire politico, tra radicalità, esperienza e conflitto, il prossimo – fatto in presenza come quello che state per leggere – lo dedicheremo alle relazioni, alle diverse forme che queste assumono nella nostra politica.
(pc, fc e tdm)