Ascolta l’Editoriale e l’Introduzione del numero
Editoriale
Indisposte: ci hanno detto che dovevamo dire così. E così molte di noi hanno detto, a lungo. Un giorno siamo “diventate signorine”; abbiamo avuto “le nostre cose”; abbiamo scoperto che esistono “quei giorni” e una miriade di nomi e modi (il marchese, lo zio d’America, il barone rosso, le giubbe rosse e tanti altri uomini “in visita”) per non pronunciare una parola che appare ancora sgraziata, troppo cruda, fuori luogo. Mestruazioni. Parola tabù.
Indisposte: un modo per non nominare le mestruazioni e cancellare l’esperienza di tutti quei corpi che – regolarmente o no – sanguinano, spesso con dolore; o almeno – si suppone – dovrebbero (sanguinare e essere fertili, ma in fondo anche provare dolore).
Indisposte: un aggettivo che allude a uno stato di lieve malattia e contemporaneamente a una cattiva inclinazione nei confronti del mondo, che ci rende sicuramente “non performanti” e “non in noi”. “Com’è nervosa, avrà le sue cose”. Indisposte, indisponenti.
Indisposte ci riappropriamo e rinominiamo ora, operando un ribaltamento rispetto al tabù e alla cultura del nascondere che avvolge questa esperienza. Con Carlotta Cossutta ed Elisa Virgili, che hanno collaborato con la redazione e curato la sezione Materia di questo numero, condividiamo la convinzione che ci sia invece urgenza di narrare, di dire, di dare nuovi significati costruiti su nuovi simbolici; che sia necessario andare oltre quello stigma persistente che condiziona a diversi livelli (dal lavoro, al tempo libero, alla sessualità) la vita delle donne e delle persone con mestruazioni attraverso quella “cultura” che imponeva (e ancora impone) un senso di vergogna (o di “pudore”) e di imbarazzo per il proprio corpo che sanguina. Uno stato “anomalo” che produce in molte di noi isolamento, paure (“sarà normale?”), silenzi, e perfino, in alcuni casi, l’orrore del proprio corpo.
Questo numero vuole essere un atto di riappropriazione, di responsabilità e di amore verso i nostri corpi, verso di noi, le vite delle donne e delle persone con mestruazioni. Rendere pubblica e politica la presa di parola sulle mestruazioni significa interrogare l’esistente a partire dai percorsi soggettivi e singolari fino alla dimensione sociale e collettiva, ad una critica sulle mancate politiche pubbliche e sui servizi carenti a sostegno di una condizione peraltro riconosciuta come “naturale” persino da questo sistema.
Significa partire dalle esperienze, stare tra personale e politico, verso nuove consapevolezze, nuove complicità e nuove alleanze.
Quello del corpo è un terreno su cui si gioca l’opposizione tra la “Natura” e la “Cultura” tanto amata da patriarcato; le mestruazioni, che rappresentano una sospensione (e riconferma) della possibilità di riproduzione, sono spesso raccontate e vissute tra questi due estremi, tra naturalizzazione e medicalizzazione. Porre un veto alla narrazione delle esperienze di corpi che mestruano porta in luce un ulteriore tabù, legato al sesso e ai suoi umori – i corpi che trasudano, gocciolano, macchiano lenzuola e indumenti. E ancora, parlare di mestruazioni significa posizionarsi nel mondo, riscoprirsi attraverso la materialità dei corpi, mettere al centro la nostra relazione con altri esseri – umani e non umani – e con il pianeta, tra tossicità e sfruttamento prodotti da un capitalismo ostinato, cieco, violento.
Attraverso gli scritti pubblicati in questo numero, ci interroghiamo e mettiamo in circolo alcune domande fondamentali: cosa vuol dire avere uno sguardo femminista sulle mestruazioni? Come mettere in discussione i saperi normativi che prendono (e tolgono) parola su questo vissuto? Dove operare ribaltamenti e risignificazioni che permettano uno sguardo diverso, incarnato, tra personale e collettivo, sui processi che segnano i nostri corpi? Un percorso di riflessioni su corpi, salute, politica che DWF aveva già avviato con il numero TUTTA SALUTE! Resistenze (trans)femministe e queer, (DWF 103-104, 2014), che aveva aperto a un dialogo sulla salute, sul concetto di benessere, sulla medicalizzazione e sull’autodeterminazione dei corpi nella prospettiva (trans)femminista, senza omettere le distanze che occorrono tra femminismi e movimenti e soggettività LGBTQIA+.
Vogliamo superare le parole e i discorsi che ci hanno cresciute, e che inconsapevoli abbiamo riprodotto nascondendo l’assorbente nella manica della felpa a 15 anni, parlando per giri di parole, provando vergogna per il nostro corpo, non dando voce al dolore – a volte davvero ingestibile eppure mai compreso, nemmeno da quelle stesse che ne hanno fatto esperienza a loro volta – di un ventre che si contrae, punge, sanguina, di reni che sembrano spezzarsi, di gambe che non reggono, di tempie che scoppiano. Tornare a parlare di mestruazioni è quindi un gesto politico e femminista, che richiama il bisogno di radicarsi per uscire fuori nello spazio pubblico, come il sangue mestruale che goccia a goccia scorre dai nostri corpi, tra le nostre gambe, fino a terra.