ISLAM E POLITICHE NAZIONALI. Riflessioni sulla Turchia
Siamo in presenza di una messa in questione e dei valori e della possibilità di applicazione dei concetti elaborati dal femminismo occidentale in altri contesti culturali. Si prende come esempio il caso della Turchia contemporanea. Un'analisi preliminare della condizione delle donne turche mette in evidenza il ruolo dello stato come mezzo e strumento di rottura rispetto alla tradizione.
D'altra parte, la natura dei controlli culturali sulla sessualità delle donne e sul loro ciclo di vita, nel quadro della famiglia, rappresenta il più forte fattore di continuità nell'esperienza delle donne nell'ambito dei paesi musulmani. La definizione di questi controlli culturali particolari è fondamentale per capire il contesto sociale e culturale nel quale evolvono le donne musulmane e turche. Di conseguenza, il problema dello sviluppo di una coscienza femminista nel loro contesto si pone in rapporto con questa definizione.
L'insufficienza delle teorie femministe radicali o marxiste diventa chiara nella misura in cui si sottolineano gli aspetti universali dell'oppressione delle donne e in cui si utilizzano categorie astratte per definire la soggettività di un'oppressione sessualmente e culturalmente determinata.
LAVORO, CONSUMI E AUTORITÀ NELLA COMUNITÀ FAMILIARE IN MAROCCO
Il caso preso in considerazione è quello del Marocco e più particolarmente della società rurale. L'Islam non è visto come un fattore determinante, dal punto di vista antropologico, della società considerata e in essa della posizione attribuita alla donna.
L'analisi, pur molto documentata, presenta anzitutto un interesse teorico. Si tratta prima di tutto di mettere in rilievo l'impatto sulla condizione femminile dei modelli di sviluppo, e dunque l'inserimento della questione femminile non soltanto in un quadro regionale o locale, ma anche in un quadro internazionale.
D'altra parte si tratta di esaminare, fra le altre, le relazioni esistenti e strutturali tra ciò che è considerato il ruolo tradizionale della donna (matrimonio, maternità, ecc.) e il suo eventuale ruolo economico in situazioni e contesti ben determinati, come lo è la comunità familiare.
DI FRONTE AL PROBLEMA PALESTINESE. Una questione di metodo
Il problema israelo-palestinese è visto partendo dal ruolo che le donne oggettivamente vi giocano. Alcuni fattori demografici devono essere considerati fondamentali nella definizione stessa del problema. Ma la loro definizione non segue le categorie tradizionali dell'analisi politica, è conseguente piuttosto ad un approccio che vuol essere nuovo in ragione dell'impegno femminista dell'autrice. Il risultato è una rimessa in discussione dei metodi utilizzati dall'Occidente per guardare e considerare i popoli del Terzo Mondo, in particolare quelli che stanno combattendo per la loro indipendenza nazionale.
In questa prospettiva il popolo palestinese appare come un esempio tipico dell'incongruenza tra analisi e realtà, sia che lo si consideri come espressione specifica di un'autodefinizione soggettiva in quanto popolo e movimento rivoluzionario, sia che lo si prenda come un esempio delle difficoltà oggettive derivanti dalla sua subordinazione e dall'oppressione che esso subisce a livello internazionale e regionale.
DONNE NELL'IRAN POST-RIVOLUZIONARIO
Per quel che concerne le donne, la Rivoluzione iraniana appare come un'esperienza esaltante. Anche se presentata all'esterno come una vittoria del regime, la situazione delle donne sotto i Pahlavi non era affatto soddisfacente. La Rivoluzione ha permesso alle donne di agire e di partecipare agli avvenimenti.
Partendo da questa esperienza, un certo numero di donne iraniane ha cominciato a capire che dovevano partecipare ai processi che avrebbero deciso delle leggi e delle condizioni che le riguardavano, per ottenere una reale uguaglianza e una piena dignità in quanto esseri umani. La lotta delle donne in Iran presenta numerose analogie con le altre lotte delle donne nel mondo, ma ha anche una particolarità: l'aspetto singolare della Repubblica Islamica quanto alla necessaria presa in considerazione dell'ideologia religiosa.
Essa è spesso utilizzata come pretesto per reprimere le donne ed obbligarle a ritornare, dopo la fase rivoluzionaria, al loro ruolo tradizionale. Lo dimostra l'analisi delle affermazioni delle più alte autorità iraniane dell'attuale regime.
ALGERIA. L'emancipazione legale
Il caso dell'Algeria contrasta con il resto del mondo musulmano. Dopo la Rivoluzione che, con il contributo determinante delle donne, ha stabilito l'indipendenza del paese, assistiamo, per quel che riguarda le donne, a una specie di regressione.
Esse non ottengono quel che fu loro promesso al momento della liberazione dal colonialismo. Al contrario si profila un movimento che si sforza di ricondurle al focolare domestico e ai loro compiti tradizionali, senza che siano loro riconosciuti neppure alcuni diritti elementari. L'Islam e la sua fedeltà alla tradizione sono spesso presentati come i motivi dell'impasse nella quale si trova oggi la società algerina. La difficoltà di arrivare a promulgare un Codice della Famiglia è un evidente esempio, e rivela tutta un'atmosfera nei confronti delle donne assai poco positiva.
Le donne algerine, o almeno una parte di esse, sembrano convinte di poter imporre il loro punto di vista, anche se fra loro - soprattutto nelle nuove generazioni - c'è un ritorno alla tradizione che non avviene sempre con sufficiente spirito critico.
L'ESPERIMENTO LIBICO
La condizione delle donne libiche è vista in un parallelismo tra il periodo prima di Gheddafi e durante il suo regime. I risultati in vari campi, dall'educazione al lavoro, sono interessanti. Ma rimane peculiare della società libica la segregazione sessuale, per la quale c'è una stretta divisione dei ruoli per compiti, valori, ecc.
Ciò determina un tipo particolare di società, sul quale si sovrappone il nuovo modello di sviluppo legato all'economia petrolifera. In queste condizioni l'ideologia sembra essere la via d'uscita per evitare lo iato tra vita tradizionale e moderna. Da questo punto di vista la partecipazione delle donne alla vita politica è attiva e interessante, sebbene non soddisfacente.
La Terza Teoria Universale del libro verde di Gheddafi viene messa alla prova sulla questione femminile riguardo alla democrazia, all'uguaglianza reale, e a tutto ciò che tocca l'aspirazione a mantenere la cosiddetta "inclinazione naturale delle donne", ad esempio il matrimonio e la maternità.
DALL'EGITTO. A colloquio con Siza Nabarawi
Siza Nabarawi è stata, insieme con Hoda Sha'rawi, l'animatrice del primo movimento organizzato di donne, emerso in Egitto agli inizi degli anni '20. Dopo un breve profilo della protagonista, si riporta una parte del colloquio intrattenuto con lei dalla curatrice. Siza Nabarawi ripercorre le lotte, le rivendicazioni e i conflitti dei primi anni del novecento, ma anche dei periodi successivi, e conclude con alcune note sulla sua vita personale di donna egiziana.
DALL'EGITTO. Brani dalle opere di Nawal al-Sa'dawi
Si traccia la figura di Nawal al-Sa'dawi, che si definisce socialista femminista, che ha maturato la sua presa di coscienza e il suo impegno politico, iniziato fin dagli anni '50, attraverso il lavoro di ginecologa nelle campagne. Professione che non ha mai sentito in contraddizione con la sua attività letteraria di saggista.
Dalle sue opere sono tratti alcuni passi che illuminano in soggettiva la sua vicenda di donna musulmana consapevole e in lotta contro i costumi tradizionali, a cominciare dall'infibulazione.
LE MUTILAZIONI SESSUALI IN SOMALIA. Le donne raccontano
L'autrice dà conto di una ricerca, condotta con il metodo del colloquio, su un gruppo di donne somale acculturate per dare un contributo di analisi al problema della circoncisione femminile. Si assume come emblematico il caso della Somalia, paese che (insieme con la parte islamica del Sudan) è l'unico al mondo in cui tale pratica è a tutt'oggi estesa nella sua forma più mutilante (e cioè l'infibulazione) alla quasi totalità della popolazione femminile. Dati sulla reale portata del fenomeno, tipi di intervento, testimonianze dirette.
DIBATTITO [Di noi e d'altro…]
Scambio di lettere fra diverse parti della redazione in un momento di crisi del progetto e di rottura del gruppo redazionale.
Annarita Buttafuoco e Maricla Tagliaferri denunciano la necessità di riflettere sulla formula della rivista e sul suo significato nel momento attuale del movimento femminista, sulla oscillazione fra essere rivista scientifica e rivista di movimento, sulla scarsa reattività del suo pubblico, sul mancato ricambio di forze al suo interno e nelle committenze. Il blocco della progettualità e l'inasprimento del carico organizzativo sono nel contempo la causa e l'effetto di una rottura di rapporti fra le redattrici che non consente tale riflessione ma riduce tutto a rapporti personali. Rispetto a tutto questo, le scriventi si propongono di trovare altri riferimenti per il futuro della testata.
Rosanna De Longis, Donata Lodi e Gabriella Turnaturi dichiarano di non potere né volere più far parte della redazione, viste le contraddizioni esistenti con la direzione e con la proprietà della testata.
Biancamaria Amoretti Scarcia, Tilde Capomazza, Gemma Luzzi, Maria Teresa Morreale, Dora Stiefelmeier precisano che la "proprietà della testata" è costituita da quel gruppo di donne che nel 1976 ha fondato la rivista mettendoci idee, lavoro ed energie e che dopo qualche anno ha affidato l'intero patrimonio della rivista alla nuova redazione "senza pretesa di utili, senza richiesta di controlli finanziari, senza intervento alcuno sulla linea politica della rivista".
Investita dalla crisi della redazione, che minacciava la continuità della rivista, la proprietà della testata si è preoccupata - in un incontro con le redattrici - di ribadire la sua volontà di garantire tale continuità e di avviare una serie di incontri con donne in grado di esprimere un nuovo progetto riconsiderando collettivamente la funzione politica della rivista e la struttura di produzione necessaria a garantirne l'esistenza.