LUCI D’ORIENTE, DWF (65) 2005, 1

Editoriale

In questo numero guardando lontano da Hollywood e lontano dall’Europa, ci interessa offrire alcune prime riflessioni sull’immagine del femminile e dell’essere donna nel cinema asiatico e in particolare in quello indiano e cinese.

Due problemi nel rappresentare l’essere donna e i suoi cambiamenti sembrano essere condivisi: l’inevitabile riesame dei tradizionali ruoli femminili nella società e la necessità di ritessere il complesso rapporto tra tradizione e innovazione. Le donne registe indiane, a partire da Mira Nair, rompono i ruoli tipici delle donne nel cinema popolare di Bollywood, quello della cortigiana e della moglie/madre, per suggerire un’altra figura di donna, indipendente, forte e complessa. Le donne “nuove” del cinema cinese non possono, per parte loro, richiamarsi né alla Cina pre rivoluzionaria degli imperatori, né al lungo periodo post rivoluzionario maoista.

Ci piacerebbe dire che abbiamo trovato i rapporti e le differenze tra cinema indiano e cinema cinese nel rappresentare l’essere donna; o ancora che quella filmografia dimostra quanto il femminismo, la “rivoluzione più lunga”, conservi una forza e una prospettiva mondiale.

Non è così, perché oggi è assai difficile trovare un senso compiuto a ciò che si rappresenta, il nostro orizzonte si compone di frammenti e la nostra conoscenza spesso procede per spazi infinitesimali. Gli scritti che pubblichiamo sono comunque un buon inizio di riflessione.

(pc, pm)

Indice

MATERIA

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO
Attraverso un excursus sui reciproci interessi fra cultura orientale e occidentale, l'autrice cerca di sottolineare la preziosa tendenza "femminile" nel cinema cinese e a volte anche giapponese. La relazione dialettica tra i principi orientali di yin e yang produce personaggi femminili che, in virtù del loro culto della bellezza e del fascino, sono non solo pieni di femminilità ma anche energici e indipendenti. Un'altra componente importante del cinema cinese è la rielaborazione del passato, per ripensarlo con una coscienza e una sensibilità moderne, in un particolare atteggiamento di amore e nostalgia. La reciproca attrattiva fra Est e Ovest può produrre una felice sintesi come il film italiano di Ermanno Olmi Cantando dietro i paraventi.
MELODRAMMI TRA IL FIUME GIALLO E GANGE
In "Melodrama/subjectivity/ideology: Western melodrama theories and their relevance to recent Chinese cinema" (1993), Ann Kaplan propone un interessante approccio all'analisi testuale interculturale. La Kaplan nota che il melodramma classico di Hollywood, come il melodramma teatrale nel diciannovesimo secolo, presenta caratteristiche ricorrenti che sono state riproposte dai successivi film nord americani ed europei ma anche dal cinema cinese. Dopo aver ricordato i punti principali del saggio della Kaplan, Pilozzi prova ad usarli come chiave di lettura per i film popolari di Bollywood.
DONNE ALLA RISCOSSA. Il cinema indiano e Mira Nair
Il saggio tratta del cinema indiano e in particolare della produzione filmica di Mira Nair. La prima parte è basata sull'evoluzione storica del cinema indiano dalle sue origini fino ai nostri giorni ed è incentrata sulle donne. Descrive il modo in cui il cinema indiano e la maggior parte dei film di Bollywood interpretano simbolicamente le donne. Due sono i modelli di donna imposti dallo stile di Bollywood: la cortigiana, la moderna prostituta, e la moglie-madre, un simbolo di purezza attraverso il quale l'uomo può arricchire la sua evoluzione spirituale. Il cinema indipendente indiano, invece, propone un'altra figura di donna, forte, indipendente e complessa. Molti di questi film denunciano le cattive condizioni di vita delle donne indiane. Una regista emergente è Mira Nair che nei suoi lavori descrive la battaglia delle donne intrapresa per rivendicare la propria identità. Infatti le protagoniste femminili dei suoi film, con costanza e determinazione, cercano di raggiungere la propria soggettività, consapevoli della propria bellezza e della propria forza morale.
CONSIGLI DI LETTURA
Segnaliamo alcuni testi di recentissima pubblicazione sulle cinematografie dell'India e della Cina. Dwyer, Rachel e Divia Patel (2002) Cinema India: The Visual Culture of Hindi Film. New Brunswick, N.J., Rutgers University Press Lo scopo di questo libro è "indagare la cultura visiva del cinema Hindi, la sua produzione e ricezione, e il suo significato culturale, storico ed estetico", colmando in tal modo una lacuna negli studi su Bollywood, che soprattutto negli ultimi anni hanno privilegiato un taglio politico e ideologico non sempre attento alla specificità formale dei film. Rachel Dwyer prende in esame le scenografie e i costumi. Divia Patel presenta invece un excursus storico della pubblicità dei film, concentrandosi poi su un'analisi dei manifesti del cinema Hindi. Erens, Patricia Brett (2000), "The Film Work of Ann Hui" in The Cinema of Hong Kong. History, Arts, Identity, a cura di Poshek Fu e David Desser, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 176-195. Il saggio analizza il cinema di Ann Hui, regista nata in Manciuria ma cresciuta a Hong Kong, autrice di oltre quindici film nell'arco di due decenni. Gli elementi innovativi che Erens identifica e analizza nel cinema di Hui sono il suo uso del flashback, il modo in cui utilizza la voiceover narrante, la preferenza per strutture narrative frammentarie, la ricorrenza dei temi dell'emarginazione e dell'esilio. Jain, Jasbir e Sudha Rai, a cura di (2002) Films and Feminism: Essays in Indian Cinema. New Delhi, Rawat I saggi raccolti in questo libro utilizzano metodologie diverse attingendo a varie discipline. A saggi di taglio più teorico, si alternano studi di tipo sociologico e analisi di singoli film. Complessivamente offrono un quadro articolato del cinema indiano, indagando come esso rappresenti le donne e il femminile, l'idea di amore romantico, l'imposizione e la trasgressione delle regole del patriarcato, la ricerca femminile di una libera definizione di sé. Mishra, Vijay (2002) Bollywood Cinema: Temples of Desire. New York, Routledge L'industria cinematografica di Bombay ha svolto un ruolo importante nella formazione di un'identità nazionale indiana, ma, sostiene Mishra, Bollywood ha avuto e ha anche altri obiettivi, legati alla soddisfazione individuale. Vi è sempre stato spazio nel cinema Hindi per fantasie e aspirazioni "trasgressive" in termini di classe, appartenenza religiosa, o comportamenti sessuali. Mishra analizza alcuni momenti di tale storia per illustrare la lotta tra tradizione e modernità nel cinema di Bollywood. Nayar Sheila J. (2004) "Invisible Representation. The Oral Contours of a National Popular Cinema", Film Quarterly, Vol. 57 n. 3, pp. 13-23. Il saggio argomenta che la formula del cinema popolare indiano ha preso forma sostanzialmente a partire dalle psicodinamiche dell'oralità. Per dimostrare questa tesi vengono analizzati diversi film indiani. Silbergeld, Jerome (1999) China into Film. Frames of Reference in Contemporary Chinese Cinema. London, Reaktion Books Un'introduzione tematica al cinema cinese, che presenta diverse prospettive di indagine privilegiando come oggetto i film che in qualche modo trattano questioni di attualità per la Cina contemporanea. Facendo riferimento a Fredric Jameson e Rey Chow, Silbergeld sostiene che in film della cosiddetta Quinta Generazione, come Sorgo rosso o Addio mia concubina, i personaggi femminili e le loro storie sono funzionali a una narrazione allegorica che riguarda i destini della nazione.

POLIEDRA

ANTI-GONE'. La giovane, la madre, la morte
L'autrice legge la tragedia di Sofocle e alcuni commenti contemporanei (Jacques Lacan, Patrick Guyomard, Judith Butler) tenendo in considerazione le differenze generazionali e la trasmissione. Se la tesi di Lacan a proposito del desiderio colpevole della madre è una diagnosi eccessivamente rapida, la definizione di Butler di un "insieme simbolico con allusioni tutt'altro che naturali" non è ancora convincente. Collin, concorde con i tentativi di Guyomard, rivendica la riscoperta di nuovi e contemporanei modi di asimmetria nell'essere genitori.
LEGAMI MAGISTRALI. Scaltri imitatori e rampolli artificiali
Come si evince da questo saggio (breve rielaborazione dalla sua tesi di laurea fra l'altro premiata dalla borsa di studio "Maria Grazia Zerman"), Chiara ha una grande confidenza con il greco antico, una notevole conoscenza dell'opera di Platone e un pregevole talento per decostruire i trucchi della filosofia mediante gli snodi della filologia. Platone e Donna Haraway, a prima vista, non sembrano aver molto in comune, se non il fatto, più volte sostenuto dalle cyber femministe e dalle femministe post moderne in genere, che Haraway presenta la sua figura del cyborg come una liquidazione dell'economia binaria e della metafisica platonica in generale. Chiara Turozzi smentisce questa tesi, mostrando come la posizione di Haraway sia ancora tutta interna agli schemi di Platone, dei quali, anzi, finisce per rafforzare la strategia matricida. Tale operazione critica, sia da un punto di vista filosofico che filologico, è convincente e ben articolata, ma è soprattutto condotta con una finezza che sposa la precisione e non mortifica la passione.
RILANCI. Discorsi d'amore
Tanti sono i discorsi d'amore con cui sono entrata in contatto ultimamente. C'è stato il corso dell'appassionata Monica Farnetti, "Il discorso d'amore", le parole del grande seminario di Diotima, i testi di DWF sul canto amoroso dantesco ed altro ancora. Smossi da tutto ciò tanti pensieri, sensazioni, sentimenti, emozioni ed illuminazioni. "L'amore ha sempre aiutato le donne a pensare", ha sostenuto Farnetti, e continua a farlo vista l'urgenza e l'esigenza di molte donne - pensatrici, filosofe, letterate, femministe - che risignificano e curano questa parola, dandole una valenza politica, rendendola pratica politica. La prima illuminazione mi è venuta a Diotima, quando Anna rosa Buttarelli ha parlato di "rapporti di forza e forza dei rapporti". L'amore è stato definito come energia violenta, come forza disgregatrice ma non distruttiva, una forza che fa il lavoro del negativo. L'amore quindi come ciò che smuove una politica che sappia gestire il conflitto senza renderlo guerra, senza distruggere. Amore come pratica che contempla e prevede l'altro da sé nella sua differenza ed imprevedibilità. Mi stimola ripensare l'amore - visto abitudinariamente come un sentimento positivo, bello, come un legame che riguarda un duo, un io ed un tu - e vederlo diventare proposta politica, pratica riguardante tutti gli altri tu, gli "altro" da me, come pratica faticosa e difficile, conflittuale appunto, di relazione.

SELECTA

RECENSIONI Bono/GOPALAN; Pravadelli/CHOW; Perrotta/CAPUANI