Se negli anni Settanta le femministe scandivano slogan come “l’utero è mio e lo gestisco io”, oggi si afferma una concezione della libertà femminile fondata sulla formula “del mio corpo posso fare ciò che voglio e lo utilizzo come uno strumento per raggiungere i miei obiettivi”, percepita da alcune come il risultato di un processo di emancipazione.
Negli ultimi anni, il meccanismo di scambio sesso-potere è emerso prepotentemente nello spazio della politica e nella scena pubblica italiana, in seguito agli scandali sessuali che hanno coinvolto uomini politici di ogni schieramento. Parallelamente, la moltiplicazione delle rappresentazioni lesive della dignità delle donne – nella politica e nei media – ha prodotto un cortocircuito tra la libertà di esporre il proprio corpo e la schiavitù di essere rappresentate solo come corpi offerti allo sguardo maschile.
È a partire da questo scenario che il Laboratorio di studi femministi «Annarita Simeone» Sguardi sulle Differenze ha avvertito la necessità di aprire uno spazio di analisi collettiva su come le donne vivono e si rappresentano, organizzando la tavola rotonda Voci e sguardi di donne. Modelli femminili nella politica e nei media, svoltasi all’Università di Roma La Sapienza il 21 maggio 2010.
Il Laboratorio, nato dal desiderio di portare il dibattito femminista nelle aule universitarie, ha sempre rivolto particolare attenzione ai problemi che occupano e preoccupano le donne oggi. Da qui l’esigenza di interrogarci sul proliferare di rappresentazioni sessiste che occultano i risultati del processo di emancipazione compiuto nella sfera pubblica e professionale, nella cultura e nella società italiane.
Abbiamo riflettuto, innanzitutto, sulla natura e sul significato del presunto “silenzio delle donne” (cfr. infra, Bonfiglioli) rispetto a un fenomeno che le coinvolge direttamente e che non può essere risolto come un fatto privato, né essere ricondotto a un generico imbarbarimento morale, né tanto meno essere ascritto esclusivamente all’era berlusconiana.
Siamo partite dal dato di fatto che oggi molte si percepiscono libere e padrone di sé, come se la società italiana avesse definitivamente superato il problema della “subordinazione femminile”. Dunque l’utilizzo-mercificazione del proprio corpo non si presenta più ai loro occhi come un simbolo di oppressione/sottomissione, ma come una “libera scelta”: la possibilità di servirsi autonomamente di uno strumento per varcare le soglie della scena pubblica. È su questa duplicità di lettura che si è soffermata la nostra attenzione: ci siamo domandate che cosa significhi, per le donne, avere la piena disponibilità di sé.
In particolare, in relazione al dilagare di figure caricaturali nel mondo dello spettacolo – le protagoniste dei reality, le veline e le escort – è emersa la necessità di non fermarci soltanto a giudicare e rifiutare questi modelli, a priori, ma di indagare se l’esposizione esasperata di tali corpi non rappresenti un desiderio, una fantasia o un’aspirazione che abita la dimensione più profonda della psiche femminile. Ci siamo chieste dunque se queste figure siano in grado di parlarci in qualche modo del rapporto che intratteniamo con il maschile, con la sessualità, o di dirci qualcosa sulla nostra idea di autonomia e di emancipazione.
A partire da questi spunti di riflessione, abbiamo formulato una serie di interrogativi, invitando alcune relatrici a rispondere a partire dalla propria esperienza e dal proprio punto di vista. Hanno partecipato alla tavola rotonda donne differenti tra loro per età, per esperienze di vita e professionali, che spaziano dal giornalismo televisivo e scientifico alla produzione artistico-cinematografica, dalle studentesse alle docenti universitarie, fino alle esperte nel campo delle politiche sociali e della creazione di servizi culturali. Un dialogo che ha fatto emergere letture discordanti – molto spesso proprio in relazione alla differenza generazionale – dell’immagine “pubblica” del femminile nella società contemporanea.
La discussione si è articolata in due diversi momenti della giornata, raccordati tra loro dalla proiezione del documentario Di questa donna e delle altre, realizzato per l’occasione da Sara De Simone, una delle giovani partecipanti del nostro Laboratorio (cfr. infra, De Simone).
Le relatrici che hanno partecipato al primo dibattito, intitolato Libertà e silenzi, si sono interrogate sui modelli di libertà femminile proposti sulla scena pubblica attuale che hanno accompagnato l’esplosione mediatica del meccanismo di scambio sesso-potere. Sono intervenute: Maria Grazia Calandrone, poetessa e performer; Mariella Gramaglia, giornalista ed ex assessora del Comune di Roma; Francesca Izzo, docente di filosofia politica all’Orientale di Napoli; Eleonora Palma, giurista; Paola Piva, sindacalista specializzata in politiche del lavoro; Sara Seghizzi, mediatrice culturale.
Il secondo dibattito, dal titolo Fotografie e caricature, si è concentrato invece sull’analisi dei modelli offerti dai media e dall’industria dell’intrattenimento. Hanno contribuito a questa riflessione: Antonella Bonauro, dottoranda in Scienze cinematografiche e animatrice del blog Diversamente Occupate; Loredana Cornero, Segretaria Generale della Comunità Radiotelevisiva Italofona e Presidente del Gruppo Donne COPEAM; Simona Filippini, fotografa; Silvia Giacomini, operatrice sociale dell’associazione Ora d’aria; Isabella Mezza, conduttrice del settimanale di informazione del TG3 Punto Donna; Patrizia Rappazzo, direttrice del festival cinematografico Sguardi Altrove; Flavia Rossi, studentessa di Lettere; Annamaria Tagliavini, direttrice della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
La ricchezza dei numerosi spunti di riflessione emersi – e il variegato panorama di esperienze e pratiche d’azione delineatosi – rifletteva l’urgenza, avvertita da molte, di reagire di fronte all’attuale scenario politico e socio-culturale italiano. La giornata si è conclusa dunque con l’auspicio a proseguire la discussione avviata, per analizzare insieme il presente e confrontare le prospettive d’intervento, misurandoci su come immaginiamo e desideriamo il nostro futuro di donne e femministe.
L’invito della redazione a curare questo numero di DWF ci è sembrato quindi un’occasione preziosa per invitare alcune delle relatrici a precisare i loro interventi e per allargare la discussione ad altre voci[1]. Avere a disposizione uno spazio “diverso”, come quello di una rivista, risponde per noi ad alcuni specifici obiettivi: innanzitutto, quello di approfondire alcuni nodi politici o di svilupparne di nuovi, sempre a partire dall’esigenza di contribuire a un processo di trasformazione politica e culturale che consenta alle donne di intervenire nel discorso pubblico, affermando la propria voce e la propria auto-rappresentazione. In secondo luogo, è un’opportunità per condividere – anche al di fuori dell’università e dell’ambito prettamente accademico – la nostra riflessione su questioni come l’articolazione dei concetti di libertà femminile e di cittadinanza piena, che riguardano nel concreto l’esistenza di tutte.
Inoltre, per alcune delle più giovani tra noi, quest’occasione ha aperto un’ulteriore possibilità per avviare o approfondire una riflessione – tutt’altro che scontata – sulla condizione attuale. Per le ragazze cresciute in un mondo profondamente segnato dalle battaglie e dalle vittorie del femminismo storico, infatti, ragionare criticamente sulla propria percezione di una completa libertà e autodeterminazione non è un passaggio banale da compiere. Infine, la possibilità di curare alcuni dei contributi inclusi in questo volume ha rappresentato, per le giovani partecipanti del Laboratorio, la sfida del prendere la responsabilità della parola.
Nel tentativo di riprodurre la molteplicità di voci che aveva caratterizzato la tavola rotonda Voci e sguardi di donne, il carattere degli interventi che proponiamo spazia dalla forma dell’intervista a quella del saggio, dalla narrazione di una specifica pratica alla comunicazione non verbale delle immagini.
Anna Alfonsi e Monica Pasquino hanno incontrato Francesca Izzo ed Eleonora Palma e hanno chiesto loro di approfondire le proprie posizioni sul nesso tra diritti, autodeterminazione e rappresentanza politica delle donne. Mentre Izzo preferisce parlare di autodeterminazione (che evoca insieme libertà e responsabilità) piuttosto che di diritti – che nel discorso giuridico si riferiscono sempre a un soggetto neutro (e dunque maschile) – Palma si appella invece al lessico dei diritti, perché il concetto di autodeterminazione non ha trovato un’applicazione pratica e un riconoscimento nella giurisprudenza. Entrambe dialogano poi sulla necessità di introdurre norme antidiscriminatorie per risolvere il problema della rappresentanza femminile nelle istituzioni – superando la concezione delle cosiddette “quote rosa” – e sullo scollamento tra la libertà percepita e le condizioni reali del suo esercizio.
Laura Talarico e Maria Antonietta Passarelli hanno intervistato via email Mariella Gramaglia, chiedendole di approfondire alcune questioni emerse nel suo intervento in occasione della tavola rotonda: dalla convinzione diffusa, soprattutto tra le più giovani, di non avere dei diritti, alla preoccupazione per una più generale perdita della capacità di agire collettivamente come soggetto politico. Gramaglia risponde proponendo di tornare a valorizzare il talento delle donne, di quell’infinità di ragazze che non sono rappresentate nell’immaginario corrente e che hanno bisogno di mettere alla prova la propria intelligenza.
Proprio a partire da questa esortazione a porre la mente femminile al centro della nostra riflessione, Fabrizia Giuliani ragiona sui rischi impliciti nella riproposizione di una distinzione oppositiva tra mente e corpo: la forza della riflessione femminista, infatti, sta proprio nella capacità di resistere alla “tentazione di Ipazia”, di opporsi al ricatto implicito della scissione sostenendo l’inseparabilità di corpo e mente nell’affermazione della differenza femminile e nel “venire alla libertà” delle donne.
Annamaria Tagliavini e Flavia Rossi rispondono per iscritto – da posizioni radicalmente opposte – alle domande poste da Sara de Simone e Francesca Rinaldi sulla rappresentazione del corpo femminile nei media. Tagliavini, che appartiene alla generazione delle “femministe storiche”, sostiene infatti che il meccanismo di accesso al potere attraverso la seduzione non è il risultato di un percorso di emancipazione ma è l’ennesima forma di subordinazione. Invece Rossi – che racconta di aver partecipato a un provino televisivo e di essere stata apostrofata, durante la tavola rotonda, con la frase “Non ne avevo mai vista una dal vivo” – suggerisce di evitare semplificazioni e facili moralismi, per guardare alle ragioni economiche che stanno dietro alle scelte di coloro che lavorano in televisione, alle quali dovremmo riconoscere il ruolo di soggetti e non solo di oggetti.
Accanto alle riflessioni teoriche e politiche, abbiamo voluto mettere in luce anche una delle tante esperienze che le donne conducono quotidianamente nel sociale: un insieme ricchissimo di pratiche, portate avanti da singole o collettivi e associazioni, che spesso rimangono relegate nell’ombra, come se non esistessero, e che invece vogliamo valorizzare proprio per mettere in discussione la nozione diffusa di “silenzio delle donne”. A partire dalla propria esperienza nella sezione femminile del carcere di Rebibbia con l’associazione Ora d’Aria, che dimostra quanto l’istituzione carceraria – da sempre declinata al maschile – risulti totalmente inappropriata alle esigenze delle detenute, Silvia Giacomini restituisce le riflessioni delle carcerate sulle “donne di cristallo” – le donne rappresentate nei media – a partire dalla consapevolezza della distanza incolmabile che le separa.
Sara De Simone in Vogliamo anche le cose (concrete) racconta com’è nata l’idea di realizzare la video-inchiesta Di questa donna e delle altre, che in trenta minuti raccoglie le riflessioni di donne diverse rispetto ad un’unica domanda: “che cosa ne pensi della rappresentazione dell’immagine della donna in questo momento in Italia?”. Nel suo articolo De Simone riflette sui vari punti di vista emersi dai colloqui con le oltre venti intervistate, da lavoratrici dello spettacolo e del cinema, fino ad arrivare a performers di Burlesque e di Body Art, passando per studentesse e commercianti. Un quadro vasto e contraddittorio che offre inaspettatamente anche molti snodi e conclusioni comuni su cui sarebbe, secondo l’autrice, molto importante riflettere[2].
Simona Filippini, fotografa e foto-reporter, commenta alcune immagini che ritraggono volti e corpi femminili, spiegando perché alcune di esse – immagini stereotipate, finalizzate a compiacere uno sguardo esterno e spesso maschile – siano state ampiamente diffuse dai media, mentre altre – proprio quelle che corrispondono all’immagine che le donne vorrebbero mostrare di se stesse – non abbiano trovato spazio sui quotidiani, né sui cosiddetti giornali “femminili”.
La sezione si chiude con Riannodare i fili e progettare il futuro, le considerazioni non conclusive in cui Sara Marini e Monica Pasquino cercano di rendere la molteplicità dei punti di vista emersi non solo in occasione della tavola rotonda ma anche nelle successive discussioni tra le partecipanti al Laboratorio. Non si tratta di vere e proprie conclusioni, ma del tentativo appunto di “riannodare i fili” sul tema della libertà femminile e sul nodo della disponibilità del proprio corpo e dello scambio sesso-potere. L’intervento si chiude ponendo alcune considerazioni sull’esigenza di “fare rete”, superando i conflitti e il distacco generazionale, per “progettare un futuro” che valorizzi la diversità delle pratiche, degli orientamenti e delle esperienze femministe. (Francesca Rinaldi e Sonia Sabelli)