In questo numero di DWF si parla dell’individuazione di alcune figure di donne contemporanee significative nelle arti performative, e di altre donne capaci di far emergere la politicità del loro lavoro in termini parlanti per la nostra sensibilità. Per nostra intendendo quella di donne, ormai di diverse generazioni e sicuramente di diverse esperienze, accomunate però da una appartenenza di genere scelta e non subita, autonomamente significata nella relazione con altre, e dall’amore per la libertà femminile e per quella trasformazione di sé che chiama in causa il mondo.
Artiste di formazione diversa, provenienti da una varietà di luoghi e di culture, non necessariamente femministe (anzi, in alcuni casi – Sarah Kane, Ariane Mnouchkine – quasi infastidite dalla possibile imposizione di una connotazione sessuata al loro lavoro), donne di spettacolo in una accezione ampia del termine: drammaturghe, registe, attrici, artiste della performance, da “leggere” a nostro vantaggio, per quel di più del linguaggio artistico che sa dire oltre le intenzioni di chi dice e che – soprattutto nelle arti performative, dove il corpo è segno e significato – non può mantenere una opaca neutralità.
Alcune di queste donne sono “…Julia Varley – attrice dell’Odin Teatret; Odile Sankara e Werewere Liking– eclettiche donne di spettacolo africane; Sarah Kane e Caryl Churchill– drammaturghe inglesi di due generazioni successive; Ariane Mnouchkine – regista geniale e innovativa; Marina Abramovic´ – performer e figura di primo piano nelle arti visive.
(pb)