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Editoriale
Questo numero è uno spartiacque: s’inserisce nella storia della rivista e nelle nostre vite a segnare un ‘prima’ e un ‘dopo’. Nel tempo trascorso tra il pensarlo, realizzarlo e pubblicarlo – pochi mesi, forse un anno – è accaduto ciò che nessuna di noi poteva aspettarsi: il 4 novembre 2022 è morta Paola Masi, che a questa rivista ha dedicato quasi 40 anni della sua vita. Una vita piena, ricca, interrotta all’improvviso. Tutto si è fermato. Anche il nostro respiro.
Paola era una donna esile, veloce, a tratti sfuggente, severa e autorevole, dolce e sorridente, con una mania dell’ordine tutta particolare, innamorata del suo lavoro, della sua gatta e soprattutto delle donne, del loro pensiero, delle loro vite. Sempre curiosa, attenta, in ascolto. Con il bagaglio della rivoluzione – culturale, sessuale, politica – con la ricchezza di chi ha fatto la storia del movimento femminista ed è consapevole di appartenere a un genere politico, con l’intelligenza di chi cerca sempre di più, con lo sguardo di chi sa investire sul futuro. Una compagna capace di creare relazioni femministe, senza richiedere attaccamento, di porre sempre al centro l’attenzione alle pratiche politiche.
Una beffa o un’amara coincidenza affrontare la morte di una cara amica e compagna proprio nei giorni in cui si discuteva tra noi, e con lei, d’invecchiamento, di anzianità femministe, di pensionamento e del piacere di riprendersi il tempo più lento, dell’angoscia della vita che finisce.
La memoria politica, la ricerca di senso di Paola, la sua capacità di ricondurre i ragionamenti e le analisi a percorsi politici, saggi e esperienze anche spazialmente lontani ci hanno accompagnato fino al suo ultimo giorno, fino alla realizzazione di questo numero, a lungo discusso vivacemente, non senza resistenze e conflitti perché né lei né Patrizia ne erano particolarmente convinte. “Il femminismo ci ha reso giovani per sempre – si schernivano – non abbiamo voglia di scrivere sul tempo che passa e sulla fine che si avvicina”. Tant’è che quando Lea Melandri ha mandato un messaggio alla redazione per spiegare il suo rifiuto a scrivere, “grazie dell’invito ma è un tema su cui non riesco a portare l’attenzione. Forse sono una adolescente a vita, con le ossa un po’ dolenti, maggiori stanchezze fisiche, ma la stessa passione politica, lo stesso entusiasmo e amore per la vita […]. Mi dispiace, non ho voglia di riflettere sulla vecchiaia. Il femminismo mi ha regalato una vitalità duratura, e un po’ senza età”, entrambe erano molto soddisfatte, quasi orgogliose, di questo niet senza ripensamenti. Eppure non si sono sottratte alla richiesta di rendere politica un’esperienza che sembra relegata alla sfera del privato, di competenza familiare. Hanno, al contrario, lasciato spazio al pieno riconoscimento di una relazione intergenerazionale, e in questo caso, accolto la domanda delle più giovani della redazione di dire una parola femminista sul diventare anziane. Hanno colto l’urgenza di chiedere una narrazione alle donne che ci hanno preceduto, consapevoli della forza che proviene dalla costruzione di una genealogia
all’interno del femminismo. Insieme, Paola e Patrizia, si apprestavano a scrivere l’editoriale, quello che ora, con segno diverso, scriviamo tutte. Non è stato semplice affrontare la vecchiaia, la morte: questioni che sembrano tabù nel femminismo. È difficilissimo per noi farlo ora, senza Paola, che si è fermata sulla soglia di quella fase della vita detta anche il terzo tempo. Proviamo quindi a ripartire da qui, dal vuoto di parole che sentiamo nell’affrontare il lutto.
Come già accaduto in EMME EFFE. Maternità Femministe, DWF (127-128) 2020, la progettazione di questo numero è nata dalla percezione che se il femminismo ha investito di senso gran parte delle nostre esperienze – le relazioni, il lavoro, la sessualità – così non è avvenuto su una questione ineludibile, quella del tempo che passa e finisce. Che cosa significa invecchiare, nel quadro di una biografia femminista? Che cosa cambia, che cosa resta, che cosa si lascia? Sono queste le domande da cui siamo partite. Ci interessava guardare a un prisma di esperienze che avessero a che fare con i corpi che cambiano, le relazioni affettive, sessuali e politiche che assumono nuove modalità, la ricerca e la gerarchia dei desideri che disegnano nuove mappe e nuovi elenchi, la progettazione e/o riprogettazione delle vite che assumono tempi, luoghi e forme nuove (Piazza/Di Martino). Tutte questioni che nel femminismo sono state centrali e dirimenti.
Come raccontarsi a distanza di anni dentro al tempo che si vive? Quali responsabilità emergono quando si è praticata e perseguita l’implementazione di nuovi saperi, ordini simbolici, riletture storiche ovvero quando si è contribuito alla costruzione di un patrimonio politico, un’eredità che non può e non deve essere dispersa (Braidotti, Mazzanti, Sapegno, Tagliavini).
Quali configurazioni assume il piacere in età più adulte? Per rispondere ci siamo rivolte soprattutto alle esperienze e alle parole che partono dalla relazione collettiva. Spesso definito come un limite, l’invecchiamento diventa un luogo che, anche individualmente, ognuna impara ad abitare a suo modo, facendo emergere nuove narrazioni e politica, con possibili scelte di ‘spostamento’ e autodeterminazione, in cui riscrivere aspettative e desideri (Barbarulli; Oppo; Ravera; Kenny).
Emerge, inoltre, un’altra questione, che attiene alla mancanza di una nuova immagine sociale del diventare vecchie e/o essere anziane. Le femministe hanno rotto schemi e modelli, ampliato la pluralità delle figure femminili, non possono pertanto essere accomunate a nomi e figure (nonne, vedove, pensionate, tardo adulte) che attengono a nomenclature e lessici che non tengono in considerazione gli esiti del percorso fatto in questi anni (Gasbarrone).
Godere e imparare a godersi il tempo, lo scorrere delle giornate, la socialità oltre i tratti di solitudine e alienazione molto spesso legati alla narrazione sull’anzianità: a questo fa riferimento la storia di un’esperienza tutta virtuale che vede protagoniste videogiocatrici anziane (Nicolucci).
La relazione più consapevole con la malattia e la morte – su cui il vuoto di parole è più insistente – sia per chi le vive sul proprio corpo sia tramite la relazione (Bonu Rosenkranz) è una testimonianza che abbiamo voluto pubblicare ancor prima che Paola venisse a mancare. Anzi è questo uno dei pezzi che lei aveva letto, commentato e approvato. Infine, alla stregua di tutte le esperienze inevitabili della vita, anche l’invecchiamento può essere un tema fertile per l’(auto)ironia: abbiamo pertanto scelto di affidare al tratto sempre preciso e mai scontato di Pat Carra una sintesi e rappresentazione delle protagoniste di questo numero.
Materia si chiude con l’ultima intervista di Paola insieme a Roberta, a Tiziana Francesca Vaccaro e Teresa Sala, autrici del documentario La Cura. Un ricordo per chi ci legge, un dono per tutte noi: “Il documentario è pronto. Vorremmo presentarlo insieme, e dedicare a Paola la prima proiezione”, è il messaggio arrivato nei giorni scorsi alla redazione. L’incontro nasceva da un interesse molto forte di Paola sulla cura e il rapporto con i legami familiari, anche attraverso una riflessione sulle carenze del welfare.
Poliedra è interamente dedicata a un saggio molto articolato di Jamila Mascat, che tesse una trama testuale attraverso gli scritti di Carla Lonzi, dalle poesie a Taci, anzi parla, sui nodi di «scacco» e «rivolta»: “Entrambi i termini definiscono due opzioni, che solo impropriamente potremmo definire
strategiche, se non precisando che si tratta di strategie di esistenza, e che si prestano più opportunamente ad essere intese come linee di condotta: le due linee di una stessa condotta”.
Il titolo del numero richiama, in maniera paradossale, la canzone Non ho l’età, in cui una giovanissima Gigliola Cinquetti raccontava dell’impossibilità e impreparazione ad affrontare un amore con una persona più grande.
Impreparate ci siamo sentite anche noi, così come è emerso dai pezzi pubblicati e dagli incontri che hanno preceduto questo numero. Non avere l’età per invecchiare, per parlarne, per farne materia politica.
Non avere l’età anche per morire. Paola se n’è andata troppo presto. Ci vorrà tempo per farcene una ragione.
La salutiamo così come faceva sempre lei incontrandoti o al telefono: Ciao mitica!
(La Redazione)