Prosegue l’esplorazione inaugurata nello scorso numero “Questo sesso che non è il sesso”. Proseguono le narrazioni di sessualità che voltano le spalle alle aspettative, ai modelli, per radicarsi nell’esperienza e nel riscontro che viene dalla presa di parola in relazione. Pratica del partire da sé – del partire da un’altra parte – che continua a mantenere le sue promesse di liberazione.
Accade così di scoprire un corpo che rifiuta di divedersi tra manufatto e destino, corpo variabile che ci consegna, ancora, la domanda: sì, plastico, ma nelle mani di chi? L’accostamento tra la fertilità – non, la fecondità – del corpo e l’uso pervasivo della pillola, fanno apparire rinnovate docilità, nuove richieste di disponibilità assoluta, più sottili. Il campo d’esperienza che chiede di essere, ancora e di nuovo, decolonizzato e riraccontato, si rispalanca, per le donne più giovani, nell’autoeducazione, nella riscoperta che il corpo erotizza ben oltre il solo rapporto sessuale, in una socialità che dispone anche fisicamente le donne tra loro, nel desiderio di esplorare le fantasie che emergono al di là dell’eterosessualità.
Se queste scoperte possono portare, da una parte, a un’eterosessualità imprevista, dall’altra, portano a riaprire lo spazio di una genealogia, una storia interna di conflitti, dei rapporti tra femminismo e altre sessualità. Il queer, parola di una posizione che fa dell’esplorazione il suo unico segno distintivo, si spinge ai bordi della sessualità – dalla pornografia alla prostituzione – per individuare gli smottamenti dei confini e degli spazi che abitiamo. Emerge così l’invito della stessa Beatriz Preciado a un “femminismo dissidente”.
Amore-passione, talora irruente, per i luoghi della nostra vita quotidiana è il segno nuovo che le donne portano in politica. Se ne potrebbe parlare anche solo scrivendone la geografia: Milano, Napoli, Val di Susa, L’Aquila, Siena e le tante città che l’hanno preparata. Si stringe sempre più il filo tra un nuovo racconto dei desideri e un nuovo modo di fare politica, emerso nel numero precedente. Le amministrative ci parlano di una presenza femminile leggera e pervasiva, sottile nelle Analisi ed efficace nell’agire collettivamente e raccontano – accompagnate come sono state dall’opera di civiltà delle donne che si battono per la sorte di elementi necessari al vivere comune: dall’acqua all’istruzione, dall’energia alla vita di città e di valli, senza dimenticare il grande tema del lavoro – di una politica che ha la consistenza dei corpi che la abitano e del desiderio di averne cura.
Non da ultimo, prosegue il percorso inaugurato da DWF l’anno scorso con “Diversamente occupate”: in vista dell’autunno donne di diverse generazioni tornano a confrontarsi sull’esperienza del lavoro, individuano alcuni “segnavia” nella grande ricchezza di pensiero prodotta in questi anni e invitano a costruire insieme una teoria femminista del lavoro. (fg)