SEGNI ECCENTRICI, DWF (83-84) 2009, 3-4

Editoriale

Nel percorso intrapreso quest’anno, che in “Invenzioni quotidiane” ci ha visto mettere al centro della riflessione “la materialità delle nostre vite, il difficile equilibrio con cui teniamo in bilico tutti i pesi […] tramite uno scarto possibile di invenzione” (Stella), e in “I giorni dell’ira. Donne e figure della violenza” ha “preso come punto di partenza – a contropiede con la manipolazione a uso securitario della figura della donna-oggetto di violenza – il rapporto attivo tra donne e violenza” (Giardini e Schiavon), seguitiamo in questo numero a indagare l’agire delle donne in una realtà soggetta a codificazioni così infeltrite da stare strette.

Lasciamo che siano i loro segni eccentrici a parlare di questo, segni che scardinano il senso comune, i generi, il tempo, creano nuove pratiche, aprono possibilità di trasformazione del reale, riescono a dare vita a nuovi spazi pubblici, compiendo nuovi “reati di aggiunta e mutamento” – nel senso di “aggiunta […] di mondo al mondo, aggiunta che lo modifica, ne altera potentemente il profilo e le leggi, e si esprime come profonda capacità trasformativa” (Farnetti in DWF, nn. 2-3, 2005). Una capacità trasformativa che passa attraverso le opere di Marisa Merz e Rachel Whiteread – entrambe artiste che interrogano e sfidano i canoni riconosciuti di fruizione dell’opera d’arte, che “adattano l’arte alla vita e non viceversa”. Per entrambe, “persa la lettura testuale, gli oggetti ne acquistano una metaforica che ri-costruisce una realtà altra, una identità diversa, un senso differente”, come scrive Maria Vinella illustrando il loro lavoro, certamente diverso nelle forme che assume e nei materiali che utilizza, ma accomunabile per spinta innovativa e per la loro concezione della “misura estetica dello spazio […] intesa come dimensione del corpo fisico e mentale, e delle sue relazioni esistenziali”.

Riplasmare i margini della fruizione codificata e scardinare i generi è quello che fanno Lara Ge e Cloé Anturia quando spediscono in pacchi postali le parti del loro corpo di traduzione. Corpo “creato con materiali di scarto, ovatta da imbottitura, fili di cotone, impunture e gradazioni di colori, métissages, pelle, suture, cicatrici di un attraversamento costante di confini”, corpo di traduzione “perché si autotraduce da un genere all’altro senza risolversi, circola al di là dei blocchi territoriali imposti tra e sui corpi, circoscritti dai confini linguistici della e nella Nazione”.

I segni eccentrici delle donne si spingono fino al campo delicato e controverso della percezione altra della realtà e del proprio corpo che il sistema sociale post basagliano tende a riportare nei rassicuranti recinti della normalità attraverso la medicalizzazione e la scienza (quanto esatta?) della psichiatria. Ma dove inizia e dove finisce la normalità? Non sarà piuttosto che ci mancano ancora le parole per nominare queste realtà altre? Lo abbiamo chiesto a Barbara Della Polla – che ha voluto come attrici con regolare contratto per il suo spettacolo Sconfinamenti le donne del Centro Salute Mentale di Trieste – e a Fabrizia Di Stefano – che ci parla del tempo in itinere della transessuale, della “trasgressora” involontaria e di “un’identità nuova che si ribella contro le identificazioni ereditate”.

Infine ci è sembrato che un museo virtuale che ha come obiettivo quello di dare voce e forza alle donne facendo leva sul tempo e sullo spazio aperti di internet fosse un esempio tangibile di quello che le donne riescono a fare agendo sulla realtà anziché essendone agite. Il museo in questione è l’IMOW – International Museum Of Women – ed è nato dall’idea di tre donne sedute al tavolo di un ristorante di San Francisco che volevano “non semplicemente un luogo che aggiungesse le donne alla Storia bensì espandere i canoni della storia per incorporare gli effetti e le implicazioni delle azioni e delle idee delle donne”.

In un numero precedente di DWF (“Spazio”, nn. 3-4, 2002) avevamo detto che “sessuare lo spazio significa esserci ma non nel modo dell’assimilazione (inclusione) a una logica preesistente […] piuttosto […] nel ridefinire e rinominare il proprio stare nel mondo, con la propria storia e il proprio corpo, e nello stesso tempo leggere in questa ottica lo stare al mondo delle altre”.
Di questo le donne continuano a dar conto.  (rm)

Indice

MATERIA

ARTE COME ESPERIENZA. ARTE COME RELAZIONE. LO SPAZIO DELL'OPERA PER MARISA MERZ E PER RACHEL WHITEREAD
The space of art – and for art – is also a space of one’s own; for Merz and Whiteread the aesthetic measure of space is to do with a physical and mental bodily dimension, with the existential relationships of that same body. Creating, searching, inventing, the places and spaces of/for their work, means interrogating and sometimes defining one’s own way to locate oneself in the world, undertaking an individual or collective autobiographical narration, in order to value a new conception of subjectivity. A space free from the domination of hierarchical thought, a fluid space open to inclusion, can reflect a woman’s sensibility.
MARCHANDISE. IL FARSI DELL’INCONSUMABILE
How can an academic conference be turned into an artistic happening, becoming an occasion for gender trouble and for new relationships which in turn trace new geo-graphies – against borders and barriers, against divisions separating bodies and ideas? This is the challenge undertaken by Lara Ge and Cloé Anturia with their body-in-translation.
PER UN TEATRO VIVENTE
Sconfinamenti (Transpassings) – a dramatic theatrical version of Fabrizia Ramondino’s Passaggio a Trieste (Passing through Trieste) – is a many voiced narration/diary/confession of women from a Mental Health Centre. Della Polla, actress, author and director, casted as interpreters of the play women whose situation and story closely resemble that of the protagonists of the book; here she retraces this experience, these women’s challenge and stubborn engagement, the bureaucratic difficulties but also the joys of common work, where “many madnesses met in a normal itinerary”.
PERCHÉ GLI UOMINI NON PIANGONO
The author looks at several passages in a trans-sexual’s experience, articulating a logical temporal itinerary: from the first spontaneous revelations, through the moment of choice, to the “final moment” which indeed cannot be final at all. Analyzing the logical impasses of a condition closely related to the feminine dimension of the Lacanian pas-tout, a male-born trans-sexual – not truly generated – crosses the metaphysical experience of a lack in being. Thus the moment of recognition is forever delayed and never reached. The bitter perplexity which ensues must be faced drawing upon what is nevertheless always there: desire, vital core of this as of any authentic experience. The author interlaces her critical analysis with autobiographical personal reflections (in italics).
THE INTERNATIONAL MUSEUM OF WOMEN. UN NUOVO SPAZIO PER LE DONNE
The International Museum of Women (IMOW), www.imow.org, is a social change Museum born with the goal of empowering women as agents of positive social change and it is redefining what it means to be a museum in the 21st century. By using technology to go beyond the traditional concept of a museum building that houses art collections, specimens and artifacts, IMOW exists without walls and has pushed through the boundaries of time, space, culture, and language to create a space online that reaches a global audience twentyfour hours a day.

POLIEDRA

CORPOGRAFIE IN SCENA
Writing is huge action/operation transforming the difference between the sexes into the inscription of genders; writing makes gender, or rather genders –because one must envisage the metamorphosis of bodies into body-graphies, of figures into other figures. A finished or a boundless process? The notion of gender implies the possibility of a boundless production of genders. But – at what point do the virtual and the possible fail in their cryptographical codification of the real? How does this doing and undoing of gender take place in literary and theatrical works? Starting from these premises, the author looks at some literary and performing texts
ORLAN: FEMINA FABRA
The controversial French artist Orlan is here defined as a femina fabra in an interesting perspective of anthropological re-signification of her work. As the supervisor of Pantalone’s dissertation on Orlan, anthropologist Michela Fusaschi says, this article retraces the different stages in the artist’s development, showing how her work comes to address and perform an ongoing manipulation of bodily materials, in search of an identity which actually denies its links with its bodily container.
OGGI È OGNI GIORNO
Reading DWF’s latest issue, on “The days of wrath. Women and figurations of violence”, the author composed this poem, in an ideal dialogue with the themes that issue addresses

SELECTA

Recensioni e schede / Masi, Buonauro, Di Martino, Giovannoni