DWF / Mostrare il cambiamento. Donne politica spettacolo I, 2005, n. 4 (68)
ottobre-dicembre
DWF / Mostrare il cambiamento. Donne politica spettacolo II, 2006, n. 1 (69) gennaio-marzo
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Mostrare il cambiamento nel web
NOTA EDITORIALE, di Paola Bono (Versione Integrale)
MATERIA
POLIEDRA
SELECTA
"In questo numero di DWF si parla dellindividuazione di alcune figure di donne contemporanee significative nelle arti performative, e di altre donne capaci di far emergere la politicità del loro lavoro in termini parlanti per la nostra sensibilità. Per nostra intendendo quella di donne, ormai di diverse generazioni e sicuramente di diverse esperienze, accomunate però da una appartenenza di genere scelta e non subita, autonomamente significata nella relazione con altre, e dallamore per la libertà femminile e per quella trasformazione di sé che chiama in causa il mondo.
Artiste di formazione diversa, provenienti da una varietà di luoghi e di culture, non necessariamente femministe (anzi, in alcuni casi Sarah Kane, Ariane Mnouchkine quasi infastidite dalla possibile imposizione di una connotazione sessuata al loro lavoro), donne di spettacolo in una accezione ampia del termine: drammaturghe, registe, attrici, artiste della performance, da leggere a nostro vantaggio, per quel di più del linguaggio artistico che sa dire oltre le intenzioni di chi dice e che soprattutto nelle arti performative, dove il corpo è segno e significato non può mantenere una opaca neutralità.
Alcune di queste donne sono "...Julia Varley attrice dellOdin Teatret; Odile Sankara e Werewere Liking eclettiche donne di spettacolo africane; Sarah Kane e Caryl Churchill drammaturghe inglesi di due generazioni successive; Ariane Mnouchkine regista geniale e innovativa; Marina Abramovic´ – performer e figura di primo piano nelle arti visive".
Sarah Kane: allinferno per cambiare il futuro
di Paola
Bono
Kane rifiutava di essere identificata come una donna-artista, insistendo che lei non era rappresentativa per nessun gruppo dato, e che la sua responsabilità era solo verso la verità, non importava quanto questo potesse essere difficile. Tuttavia, o meglio proprio per questo, il suo lavoro parla alla sensibilità femminista per l'onestà e la forza con le quali il suo linguaggio artistico riesce ad illuminare alcuni dei temi sui quali il pensiero femminista della differenza sessuale si è ripetutamente rivolto: il legame fra il privato e la politica, l'importanza delle relazioni, il significato politico dell'amore.
Odile Sankara: prima di tutto la vita
di Vita Cosentino
Odile Sankara è una coraggiosa artista di Burkina Faso; con altre donne, ha creato nel 1992 l'Associazione Talents de femmes, che lavora per coniugare il cambiamento creativo, la tradizione e un alto senso della libertà femminile. Grazie alla stretta relazione instauratasi fra l'autrice e Sankara, Cosentino è in grado di vedere il significato politico del suo teatro posizionandolo all'interno della contraddizione fra l'Occidente e la povertà dell'Africa, al fine di mettere in evidenza quello che donne come Odile, e luoghi apparentemente degradati come Burkina, possono offrire al nostro mondo globalizzato.
Ariane Mnouchkine e il Théâtre du Soleil: piccolo lessico di avvicinamento
di Giorgina Pilozzi
Ariane Mnouchkine e i suoi quarant'anni al Théâtre du Soleil, che ha fondato nel 1964 e da allora ha diretto. La passione, il sogno e l'itinerario del suo gruppo letti attraverso sette parole chiave fondamentali. Parole chiave preziose per capire la scelta del Soleil di vivere il teatro come strumento di crescita umana e civile, come lente d'ingrandimento per leggere la storia e la contemporaneità. In questo viaggio attraverso la storia e l'utopia, ricordare Hélène Cixous, che è stata la drammaturga del gruppo per vent'anni, è ovviamente inevitabile.
ANNAROSA BUTTARELLI, Una filosofa innamorata.
Maria Zambrano e i suoi insegnamenti, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pp. 203.
(Federica Giardini)
"Il cuore, alla lettera, di questo libro è lintelligenza damore,
sapienza femminile antica eppure inedita quando, come in queste pagine, si allarga
al mondo intero. Pensiero difficile, in questi tempi bui, popolati
da esseri umani, più uomini che donne, che, disorientati nel loro agire,
trovano risposte alla sofferenza e al disordine dalla parte della violenza e
non dellintelligenza fra limposizione di leggi che riproducono
e rafforzano una miseria dilagante sul terreno dei bisogni elementari, la guerra
in Iraq e il coprifuoco imposto "manu militare" nelle periferie incendiate
di Parigi...
...Se è giustizia ad essere chiamata in causa, sarà diversa da quella che si afferma attraverso il potere e i suoi dispositivi, sarà quella grande che abbraccia tutte le cose, tra le quali anche gli esseri umani, e che merita meglio il nome damore. Il testo intero è un lavoro di tessitura che fa apparire, passaggio dopo passaggio come a un telaio, che, una passata dopo laltra, fa apparire il disegno insieme ai fili che lo compongono che cosa sia questo combattimento guidato da amore e dalla sua intelligenza..."
DANIELA PADOAN, Le pazze. Un incontro con
le Madri di Piazza de Mayo, Milano, Bompiani, 2005, pp. 423.
(Laura Colombo)
"La storia delle Madri si intreccia con la storia del loro paese, lArgentina degli anni bui dei regimi militari e dei governi che formalmente si dichiaravano democratici, che Daniela Padoan tratteggia in modo preciso e circostanziato, accostando il rigore scientifico della sua ricerca storica alla viva voce delle testimonianze. Si tratta di un libro particolare, che rompe i confini della grande storia mettendoci di fronte al mondo interno di queste donne, che nella condizione diestrema necessità della dittatura e della scomparsa dei figli si intreccia e si misura con il mondo esterno...
Le loro parole ci rivelano una crescita interiore, una modificazione rivoluzionaria, resa possibile dalla radicalità della loro mossa politica: unestrema contestazione dellabuso dei militari e una tenace difesa dei valori che avevano imparato a riconoscere nella propria interiorità, dopo averli osservati nei figli...Un viaggio necessariamente destrutturante, che ci interroga sulla questione essenziale del senso che ha per noi la politica nella sua accezione più ampia, che comprende la vita di tutti e ciascuno".
SUSANNA SCARPARO, Elusive Subjects: Biography
as Gendered Metafiction, Leicester, Troubador, 2005, pp. 189.
(Paola Bono)
"...Susanna Scarparo interroga in questo libro la separazione canonica tra generi e discipline che sottende questioni centrali nel vivace dibattito in corso da qualche tempo riguardo alla biografia a lungo considerata un non-genere in termini del suo statuto letterario e non sempre ben vista nel campo degli studi storici, e ora invece area significativa di studio per entrambe le discipline, e a volte quasi oggetto di contesa...
La complessità
e il fascino di tali problemi viene accentuata dalla scelta dellautrice
di esercitare la sua analisi su quattro lavori che (più o meno) apertamente
si situano sul crinale tra ricostruzione storica e invenzione narrativa, presentandoci
la vita di donne di varia estrazione e collocazione sociale, vissute in periodi
storici assai diversi: laristocratica Isabella dEste in "Rinascimento
Privato" di Maria Bellonci, la pittrice Artemisia Gentileschi in "Artemisia"
di Anna Banti, Lucienne Crozier, giovane presa negli eventi rivoluzionari del
1848 in Francia, in "L.C." di Susan Daitch, e una donna qualsiasi
del Ventesimo secolo nel libro di Drusilla Modjeska che da lei prende il titolo,
"Poppy". Quattro autrici che scrivono la vita di quattro donne...".
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Chiara Zamboni insegna filosofia del linguaggio all'università di
Verona e partecipa con altre al lavoro della comunità filosofica femminile
Diotima, creata nella stessa università nel 1984. Tra i suoi testi:
Parole non consumate (Napoli: Liguori, 2001), più la scrittura assieme
alle altre dei libri di Diotima.
Vita Cosentino, nata a Roma nel 47, vive nei pressi di Milano. Appassionata
di politica fa parte della Libreria delle donne di Milano e della redazione
della rivista Via Dogana, opera nel Movimento di Autoriforma
della scuola che ha contribuito a far nascere. Ha curato con
altre/i Buone notizie dalla scuola (Milano: Pratiche, 1998) e Lingua
bene comune, di prossima uscita per Città Aperta.
Giorgina Pilozzi è nata a Roma nel 1977. Laureata in Dams, in Storia
del Teatro Inglese, si occupa di teatro come regista e studiosa. Segue inoltre
la direzione artistica del Laboratorio Aperto di Arti e Culture Angelo Mai di
Roma.
Françoise Collin, scrittrice, filosofa, ha pubblicato racconti e
saggi, tra i
quali Lhomme est-il devenu superflu? Hannah Arendt (Paris: Odile
Jacob, 1999), in collaborazione con E. Pisier e E. Varikas, Les femmes
de Platon à Derrida. Anthologie critique (Paris: Plon 2000) e con Irène
Kaufer Parcours féministe. Entretien (Bruxelles: Labor 2005). È
stata
fondatrice e direttrice della rivista femminista Les Cahiers du Grif.
L'articolo in versione integrale scelto per questo numero
NOTA EDITORIALE
(di Paola Bono)
Ho proposto alla redazione questo numero – e il successivo, che ne riprende il tema – alla vigilia della mia partenza per l’Australia, dove mi accingevo a trascorrere parte di un sognato anno sabbatico come Visiting Research Fellow presso la School of Languages, Cultures and Linguistics della Monash University di Melbourne. Sapevo che lì, senza impegni di sorta che non fossero studiare, fare ricerca, pensare e scrivere, avrei avuto finalmente il tempo di dedicarmi a questo progetto, da tempo confusamente ma fortemente presente al mio desiderio: l’individuazione di alcune figure di donne contemporanee significative nelle arti performative, e di altre donne capaci di far emergere la politicità del loro lavoro in termini parlanti per la nostra sensibilità. Per nostra intendendo quella di donne, ormai di diverse generazioni e sicuramente di diverse esperienze, accomunate però da una appartenenza di genere scelta e non subita, autonomamente significata nella relazione con altre, e dall’amore per la libertà femminile e per quella trasformazione di sé che chiama in causa il mondo.
La redazione mi ha dato fiducia, e nella lontananza degli antipodi ho quindi tessuto rapporti con le autrici dei pezzi raccolti in questi due numeri di DWF, avendo prima identificato le artiste di cui mi sembrava interessante interrogare la storia e la produzione – una scelta non facile, inevitabilmente soggettiva e discutibile, giacché nella ricchezza di presenze di donne nel campo delle arti performative molte altre me ne sono venute in mente… Artiste di formazione diversa, provenienti da una varietà di luoghi e di culture, non necessariamente femministe (anzi, in alcuni casi – Sarah Kane, Ariane Mnouchkine – quasi infastidite dalla possibile imposizione di una connotazione sessuata al loro lavoro), donne di spettacolo in una accezione ampia del termine: drammaturghe, registe, attrici, artiste della performance, da “leggere” a nostro vantaggio, per quel di più del linguaggio artistico che sa dire oltre le intenzioni di chi dice e che – soprattutto nelle arti performative, dove il corpo è segno e significato – non può mantenere una opaca neutralità.
Intanto avevo partecipato alle prime riunioni di discussione per il numero Aggiunta e mutamento, e avrei poi continuato a seguirne gli sviluppi scambiando messaggi di posta elettronica con le altre della redazione: hanno così viaggiato tra Roma e Melbourne gli appunti delle riunioni, le diverse stesure di “Per la pratica politica”, le ipotesi dei vari pezzi. Una relazione segnata dalla distanza (sappiamo che lo scambio in presenza non è mai pienamente sostituibile) che però lavorava dentro di me oltre la mia stessa consapevolezza, permettendomi al mio ritorno di prendere parte – quasi come se niente fosse – alle ultime fasi di completamento del numero. Per cui, leggendo i pezzi che avevo commissionato, ho avvertito con naturalezza che c’era un legame, che quel che emergeva dai ritratti, dalle interpretazioni, dalle analisi che inseguendo il mio progetto originario avevo chiesto e “contrattato” con le autrici, aveva molto a che fare con quella sfida al pensiero politico da parte dell’arte individuata in Aggiunta e mutamento, con il riconoscimento della capacità – oggi molto rara e invece così necessaria – propria della pratica artistica di “comunicare ed esprimere il bisogno di senso e di cambiamento del mondo in modo molto efficace, aprendo all’ascolto e allo scambio”.
Guardando al lavoro delle artiste di cui si parla in questi due numeri: Julia Varley – attrice dell’Odin Teatret; Odile Sankara e Werewere Liking – eclettiche donne di spettacolo africane; Sarah Kane e Caryl Churchill – drammaturghe inglesi di due generazioni successive; Ariane Mnouchkine – regista geniale e innovativa; Marina Abramovic´, performer e figura di primo piano nelle arti visive, si vede bene la loro “forza nell’indicare con precisione”, nell’esprimere il mondo in cui viviamo e nel modificarlo nominandolo, in un intreccio tra vita e arte che non significa superficiale (auto)biografismo ma radicamento nell’esperienza e sua ripresentazione in modi che ne conservano l’intensità del sentire soggettivo ma anche la allargano al mondo.
Dono prezioso nel momento attuale, segnato da una dolorosa “individualità” del rapporto con gli eventi terribili che quotidianamente ci feriscono come singoli corpi e singoli pensieri, “implosione nell’intimo di ognuno/a, nel ventre molle del privato”. Citare da “Per la pratica politica” nell’introdurre casuale; è come se la riflessione iniziata in Aggiunta e mutamento, il volgersi alla pratica artistica per coglierne la forza costruttiva contro “la miseria che schiaccia le singolarità in individualità […] rendendole incapaci di autorappresentazione e di “mondificazione”, si esemplificasse – oltre mio il progetto iniziale – nel lavoro di queste donne, che davvero ci aiuta “ad elaborare il dolore, a farne lutto, a superarlo come anche ad alzare la soglia dell’insopportabile” e a spezzare “il senso d’impotenza e di avversione per questo mondo” con un altro “stato delle cose” e con i segni della loro ricerca.