POLIEDRA
SELECTA
NOTA EDITORIALE
di Patrizia Cacioli e Federica Giardini
Leggi tutta la nota editoriale
"Abbiamo scelto di prendere parola da una angolazione peculiare, l’interlocuzione
con la domanda – “che cosa vuole una donna?” – che si
pone la rivista francese di psicoanalisi penser/rêver nell’ultimo numero
dall’autunno 2007. È stata Manuela Fraire a proporre alla redazione
questo spunto di partenza che, come tutti i punti di partenza, ha condotto
altrove e, soprattutto, altrimenti. L’interlocuzione non è naturalmente
specialistica, torna piuttosto a prendere per sé un campo del sapere che
assume la differenza tra i sessi, in un modo che giudichiamo tuttora più
articolato, per quanto discutibile, di altri, dalla scienza e la tecnologia
alla fede e il dogma (che, anzi, questa domanda sembrano saltarla a pie'
pari).
Non da ultimo, questa interlocuzione risponde alla vocazione di
DWF, un luogo di pensiero che si pone sul terreno delle sollecitazioni
dell’attualità, riservandosi però il tempo più lungo dell’elaborazione,
quella che rende le questioni inattuali, più ampie rispetto alle scadenze
del dibattito mediatico, sociale, politico. Dice l’editoriale della rivista, l’Argument, che la domanda è una falsa
domanda e che, in realtà, si tratta di chiedersi cosa vogliamo da una
donna. La psicoanalisi sa del gioco dell’immaginario, delle rifrazioni
speculari che si danno in una relazione, tanto più quando si tratta di
aspettative, di anticipazioni dei moventi e movimenti dell’altro. Ora,
cosa accade quando questa domanda se la pone una donna, da un luogo
di pensiero politico come è DWF?"...
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Al voto
di Paola Masi
"D’altra parte è vero ed è nuovo, le donne tendono ad occupare le alte funzioni
di potere […] La novità dell’osservazione risiede nel fatto che ci si attende oggi
qualche cosa dalle donne perché sono donne (dall’ “Argument”, penser/rêver,
n. 12, 2007)
Mi capita sotto mano un articolo del maggior quotidiano economico italiano
di gennaio 2006 dal titolo Non solo femministe: è sullo stesso tema
dell’editoriale di penser/rêver dell’autunno 2007, cioè i tanti esempi
nel mondo di donne in politica. La “novità” è raccontata nell’articolo
per argomentare che non c’è mai stata discriminazione nei confronti
delle donne nelle alte funzioni di potere, anzi che c’è un’attesa di cambiamento
positivo dal fatto che sono donne… L’articolo, uno dei tanti
che da qualche anno si trovano su qualunque giornale, è scritto da un
giornalista, due giorni dopo una partecipatissima manifestazione delle
donne a Milano contro gli attacchi alla legge 194, informazioni che il
giornale riporta “di sfuggita”, a commento delle solite foto di donne famose
in politica. Il femminismo, almeno come lapsus, viene nominato,
quanto basta per non ridurre l’articolo a mero esempio di revisionismo
storico.
Non ha senso ragionare di una “novità” nell’attesa che le donne producano
qualcosa di meglio della politica e della cultura dominanti senza
fare riferimento al movimento politico delle donne. Senza questo presupposto
non si capisce il fenomeno. Ovviamente ammettere la rilevanza
della “rivoluzione femminista” può essere un’operazione inutile e
scontata se non si esplicita perché è importante nel rapporto tra le donne e la politica. Per essere più precise, l’unico fatto inedito nell’attesa di
un cambiamento da parte delle donne, quando c’è, è dovuto al riconoscimento,
simbolico e materiale, che una donna fa ad un’altra donna. In
tutti gli altri casi, le donne “alla presidenza” hanno straordinariamente,
o drammaticamente, ancora sempre lo stesso significato: le si chiama
quando c’è qualcosa da salvare – il pianeta, la politica, la salute, il tessuto
sociale, la vita dopo la guerra, i partiti, la fede – purché salvino
senza perdita, purché curino dalla perdita, purché raccontino il prima o
il dopo della perdita. Le si chiama in virtù del loro sapere antico sulla
vita e la morte, come le donne oltre la guerra e oltre la legge in alcune
poesie di Wislawa Szymborska...."
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Almeno due pratiche
di Federica Giardini
"Questo passaggio d’epoca ci vede coinvolte, talora malgrado noi stesse,
su diversi piani temporali, l’emancipazione trionfante, la differenza
accolta, il futuro arcaico e il non tempo dell’indifferenza dei sessi.
Non c’è settimana, ma forse neanche giorno, che sui media non appaia
qualche articolo o servizio sulle donne – dalle imprenditrici italiane
alle mediche afghane. I leader dei partiti si fanno un vanto, perlomeno
retorico-elettorale, di includere donne di provata competenza ma anche
“immaginette” della cosiddetta società civile o, dal sindacato, arrivano
a scendere in piazza per l’otto marzo (prendendo loro la parola).
Il
tempo del futuro arcaico: annusato il vento, in una inversione da futuro-
passato, degna degli horror fantascientifici di P.K. Dick, riparano
alla fragilità postpatriarcale del loro ego cibandosi di viscere femminili.
Lontano questo scenario da quello presentato da penser/rêver, che sembra
piuttosto orientato dalla temperie francese ugualitarista e indifferenzialista.
Il discorso bucato, non saturo, presentato nella rivista francese in forma
di Glossario, dello psicoanalista Christian David, offre alcuni spunti per
articolare più finemente, in chiaroscuro, questo passaggio. Per giunta,
lo scambio tra la redazione e le tre psicoanaliste, Danielle Margueritat,
Nathalie Zaltzman e Michela Gribinski – che va sotto il titolo La louche
et le corbillon (Il mestolo e il cesto) – fa cortocircuito con il pensiero
politico della differenza e porta a nominare due pratiche di presenza
femminile efficace..."
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Identificazione di un pensiero, di un desiderio
di Manuela Fraire
"Comincerei dalla domanda che dà il titolo al numero 12 di penser/rêver
– “Cosa vuole una donna?” – e che è stata sollecitata da un fatto di
attualità, la campagna elettorale di Ségolène Royal per le presidenziali.
Mi chiedo però, più radicalmente, se per degli psicoanalisti – e per
la psicoanalisi che da sempre non si fa interpellare dalla contingenza
– la domanda che Freud formulò a proposito della sessualità femminile,
abbia oggi lo stesso significato. Penser/rêver nel suo insieme suggerisce
che la domanda di allora vada reinterpretata alla luce, aggiungo io,
di ciò che Elisabeth Roudinesco sintetizza molto efficacemente così:
“il femminile, in tutte le sue accezioni, è stato la posta principale di
un’espansione della psicoanalisi che ha l’aria di una disfatta dell’imago
paterna sullo sfondo del declino della famiglia patriarcale” (Roudinesco
2000). Al punto da aver alimentato l’ipotesi che la teoria sessuale
relativa al femminile sia stata una mossa controfobica di Freud di fronte
al crollo dell’imago paterna, che già si annunciava all’inizio del secolo
scorso. Non il padre della preistoria, non il padre simbolico cioè, bensì
il padre storico, che non si è più potuto poggiare sull’uomo che abiterà
il Novecento.
Una crisi che Jacques Lacan aveva individuato fin dai
tempi de I complessi familiari (Lacan 2005). Ho scelto di “entrare” nel dialogo-intervista, La louche et le corbillon,
che conclude la parte monografica del numero, di cui sono protagoniste
Danielle Margueritat, Nathalie Zaltzman e Michela Gribinski. Il punto
di vista maschile è rappresentato da tre uomini riuniti sotto la sigla della
redazione, p/r, mentre le psicoanaliste parlano “una ad una”, così permettendo al lettore di cogliere le differenze significative che ci sono tra
loro. L’interrogativo che si delinea nelle loro repliche individua alcune
questioni cardine che attraversano i fatti dell’attualità e rappresentano
altrettante piste, condizioni o intoppi, perché una donna ai vertici della
politica possa esprimere una strategia che sia informata del fatto che a
pensarla è una donna..."
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Scacco al re
di Annadebora Morabito e Rachele Muzio
"Ci siamo avvicinate a DWF grazie alla relazione con alcune donne che
da parecchi anni lavorano per la rivista.
Annadebora grazie a Federica Giardini cui ha rivolto la richiesta di
stage in redazione per il Master “esperti in pari opportunità. Women’s
studies e identità di genere”, e Rachele, grazie a Paola Bono, relatrice
della sua tesi di laurea al DAMS, in seguito alla proposta di occuparsi
del restyling e della gestione del sito di DWF. Queste relazioni si sono poi
evolute in un rapporto di più ampio respiro con le altre della redazione,
tanto che da qualche tempo partecipiamo alle riunioni, godendo della
linfa vitale che caratterizza questo particolare periodo della rivista.
Cosa vuole una donna è diventato: cosa vuole una donna al potere? E
cosa vuole/desidera una donna da una donna al potere?
Siamo partite dalla discussione avvenuta in redazione e abbiamo
(ri)discusso i nuclei tematici venuti fuori, ovvero di relazioni tra donne
che spesso non passano come dovrebbero, di vuoto di regole che facilita
la presa di posizione e l’ autorità femminili, di una radicalità dei
progetti politici inversamente proporzionale alla scalata al potere, di
presenza perturbante delle donne nelle posizioni chiave della politica,
di una frequente tendenza femminile ad autosminuirsi.
Ci siamo chieste quali potessero essere i potenziali limiti per una donna
che intraprende oggi la carriera politica e i conseguenti vincoli di
riconoscimento/proiezione di un’eventuale elettrice che rispetto alla
politica si pone alcune questioni.
Ci siamo interrogate dell’eventuale influenza dei media nel veicolare
l’immagine dello “stereotipo” femminile e dell’ importanza dell’etica
del sé per resistere alle “tacite regole” del potere.Abbiamo inoltre dato priorità ad alcuni elementi della rivista francese
che ci sono parsi rilevanti per mettere in luce il nostro punto di vista in
relazione alla situazione politica attuale.
Un lungo dibattito insomma a partire da quelle che ci sono sembrate
delle questioni importanti per poter “mettere in gioco” le nostre riflessioni
rispetto alle fatidiche domande.
Abbiamo voluto concludere con dei suggerimenti per la lettura, una
sorta di memorandum per noi stesse e per chi avesse interesse ad approfondire
il tema, una sitografia, consultabile on-line con i link che nel corso della discussione e della scrittura abbiamo consultato
in rete e una brevissima antologia di citazioni, “Cosa dicono le
donne di una donna al potere”, scelte per evidenziare come nella comunicazione
mediatica si preferisca spesso esaltare l’immagine piuttosto
che le idee di una donna in politica..."
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Non fidarsi è male, appartenersi è meglio
di Patrizia Cacioli e Rosetta Stella
"Sentiamo dire spesso che un auspicato maggior impegno di donne
nella politica di Palazzo, potrebbe servire a portare ordine, di qualità
differente, nel disordine immane in cui essa è precipitata a causa del
fatto che gli uomini non hanno acquisito sufficiente consapevolezza
del limite.
Più donne infilate nei meccanismi della rappresentanza risponderebbero
dunque ad un desiderio d’ordine che abita entrambi i sessi in un
momento di crisi drammatica della politica, e sarebbe una panacea di
salvezza, un intervento taumaturgico di miracolosa efficacia.
Una efficacia necessariamente miracolosa nel suo – impossibile – “rimettere
le cose a posto”, perché poi gli uomini, e non solo loro, sanno
bene che le donne non sono in grado di garantire i voti delle elettrici,
non rientrano in alcun modo nella logica della rappresentanza.
C’è però qualcosa che tuttora interroga il femminismo dal suo interno:
il rapporto tra libertà femminile e potere politico istituzionale ad ampio
spettro. Esso risulta ancora pericolosamente ottuso all’interpretazione.
Ed è per questo che ha senso chiedersi nuovamente: cosa vuole una
donna da un’altra donna? Cosa fa ostacolo a preferire una propria simile
per la guida di un Paese o di un partito?
Le donne che vanno a votare, pur riservando ampi riconoscimenti alle
politiche emancipazioniste non sembrano ritenere (o non vogliono, viene
da sperare) che, per varare politiche migliorative della qualità della
vita, sia essenziale la presenza e la competenza delle donne. Sotto sotto,
è come se sapessero di una certa inaffidabilità femminile quando si va troppo prossime ai modi strumentali degli uomini. Non si fidano. Tanto
più della politica della rappresentanza.
Riemerge forse, nel segreto dell’urna, una diffidenza ancestrale nei confronti
della madre? È probabile.
Il pensarsi come nate sotto un cavolo sembrerebbe più facile per le donne
che per gli uomini paradossalmente. E infatti gli uomini mettono la
Madre sull’altare il più delle volte, mentre le donne sempre ricominciano
da capo nella sua inesauribile riscoperta..."
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Horror film e estetica masochistica:
piacere visivo e
dinamiche dell’identificazione
di Antonietta Buonauro
"Il saggio qui pubblicato è tratto dalla tesi di Laurea Magistrale “Forme
del masochismo dal melodramma all’action film”, elaborata sotto
la mia supervisione da Antonietta Buonauro presso l’Università di
Roma Tre e discussa nel novembre 2007. La tesi affronta un argomento
particolarmente importante per gli studi di genere in campo cinematografico
poiché il masochismo e le sue dinamiche hanno costituito
una delle linee di ricerca più significative nel costruire un’ipotesi
alternativa al modello teorizzato da Laura Mulvey nel suo saggio
fondativo “Piacere visivo e cinema narrativo”. Se Mulvey vede nel
sadismo la dinamica psichica fondamentale nel definire il rapporto di
subordinazione del femminile al maschile – dinamica che nel cinema
ha gli esempi più alti nell’opera di Hitchcock – il masochismo vede
proprio un rovesciamento di tale rapporto. In effetti, il masochismo
– nella versione proposta da Gilles Deleuze in Il freddo e il crudele
– è caratterizzato da una reversibilità delle posizioni di genere, prevede
lo scambio continuo dei ruoli di potere: in ultima analisi esso
mette in scena questioni riguardanti la bisessualità.
Ma il masochismo
è anche un’estetica particolare, in quanto presuppone strutture
narrative circolari e ripetitive e attiva un regime visivo sensuale. Partendo da questi presupposti, nella sua tesi Antonella ha indagato
in modo brillante le diverse teorie psicoanalitiche sul masochismo
(Freud, Deleuze, Silverman, ecc.) per passare poi a studiare le molteplici
forme del masochismo cinematografico: in questo ambito ha
analizzato generi ampiamente studiati, come il melodramma, e generi
meno indagati come il film d’azione e l’horror. Proprio su quest’ultimo
si incentra il lavoro proposto qui, in quanto – all’interno di una
ricerca che complessivamente presenta molti elementi di originalità
– è appunto l’analisi del film horror che costituisce uno degli elementi
più innovativi della bella tesi di Antonella. (Veronica Pravadelli)..."
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Denaro o moneta?
A proposito di un’antica controversia
politica e della sua attualità
di Donatella Alesi
"La parola denaro è al centro di ogni discorso pubblico sulla politica
sia in forma diretta – i costi dell’attività dei partiti e dei loro professionisti
– sia in forma indiretta – gli interventi nella società a partire
dall’uso dell’araba fenice del “tesoretto” e della riforma del welfare
state. È una parola pesante, abusata e invasiva come tutte quelle destinate
a tagliare e ricucire le trame discorsive dell’opinione pubblica
imponendo un ordine urgente ed eterodiretto al dibattito della politica
istituzionale in Italia. Sembra dare ragione a Gertrude Stein quando
afferma ironicamente, nella sua Storia geografica dell’America,
che è “la sola cosa del governo e del governare che sia interessante”
(Stein 1980, p. 141 ). Oggi, dunque, è una parola che evoca gli scricchiolii
di un edificio – la politica mista novecentesca e le sue pratiche
– seriamente lesionato.
Tuttavia, quando ho deciso di proporla come tema del Seminario
Estivo Residenziale della Società Italiana delle Letterate del 2007,
non tanto l’eco lontana di quei rumori mi ha persuaso a suggerirne la
proposta, quanto la pervasività degli usi del denaro e della sua ricerca
spasmodica finalizzata a realizzare i progetti politici che tante donne – a me vicine o lontanissime per esperienza e cultura e pratica femminista
– intraprendono ovunque.
Sono partita, infatti, dalla constatazione che nel corso dei sette anni in
cui ho partecipato all’organizzazione del seminario estivo (con Paola
Bono, Laura Fortini, Annamaria Crispino e Giuliana Misserville, poi
anche con Monica Luongo e Bia Sarasini) il denaro è stato sempre più
chiaramente il problema con il quale ci siamo misurate per farlo diventare
quel laboratorio politico di confronto tra esperienze delle donne in
Italia che è oggi. La questione del denaro si nasconde dietro le quote
di partecipazione delle iscritte, il nostro lavoro di organizzazione, le
elaborazioni intellettuali delle relatrici di scenario, tra materiali bibliografici
selezionati e libri pubblicati, tra borse di partecipazione di università
e contributi di enti locali..."
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Recensioni e schede
di De Pascalis, Muzio, Fortini, Voci
VERONICA PRAVADELLI, La
grande Hollywood. Stili di vita e di
regia nel cinema classico americano,
Venezia: Marsilio, 2007, pp. 287
"Testo importante e per molti versi
innovativo nel panorama delle pubblicazioni
accademiche italiane sul
cinema, La grande Hollywood ci
propone un viaggio affascinante attraverso
trent’anni di cinema statunitense.
Come già indica il sottotitolo,
ad essere diversa è la prospettiva
sull’oggetto di analisi: “Grazie a un
approccio che fonde in particolare i
saperi della teoria narrativa cinematografica
e dell’analisi del film con
gli studi storici sulle dinamiche e la
rappresentazione socio-mediale delle
identità di gender, questo studio
offre un’ipotesi interpretativa che
mira a cogliere i modi tramite cui
il cinema si fa interprete e al tempo
stesso costruisce desideri sociali e
stili di vita nell’America del periodo
1930-1960” (p. 12).
L’introduzione è dedicata proprio
alla spiegazione della scelta del
metodo e dell’oggetto della ricerca..." (Ilaria De Pascalis)
JANINE e VAHARAM ALTOUNIAN,
Ricordare per dimenticare. Il genocidio
armeno nel diario di un padre
e nella memoria di una figlia, Roma:
Donzelli Editore, 2007, pp. 95
"Questo è un diario di viaggio nella
memoria del genocidio armeno perpetrato
dal governo dei Giovani Turchi
a partire dal 1915. Attraverso il
ricordo i morti (ri)trovano la dignità
di una sepoltura, i sopravvissuti il coraggio
di continuare a vivere, e i discendenti
quello di riaprire ‘un campo
simbolico’ volutamente occultato
dai famigliari per proteggerli (e proteggersi)
dall’indecenza del dolore.
Janine Altounian, studiosa di psicoanalisi,
traduttrice e figlia di due
sopravvissuti, trova il coraggio di
leggere e di dare alle stampe il diario
del padre nel 1982. Questo atto,
sentito come trasgressivo, è spronato
dall’occupazione del consolato
turco di Parigi da parte di “alcuni
armeni vivi”, un atto terroristico che
“apre un campo simbolico”, quello
del genocidio sepolto nell’oblio..." (Rachele Muzio)
ALESSIA RONCHETTI e MARIA
SERENA SAPEGNO (a cura di),
Dentro/Fuori Sopra/Sotto. Critica
femminista e canone letterario negli
studi di italianistica, Ravenna: Longo
editore, 2007, pp. 182
"Risale al 1980 Letteratura al femminile
di Biancamaria Frabotta, che
dedicando la sua riflessione al “che
cosa poteva dire parlare di ‘donne e
letteratura’? Si intendeva la letteratura
scritta dalle donne o la storia del
personaggio femminile nella letteratura?”
rifletteva allora sul rischio di
esaurimento della tematica e al tempo
stesso sul rischio di una possibile
settorializzazione nel genere “minore”
della letteratura femminile. Da
allora la questione della presenza/
assenza delle scrittrici nella storia
letteraria costituisce motivo di continuo
dibattere, tanto quanto e forse
più, se non fosse che non occupa le
pagine culturali dei quotidiani, del
dibattito sul canone letterario, sul
ruolo della letteratura italiana e della
critica, militante o non, rievocato per altro nell’intervento introduttivo
di Maria Serena Sapegno al volume
curato da lei curato insieme a Alessia
Ronchetti, che raccoglie gli atti
di un convegno tenutosi a Cambridge
nel 2005..." (Laura Fortini)
IL POTERE DELLE DONNE VISTO DAGLI UOMINI – Congresso
Internazionale: Università di Pavia,
Aula Volta, 25-26 Giugno 2007
"Promotrici di questa iniziativa
sono state le componenti
del Centro di Ricerca “Studi di
Genere”dell’Università di Pavia,
diretto da Paola Vita Finzi (Facoltà
di Scienze Matematiche Fisiche
e Naturali), per inaugurare la loro
recente attività e rendere omaggio
all’anno internazionale sulle Pari
Opportunità.
Il Centro di Ricerca Interdipartimentale
“Studi di genere” infatti è
stato costituito nel 2005 per formalizzare,
coordinare e rafforzare la
didattica e la ricerca dell’Ateneo nel
settore delle pari opportunità e di
genere. Il Gruppo di Lavoro, caratterizzato
dalla interdisciplinarietà, è
composto da Silvia Campese (Facoltà
di Lettere e Filosofia), Maria
A. Confalonieri (Facoltà di Scienze
Politiche), Mariella Magnani
(Facoltà di Giurisprudenza), Maria
Sassi (Facoltà di Economia), Maria
A. Scappaticci (Facoltà di Medicina).
Silvia Nuraghi, del Comitato
Scientifico del Centro di Ricerca, ha
ideato e organizzato il Congresso, e a breve curerà, insieme a Danielle
Buschinger (Amiens) la pubblicazione
degli atti. Il Congresso è stato
organizzato con il patrocinio del
Comune, della Provincia di Pavia,
del Ministero delle Pari Opportunità
e di Sportello Donna.
Il tema del potere delle donne è
stato affrontato raccordando competenze
in ambito storico, politico,
sociologico, letterario, scientifico e
artistico..." (scheda a cura di Federica Voci)
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Le autrici
Manuela Fraire è psicoanalista. Vive e lavora a Roma. Dal 1974 ha
fatto parte del movimento femminista all’interno del quale si è formata
attraverso la pratica dell’autocoscienza. Come femminista e come psicoanalista
si occupa da sempre del rapporto madre-figlia e della necessità
di un suo ridimensionamento che permetta lo sviluppo della libertà
femminile. Ha scritto su questo tema sulle riviste “Memoria”, “Reti”,
“Lapis”, “Sofia”. (> pagina dell'autrice)
Annadebora Morabito si è laureata
in Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi sull’analisi
testuale del film “Lezioni di piano” a partire dalla Feminist
Film Theory. Ha conseguito il Master di I livello in “Formatori esperti
in pari opportunità. Women’s studies e identità di genere” presso l’Università
Roma Tre. Frequenta attualmente il Corso di formazione professionale
“Il genere fra le righe. Stereotipi di genere nei testi e nei media”
presso l’Università Roma Tre. Dagli inizi del 2007 lavora nell’ambito
della formazione; è redattrice di pezzi per una rivista on-line. Collabora
con la redazione di DWF come stagista. (> pagina dell'autrice)
Rachele Muzio è laureata in DAMS all’Università
Roma Tre come redattrice tradizionale e informatica di cinema,
televisione e teatro. A diversi lavori di sopravvivenza ha sempre affiancato
lavori di desiderio come la collaborazione con un piccolo editore
nel corso del 2006 e la realizzazione e la gestione di diversi siti web per
progetti di ricerca ed eventi culturali. È particolarmente interessata alle
questioni dell’architettura delle informazioni, dell’accessibilità e dell’usabilità
convinta delle potenzialità di internet come strumento caldo
di comunicazione e relazione fra utenti. Dal 2004 si occupa del sito
della rivista: http://www.dwf.it. (> pagina dell'autrice)
Antonella Buonauro è nata a Napoli nel 1982. Ha conseguito nel 2004
la laurea triennale in Dams con una prova finale sul melodramma materno
nel cinema classico americano, e nel 2007 la laurea magistrale
in Studi storici, critici e teorici sul cinema, approfondendo l’indagine
teorica della Feminist Film Theory mediante una tesi sul masochismo
come piacere visivo cinematografico.
Donatella Alesi, dopo aver conseguito un dottorato di ricerca presso
l’Università di Roma La Sapienza e un post-dottorato presso l’Università
di Padova, attualmente vive e insegna nella campagna romana. Ha
lavorato sulla narrativa e la poesia del Novecento italiano (Rosselli, Bellonci,
Gadda, Fortini, Pietravalle) e sugli epistolari di Antonio Fogazzaro.
Per alcuni anni si è impegnata nella Società Italiana delle Letterate
partecipando all’organizzazione del Seminario Estivo residenziale.
(> pagina dell'autrice)
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di Patrizia Cacioli e Federica Giardini
Abbiamo scelto di prendere parola da una angolazione peculiare, l’interlocuzione
con la domanda – “che cosa vuole una donna?” – che si
pone la rivista francese di psicoanalisi penser/rêver nell’ultimo numero
dall’autunno 2007. È stata Manuela Fraire a proporre alla redazione
questo spunto di partenza che, come tutti i punti di partenza, ha condotto
altrove e, soprattutto, altrimenti. L’interlocuzione non è naturalmente
specialistica, torna piuttosto a prendere per sé un campo del sapere che
assume la differenza tra i sessi, in un modo che giudichiamo tuttora più
articolato, per quanto discutibile, di altri, dalla scienza e la tecnologia
alla fede e il dogma (che, anzi, questa domanda sembrano saltarla a pie’
pari). Non da ultimo, questa interlocuzione risponde alla vocazione di
DWF, un luogo di pensiero che si pone sul terreno delle sollecitazioni
dell’attualità, riservandosi però il tempo più lungo dell’elaborazione,
quella che rende le questioni inattuali, più ampie rispetto alle scadenze
del dibattito mediatico, sociale, politico.
Dice l’editoriale della rivista, l’Argument, che la domanda è una falsa
domanda e che, in realtà, si tratta di chiedersi cosa vogliamo da una
donna. La psicoanalisi sa del gioco dell’immaginario, delle rifrazioni
speculari che si danno in una relazione, tanto più quando si tratta di
aspettative, di anticipazioni dei moventi e movimenti dell’altro. Ora,
cosa accade quando questa domanda se la pone una donna, da un luogo
di pensiero politico come è DWF?
La risposta è semplice e lineare, come è emersa dalle discussioni di redazione:
una domanda del genere la si formula nel momento in cui la si è già rivolta a se stesse, ossia “cosa voglio io?”. È la versione essenziale
della lunga critica alla rappresentanza/rappresentazione che il femminismo
italiano ha condotto negli anni Ottanta, figlia dell’obiezione ad
essere rappresentata dalle parole di un’altra. Accanto c’è la critica alle
pretese universali del discorso che, come ci dice Irigaray, ha preteso
che la parola dell’Uno, del Medesimo, valesse per tutti e per tutte, una
critica che ritroviamo nelle parole di donne di altre culture, come quelle
di Gayatri Chakravorty Spivak.
Siamo dunque nel cuore della crisi della
politica occidentale. Al cuore del presente.
Interrogato, il presente rivela continuità e discontinuità con i suoi antecedenti.
É vero, dice ancora l’Argument, ci sono state donne come
Indira Ghandi, Margaret Thatcher, Golda Meir o Elisabetta I, ma questo
momento ha un suo tratto peculiare: nelle aspettative rivolte a Angela
Merkel, Michelle Bachelet e Segolène Royal entra in gioco il fatto che
sono donne. Questo elemento di novità è formulato in modo più stringente
da Christian David nel suo Glossario, che ritiene sia diventato
“ineludibile” tenere in conto la differenza sessuale.
É necessario precisare questo punto, per parte nostra: la discontinuità
segna un passaggio d’epoca, un passaggio simbolico. Alle figure del
passato, anche recente, la domanda “cosa vuoi tu, che sei /per il fatto
che sei/ una donna?” non poteva formularsi esplicitamente in questi
termini perché figure d’eccezione, fuori dalla cultura circolante o, fa lo
stesso, tutte interne perché tramutate in capi di stato.
Ora la domanda
si pone dentro un ordine simbolico che ha prodotto, grazie al femminismo,
una rete di significati, di azioni, di narrazioni, che rendono impossibile
ridurre a neutro una donna.
Per di più, saremmo a un passaggio d’epoca per un altro motivo, la
storia sociale, di lunga durata, che da tempo ha trovato il modo per dire
della presenza femminile, troverebbe sponda nella storia monumentale,
quella degli stati, così che la politica istituzionale sembra recuperare
il ritardo che aveva accumulato rispetto ad altri luoghi della società,
cominciando a contare donne tra gli incarichi di governo. A ciò va aggiunto
che siamo di fronte ad una crisi del sistema simbolico imperante,
molti sono i segni dalla recessione economica – che più ad un oggettivo
dato di realtà essa è dovuta ad uno scompaginamento di significati e
ruoli connessi, un esempio per tutti è il cittadino ridotto a consumatore
– al difficile dibattersi tra spinte riformiste e conservatrici della destra e della sinistra. Crisi che porta uomini e donne a pensare che occorre una
donna per portare un ordine di qualità differente. Questa forte aspettativa
di intervento taumaturgico di miracolosa efficacia è una delle eredità
scomode del femminismo: l’attesa di un cambiamento in meglio da una
donna perché è donna.
Ma non ha senso parlare di “novità” se non si esplicita, a cominciare da
quelle stesse che sono interessate al governo della cosa pubblica, che lo
scenario cambia e può cambiare soltanto se si rappresenta la relazione
delle une con le altre. Una relazione forte che si fonda su una genealogia
ormai salda e riconosciuta. Come è accaduto e come dimostra il
contributo a questo numero di due giovani, che danno corpo alla sfida
di dichiarare “scacco al re” con una parola piena. Una sfida che possono
lanciare, per loro stessa ammissione, traendo spunto dagli incontri avuti
in redazione con le donne “precedenti”.
Come sempre accade le risposte al quesito che fa anche da titolo a questo
numero sono molteplici. Una considerazione però le accomuna:
quando una donna scende in politica senza mostrare la relazione che
ha con un’altra e il legame tra il pensiero e l’esperienza, resta in una
prospettiva incerta, innanzitutto per se stessa.
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