Aggiunta e mutamento/2: linguaggi di artiste, 2006, n. 2 (70)
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NOTA EDITORIALE, di Patrizia Cacioli e Federica Giardini
MATERIA
POLIEDRA
SELECTA
NOTA EDITORIALE
di Patrizia Cacioli e Federica Giardini
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"Sono passati alcuni mesi da quando abbiamo cominciato a riflettere a voce su un’intuizione: l’arte e la sua efficacia simbolica - quella che la politica delle donne ha sempre voluto e coltivato per sé, la capacità di trasformare sé e il mondo attraverso il linguaggio – poteva essere una fonte, una sfida, per rimettere in movimento la nostra stessa politica, tanto più di questi tempi, pressate, come siamo, dalla quotidiana inefficacia di tanta parte del discorso politico tradizionale.
Parole a margine
di Marilù Eustachio
"Sono nata a Merano, ma dall’età di 2 anni ho sempre vissuto a Roma.
Ho iniziato a dipingere presto, e questo ho fatto fino ad oggi.
Ho insegnato pittura per 20 anni negli Istituti di Osservazione per Minorenni.
La convivenza più lunga che ho avuto con un essere vivente è stata
con il gatto Momo.
I campi più importanti del mio lavoro sono la pittura, il disegno, la
fotografia.
C’è un’osmosi continua tra una pratica e l’altra, anche se ciascuna di
queste attività ha delle valenze peculiari dovute ai diversi linguaggi e
alle diverse tecniche.
La mia pratica artistica non ha legami diretti con il femminismo.
Rispetto all’arte il “partire da sé” è importante quanto il partire dal reale;
a mio avviso è la fusione di queste due tendenze che aiuta il formarsi
di un linguaggio autonomo"...
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Ridisegnare il mondo
di Cloti Ricciardi
"Ho avuto sempre facilità di relazione e di espressione con le immagini:
con le forme, i segni e i colori ho trovato modi espressivi soddisfacenti
e quello che ho capito del mondo è stato principalmente attraverso un
rapporto visivo.
Ho cominciato molto presto la mia attività espositiva; il mio lavoro è
riconosciuto e apprezzato e nonostante la mia appartenenza al genere
femminile sono stata invitata a partecipare a manifestazioni internazionali
molto importanti come la Biennale di Venezia. Allora tutto bene?
Direi proprio di no.
Ma procediamo con ordine"...
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Il corpo è un progetto
di Cristina Liquori
"Rifletto per quattro giorni sul senso dell’arte nel momento attuale, vista
come desiderio di potenza e di verità. Il quarto giorno è oggi, le idee
sono molto confuse. Stasera decido: è il corpo ancora una volta al centro
della questione ed è in questo momento che, sintonizzandomi sul canale
La 7, vedo un filmato-scandalo che riguarda il doping, con disfacimento
nel piacere dello spirito combattivo del calciatore. Voltafaccia totale di
tifosi e critici di fronte ad un corpo debole, desideroso di un conforto
chimico.
Il corpo è un progetto.
Alcuni procedimenti dell’arte sembrano offrire una colta campionatura
cui ispirarsi per il progetto.
Cellule staminali: il corpo diventa un progetto"...
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Passione in bit
di Ida Gerosa
"Inizio presentandomi, come mi avete chiesto.
Per quanto riguarda la mia vita familiare, sono sposata, ho due figlie
che lavorano con successo, ho quattro nipotini affettuosi.
Per quello che riguarda l’arte, da sempre è stata la mia grande passione.
A sedici anni ho dipinto il mio primo quadro ad olio e fin da piccola ho
amato disegnare.
A scuola, alle medie, quando disegnavo ero circondata
dalle compagne che venivano a vedere quello che avevo fatto. C’è stato
un periodo, tra i 15 e i 25 anni, in cui adoperavo sempre la matita per
riportare su carta tutto quello che vedevo e mi divertivo a fare ritratti
a tutte le persone che incontravo"...
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L'incanto che nasce
di Anna Santoro
"Care amiche, alle domande che proponete e alle riflessioni che leggo
sul numero di DWF Aggiunta e Mutamento, tutte centrate sul bisogno di
approfondimento riguardo a tematiche che mi appassionano, mi piacerebbe
offrire risposte sia pure parziali ma chiare, e invece, pur sapendo
ciò di cui vogliamo ragionare, non posso che offrire considerazioni
frammentarie, che non so neanche se rispondano alla richiesta.
Il mio pianoforte lo suono a più mani: voglio dire che le mie scritture
(poetica, narrativa, saggistica, ma anche la “scrittura” di manifestazioni,
iniziative culturali, progetti di ricerca) si scambiano doni l’una con l’altra.
E tutte, come è proprio della poesia, nascono dal desiderio di dare
forma alla percezione, all’incanto, allo sguardo, al disegno che intravedo
accogliendo i segni del mondo"...
Imprescindibili rivolte
di Maria Rosa Cutrufelli
"È vero, come sostengono le compagne e amiche di DWF, che l’arte lancia
una sfida alla politica? Io credo di sì. E credo, anche, che sia politicamente
importante, oggi, rispondere a questa domanda e articolarla.
Perché viviamo in un’epoca in cui la rappresentazione del mondo (la
narrazione, che popola il mondo di segni e di significati) richiede un
atto di alta responsabilità (anche se in ogni tempo, nonostante le apparenze,
narrare è sempre stato qualcosa di meno libero e innocente dell’informare).
E bisogna rispondere soprattutto se si è donna. Perché la
risposta in questo caso deve partire da lontano, ha bisogno di sondare
più a fondo le esperienze.
La sfida che le donne portano all’arte e che
l’arte delle donne porta alla politica nasce (sempre?) da una rivolta. In
ogni caso io credo che, senza un gesto di rivolta femminista, le parole
delle donne restano, come dice Assia Djebar, “parole che hanno preso il
velo”, quindi parole – e narrazioni – prive d’efficacia trasformativa e di
forza politica"...
In dialogo
di Rachel Blau DuPlessis
"Puoi raccontarci brevemente il tuo percorso di artista e di donna per presentarti
alle lettrici e ai lettori di DWF?
Fin dal 1968-69, vale a dire dalle prime fasi della cosiddetta seconda
ondata del femminismo in Usa, ho condiviso una visione femminista
della cultura e della società, un desiderio di cambiare tutte le istituzioni
sociali, politiche, economiche e culturali in direzione di una giustizia
di genere nel contesto della giustizia sociale. Nei miei settori specifici
(l’università e la produzione culturale), ho dato il mio contributo e il
mio impegno alla rivoluzione epistemica che il femminismo ha prodotto
nella conoscenza e nella cultura (utilizzo qui i termini suggeriti da Mary
Hawkesworth e Griselda Pollock).
Nel mio lavoro critico, ho discusso le
relazioni di differenza che donne e uomini hanno all’interno della cultura,
una relazione costruita da molte forze sociali e da molti meccanismi
di formazione del soggetto, ma non ho mai pensato a una differenza
assoluta come posizione che sia possibile sostenere riguardo alle donne."...
Voci di donne: dal silenzio di un'isola che non c'è
di Paola Bono
"1. Il ritorno di Miranda
Giocando tra narrativa e saggistica, Linda Bamber – studiosa shakespeariana,
ma anche autrice di racconti e poesie – immagina che Miranda,
tornata sull’isola della sua infanzia e adolescenza “dopo una
cosí lunga assenza, 23 o 400 anni, a seconda di come misuri il tempo”
(Bamber 1999, p. 238), spedisca una lettera a Claribel, che non ha mai incontrato.
È infatti durante la navigazione verso l’Italia da Tunisi, dove
si erano recati per assistere al matrimonio e dove tuttora vive Claribel,
data in moglie al sovrano africano contro la sua volontà, che 23 o 400
anni prima nobili e cortigiani del regno di Napoli e del ducato di Milano
vennero gettati sulle coste dell’immaginaria e contraddittoria isola
shakespeariana. Caraibica per gli echi di viaggi e naufragi narrati in
resoconti coevi, soprattutto la fortunosa vicenda del neo-Governatore
della Virginia Thomas Gates, approdato con il suo seguito alle Bermude
dopo un violento uragano; mediterranea per fedeltà alle coordinate
geografiche tracciate nel dramma, che esplicitamente la colloca tra il
Nord Africa e Napoli (Lampedusa? Pantelleria?) – sulla rotta che oggi
vede emigrazioni disperate e altri, piú tragici naufragi"...
MAHASWETA DEVI, La trilogia del seno, Filema edizioni, 2006, pp. 175. Introduzione e traduzione di Ambra Pirri. Saggi critici di Gayatri C. Spivak.
"...Composti
nell’arco di quindici anni, tra il 1981 e
il 1996, i tre racconti hanno come tema
la storia di tre donne e del loro seno:
la guerrigliera Draupadi, che porta
il nome di una regina del Mahabharata,
la madre e balia di professione
Jashoda, che ha il nome della madre di
Krishna, e l’aborigena povera e ignorate
Gangor. In una lingua asciutta e
senza insistere sulla drammaticità del
destino delle tre donne, Devi narra
vicende davvero terribili.
Draupadi,
la guerrigliera catturata e violentata
mentre è prigioniera, compie il gesto
di mostrare al proprio carceriere, un
uomo colto in mezzo ai soldati, i segni
delle violenze sul proprio seno
e sul proprio corpo: il grido-risata di
Draupadi avrà l’effetto di farlo impazzire.
Jashoda, costretta dalla povertà a
diventare balia di tutte le generazioni di fi gli della famiglia di un grande proprietario
- salvando la silhouette delle
loro donne - fa fi gli continuamente
per sfruttare la propria ‘fortuna’ fi no
a quando un cancro al seno la ucciderà,
sola, abbandonata dai molti che ha
nutrito. Gangor, una lavoratrice nomade
con un seno bellissimo, oggetto di
ammirazione da parte di un giovane
fotografo che immortalerà il suo seno
e lo renderà famoso, subirà una serie
di violenze proprio a causa della notorietà
del suo seno e dell’ingenuità del
suo ammiratore...". (Paola Masi)
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ROSSANA ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Einaudi: Torino, 2005, pp. 385.
"...Qualche anno fa (aprile-settembre
2003), DWF proponeva le vicende di
alcune donne che hanno militato nei
partiti storici della sinistra e nell’Unione
Donne Italiane, impegnate attivamente
nella politica perché mosse dal
medesimo desiderio di cambiamento...
D’altro canto, proprio
le donne di sinistra considerarono
per prime le imperfezioni del sistema
politico, ma non disponevano ancora
di un linguaggio genuinamente femminile
cui attingere l’autorevolezza
per enunciare proposte effi caci quanto
radicali erano le loro denunce.
Proprio per la tensione tra fedeltà al
femminile e fedeltà al partito e per
l’esigenza di trovare un linguaggio
condiviso atto a irrobustire le obiezioni
e soprattutto a formulare iniziative,
molte hanno riconosciuto vivacità e
fervore alla politica delle donne, prediligendola,
seppur continuando in
alcuni casi a militare anche nei partiti
di provenienza.
Affine in parte, ma in parte invece difforme
è l’esperienza di Rossana Rossanda,
illustre comunista, giornalista e
saggista, che ha avuto con i movimenti
delle donne e in particolare con il femminismo
– pratiche e pensiero – un
rapporto discontinuo e per certi versi
confl ittuale, non mancando di manifestare
più volte le sue riserve al proposito.
Eppure, con il pensiero femminile
la sua autobiografi a ha qualcosa a che
fare......". (Chiara Turozzi)
Rachel Blau DuPlessis, docente presso la Temple University a Filadelfia, è nota per la sua
attività di critica femminista (soprattutto interessata alla poesia moderna e contemporanea)
ed è lei stessa apprezzata poeta. Ha pubblicato numerosi articoli, libri di saggistica e raccolte
di poesie oltre ad aver collaborato con diverse altre studiose o studiosi ad alcune importanti
antologie.
Maria Rosa Cutrufelli, messinese vive a Roma da diversi anni. Ha pubblicato cinque romanzi,
tra i quali “La donna che visse per un sogno”, finalista al Premio Strega 2005 e vincitore del Premio
Donna-Città di Algheri, Premio Racalmare-Sciascia, Premio Penne e selezione del Premio
Volponi. È autrice inoltre di libri di viaggio e saggi. Ha curato, infine, alcune antologie di
racconti e scritto per la Rai diversi radiodrammi. I suoi libri sono stati tradotti in inglese,
francese, tedesco, portoghese. Ha fondato e diretto per dodici anni ‘Tuttestorie’, rivista di
narrativa e letteratura.
Marilù Eustachio, vive e lavora a Roma. Dai primi anni Sessanta a oggi, ha tenuto numerose
mostre personali e ha partecipato a diverse rassegne e mostre collettive in Italia e all’estero.
In concomitanza con la sua attività di pittrice da molti anni si dedica alla fotografi a: i suoi
lavori sono stati pubblicati da diversi giornali e riviste.
Ida Gerosa, è stata in Italia una anticipatrice della video-art. Nell’83 ha costruito il primo
programma grafico che utilizzava 4096 colori. Conosciuta e apprezzata a livello internazionale
ha esposto in Giappone, Australia, Usa ed Europa. Tra la fine degli anni Settanta e i primi
anni Ottanta ha realizzato molte opere con riferimento al femminismo.
Cristina Liquori, architetta a Roma dove si laurea nel ’74. Gira un po’ per l’Europa per
scrivere una ricerca sull’architettura tra le due guerre in Cecoslovacchia, pubblicata in un
numero monografico di “Parametro”. Femminista dalla fine degli anni Settanta, ha fatto il
progetto grafico di DWF, scritto per numerose riviste e libri, incluso il recente "Le parole che le
donne dicono nei luoghi di lavoro" di libri di via Dogana. Pensa e realizza case bellissime.
Cloti Ricciardi, artista internazionale. Nasce a Roma e in questa speciale palestra esercita da
sempre il suo sguardo. Molte mostre hanno segnato il suo percorso: dalla Biennale di Parigi
del ’69 alla Biennale di Venezia del ’93. Le sue opere sono presenti in molte gallerie d’arte
moderna italiane e statunitensi. Fa parte della Cooperativa Utopia che edita DWF.
Anna Santoro, nata a Napoli ha pubblicato romanzi, tra questi Le amiche di Carla, Filema;
Pausa per rincorsa, Avagliano, e raccolte di racconti e di poesie. Presidente dell’associazione
culturale L’Araba Felice (1984), ne cura progetti e il Sito www.arabafelice.it (con Dominae,
Dizionario biobibliografico internazionale delle donne). Ricerca e legge la scrittura femminile
italiana, curando riedizioni di testi del ‘500, dell’800 e del ‘900.
L'articolo in versione integrale scelto per questo numero
Nota editoriale
(di Patrizia Cacioli e Federica Giardini)
Sono passati alcuni mesi da quando abbiamo cominciato a riflettere a
voce su un’intuizione: l’arte e la sua efficacia simbolica - quella che la politica delle donne ha sempre voluto e coltivato per sé, la capacità di
trasformare sé e il mondo attraverso il linguaggio – poteva essere una
fonte, una sfida, per rimettere in movimento la nostra stessa politica,
tanto più di questi tempi, pressate, come siamo, dalla quotidiana inefficacia di tanta parte del discorso politico tradizionale.
Di fronte a questo
paesaggio contemporaneo ci siamo poi accorte che quell’intuizione
significava anche in qualche modo tornare e rielaborare le origini del
femminismo, quando i primi gruppi politici avevano l’arte ben presente
e praticata tra loro, pensiamo ad esempio a Rivolta femminile con Carla
Lonzi, Carla Accardi e Cloti Ricciardi che scrive qui.
L’intuizione è diventata un viaggio che finora si è articolato in quattro
numeri-tappa (DWF 67-70).
Il primo Aggiunta e mutamento – preceduto
dall’esortazione: “impara dall’arte e non metterti da parte” – è il risultato
dei pensieri scambiati tra noi della redazione e alcune invitate. Ciascuna
è partita da sé, dunque, per dire del suo rapporto con un’espressione
d’arte – dalla letteratura, al cinema, alla danza – per interrogare
il rilancio che poteva darsi per la politica. Noi, non artiste ma donne
appassionate di politica, di più, di una politica che mette al centro l’aggiunta
e il mutamento della realtà a partire dalla pratica delle relazioni.
Nell’editoriale “Per la pratica politica” dicevamo che il fatto nuovo da
cui partiamo non tiene in conto la sola capacità di comunicazione della
parola/linguaggio artistico, che c’è sempre stata, ma le sollecitazioni
che rivolge a noi donne femministe.
Il secondo e il terzo numero sono strettamente legati nel “mostrare il
cambiamento” che molte donne portano avanti nelle arti performative.
Qui la pratica di pensiero si sposta: alcune donne svolgono la loro riflessione
in stretta relazione con l’opera di altre, attrici, drammaturghe, registe,
donne di spettacolo nella più ampia accezione del termine – Julia
Varley, Odile Sankara, Ariane Mnouchkine, Marina Abramovic, Werewere
Liking e Caryl Churchill. Si ritrova, negli scritti e/o nel concreto farsi e
offrirsi delle messe in scena di sé e del mondo da parte di queste artiste,
quella capacità di esprimere il bisogno di senso e di trasformazione che anche noi avvertiamo, e a cui il linguaggio artistico sa dare forma efficace
nel confronto attivo con chi ne fruisce.
In questo numero a prendere la parola, si fa per dire, sono le artiste
stesse, in risposta ad alcune nostre sollecitazioni*. Cerchiamo di capire
cosa possiamo imparare dalle loro pratiche, ascoltandole. E così, come
ogni incontro degno di questo nome, facciamo una scoperta: l’arte ha
a che fare con il linguaggio, certo, anzi con linguaggi, ma questo non
sempre significa condividere immediatamente un medesimo e identico
rapporto con la parola.
È per questa ragione che in apertura ci si è imposto lo scritto di Marilù
Eustachio: parola scarna di un testo quasi letterario che diventa segno
visivo, e quindi immagine emozionante, dove l’unica parola autorizzata
è quella dentro l’opera stessa, non quella organizzata come un discorso
su di essa.
Ancora tattile, fisica, l’opera e la parola di Cloti Ricciardi, che
con il corpo compie una rimappatura del tempo e dello spazio, della
storia e della città, che è la sua impresa di risignificazione del mondo.
È un racconto per lampi emotivi quello di Cristina Liquori, che con descrizioni
suggestive riesce a “situare” il suo percorso femminista negli
spazi che abita e che lei – architetta che si definisce artigiana – immagina
e costruisce. In questa parte del numero, in cui l’opera fisica prevale, o
perlomeno alimenta in modo imprescindibile la parola, trova la sua piena
collocazione Ida Gerosa, pioniera del legame tra linguaggio informatico e linguaggio estetico, che ci prepara alle sue intense e coloratissime
invenzioni al computer.
Con queste artiste siamo messe di fronte a una distanza certa tra chi
fa l’opera e chi ne gode, distanza feconda perché può rispondere alla
nostra ricerca di vie e di invenzioni linguistiche che nutrano le nostre
pratiche politiche. Nel caso delle artiste successive, donne che lavorano
direttamente con la parola – poetica, narrativa o critica che sia – le rispettive
posizioni sono differenti. Attive da tempo nel femminismo, sul
loro rapporto con l’espressione artistica hanno un discorso già riflessivo.
Anna Santoro fa emergere l’urgenza di chi fa arte, che di per sé è già
l’annuncio di un percorso di aggiunta e mutamento, e del vincolo che
stabilisce tra arte e presa di parola attraverso l’espressione: “scrivere,
recitare, creare, vivere è fare politica”. Maria Rosa Cutrufelli ci racconta
– richiamando in qualche modo le considerazioni di Simone de Beauvoir
rilette da Françoise Collin (DWF 4, 2005) – della tensione originaria
che lega una donna all’arte, la “prudenza emotiva” da superare vitalmente
insieme ad altre. Rachel Blau DuPlessis, infine, che nel parallelismo
virtuoso con cui vive il suo femminismo e la sua scrittura, ci offre
un contributo prezioso per registrare le differenze di pratiche nel legare
arte e politica.
“La distanza tra arte e politica si accorcia solo se i linguaggi che ci
riguardano non si limitano all’interpretazione, ma hanno la forza di restituire
le cose e i soggetti a loro stesse o a loro stessi, per aprire al desiderio d’infinito dell’arte e al desiderio di felicità nella politica”, abbiamo
scritto nel numero di apertura di questo ciclo. Le artiste interpellate non
hanno dato una risposta diretta, e tanto meno definitiva, hanno piuttosto
mostrato un percorso singolare di mutamento che ha potuto contare
sull’aggiunta portata dal femminismo. A noi, oggi che l’aggiunta sembra
avere corso con più ricchezza nei linguaggi artistici, di farne qualcosa.
“Come (re)imparare la politica da queste pratiche artistiche?” Nel gesto
d’arte di ciascuna emergono alcuni elementi: senz’altro la forza che
deriva dal perseguire con determinazione un desiderio di espressione,
dall’assumere per sé la posizione di chi inventa o scopre nuove forme e
di chi cerca, non meri riconoscimenti, ma comprensione e condivisione
dell’urgenza di ridisegnare il mondo. A guardare queste artiste, le loro
opere, si riconferma che il partire da sé, dal proprio desiderio, rimane
la condizione prima di qualsiasi ricerca che miri a dare e ridare senso
alle cose, al mondo.
Ma questo movimento singolare - che nulla ha a
che fare con l’individuo triste e isolato cui ci portano questi tempi – si
alimenta e si potenzia di un corpo a corpo che queste artiste mantengono
con la loro opera, dunque con il loro desiderio e le sue forme. A
questo punto del percorso possiamo allora prendere alcune indicazioni:
la singolarità dei linguaggi, dei luoghi e delle pratiche da cui nascono,
non è un ostacolo. Anzi, vanno interrogati e mantenuti nella loro irriducibilità
che una vera ricchezza per attingere a un nuovo senso della
realtà.
Insomma, siamo tante e in tanti luoghi - su un palcoscenico tra
la Danimarca e Verona, tra il Burkina Faso e Milano, tra l'"Angelo Mai" e Parigi, negli spazi dell’arte contemporanea che si allargano da Roma
al mondo - ascoltiamoci per quel che le nostre singole vite ci portano a
scoprire e a dire. Ma non è tutto qui. Questi scambi devono avvenire tra
donne che stanno nella pienezza di un corpo a corpo con la loro vita, con
quel che capita loro, nell’urgenza di raccontarlo.
DWF, tra il volontario e l’involontario, ha già avviato il lavoro. È dall’inizio
di quest’anno che stiamo discutendo su come, con quali pratiche
di relazione, fare rete con donne che praticano “aggiunta e mutamento”
in forme diverse ma con la stessa urgenza. Non che questa, del fare rete,
sia un’esigenza nuova – abbiamo all’attivo i numeri di sperimentazione:
con il gruppo Balena, Stanche di guerra (48) e L’algebra della prevenzione (61-62), con la nascente Matri_x, Genealogie del presente (50-51), con la
discussione allargata a Maria Luisa Boccia, Chiara Zamboni, Vita Cosentino,
Laura Gallucci, Donatella Alesi, Spazio (57) e con Rosetta Stella,
Bufera canto V (65) - da oggi però lo intendiamo come un vero e proprio
progetto politico. A risentirci al prossimo numero.
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Le domande della redazione alle autrici
Puoi raccontarci brevemente il tuo percorso di artista e di donna per
presentarti alle lettrici e ai lettori di DWF?
C’è stato / quale è stato – e c’è ancora? – un nesso tra femminismo,
pensiero delle donne e la tua pratica artistica?
Il “partire da sé” è un elemento fondante della pratica femminista, anche
perché associato alla ricerca e fondazione di un linguaggio; è stato /
è così anche per te rispetto all’arte? Ci sono stati cambiamenti nel corso
del tempo?
Guardando all’arte nella desolazione del panorama politico attuale,
esprimiamo un’urgenza di “aggiunta e mutamento” condiviso – che è
per noi un’urgenza politica; nel fare arte, quale è oggi la tua urgenza?
Ha a che vedere con la responsabilità politica, con il bisogno di modifi -
care il mondo?
La politica e l’arte – quelle che ci piacciono – sono secondo noi un fatto
di relazioni; tra chi fa politica, tra chi fa arte, ma anche con chi viene
toccato dalla politica e dall’arte. Per produrre “aggiunta e mutamento”
bisogna essere – almeno – in due. Quanto conta nella tua ricerca e costruzione
di senso, la relazione con un’altra, le altre?
Quale restituzione ti aspetti dalla tua opera o dalle fruitrici della tua
opera?
L’arte che ci piace tende non a rappresentare, ma a ri-presentare la verità
del mondo, per aprire lo spazio a una giustizia poetica; risuona in
te questa affermazione, la condividi? E come si può muoversi per realizzarla?
L’atto artistico ha una sua forza, che chiama in causa chi la esercita e
chi la avverte. Che tipo di forza, di energia è? Come si alimenta in te?
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